Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Un giovane di Perugia decide di chiedere alla sua fidanzata di sposarlo spedendole un anello di diamanti in un uovo di cioccolato. Le dà l’uovo senza dirle che dentro c’è il regalo. Dopo qualche giorno, visto che lei non gli dice niente dell’anello, le chiede se ha già assaggiato l’uovo. Lei gli spiega che preferisce il cioccolato al latte e, visto che l’uovo era di cioccolato fondente, lo ha restituito e in cambio ne ha avuto uno al latte. A quel punto il giovane s’infuria, si agita e le rivela che dentro l’uovo c’era un anello di diamanti. Corrono alla pasticceria, e lì lui cerca di recuperare l’uovo, ma il dolce è già stato rivenduto a uno sconosciuto. Il nuovo acquirente, però, era dello stesso quartiere e, essendo onesto, poco dopo restituisce l’uovo. Malgrado la coppia abbia riavuto indietro l’uovo, le cose fra di loro non funzioneranno più.
Dobbiamo questo racconto sorprendente a un folklorista americano, il professor Steve Siporin, dell’Università dello Utah, che della storia dell’uovo di Pasqua con l’anello ci ha regalato molto di più di quello che, nell’aprile del 2001, in vari modi, scrissero alcuni giornali italiani.
Il professor Siporin per diversi anni ha lavorato presso l’Università per Stranieri di Perugia, ed è in quella città che nel 2005 ha sentito raccontare, dapprima proprio da suoi colleghi e comunque nell’ambiente accademico, la storia di cui ci occupiamo oggi.
La vicenda l’ha interessato così tanto da spingerlo a scrivere un saggio, A Contemporary Legend from Italy, che ha pubblicato qualche anno dopo sul Journal of Folklore Research (vol. 45, n. 2 del maggio-giugno 2008, pp. 171-192).
Vivendo a Perugia, Siporin ha cercato di capire se il racconto potesse ricondursi a un fatto realmente accaduto o, almeno, se qualcosa di vero potesse esserci, magari riletto attraverso i commenti e il passaparola. La vicenda era sulla bocca di tutti, e ognuno sembrava voler dire la sua, non ultimo su come interpretare il rapporto tra i fidanzati e il comportamento dell’uno e dell’altra.
Siccome in certe versioni alcuni organi di stampa nominavano con precisione la zona di Perugia (quartiere Monteluce, oppure i pressi dell’ospedale cittadino) e addirittura menzionavano un avvocato che sarebbe stato incaricato dalla ragazza di querelare il fidanzato per il litigio scoppiato al termine della storia, Siporin non se l’è sentita di dire con chiarezza che dall’inizio alla fine la storia dell’uovo di Pasqua con l’anello era una leggenda metropolitana. Addirittura, Siporin non ha escluso che qualche pasticceria o altri potessero averne tratto motivo pubblicitario, ma al riguardo si direbbe non ci siano argomenti o fonti decisive.
Malgrado i dubbi di Siporin circa la possibilità che a Perugia
“qualcosa” sia davvero accaduto, il contributo decisivo che Paolo Toselli, coordinatore del CeRAVoLC, a suo tempo aveva fornito allo studioso americano ha rafforzato la convinzione che la nostra storia sia effettivamente una leggenda metropolitana.
Mentre dal 14 aprile 2001 la storia dell’uovo di Perugia cominciava a comparire più volte sui quotidiani, il 19 dello stesso mese, dunque pochissimi giorni dopo, Toselli rilevava sull’edizione abruzzese de Il Messaggero e sulla Gazzetta del Sud una storia curiosamente simile a quella umbra, ma stavolta ambientata in un ristorante di Avezzano (L’Aquila).
Alla fine di un pranzo, il proprietario del ristorante aveva offerto ad alcuni clienti un uovo di Pasqua artigianale che gli era stato regalato. Apertolo, i clienti vi avevano trovato un bracciale d’oro! La leggerezza del commerciante in questa storia non era però punita sino in fondo: il bracciale gli veniva restituito ma, proprio come a Perugia, i clienti minacciavano di tirare in ballo il loro avvocato!
Al di là della questione sul fondamento anche solo parziale del racconto, ciò di cui Siporin discute più a lungo e che ci ha colpiti è il fatto che la storia dell’uovo di Pasqua e dell’anello è un esempio di quello che lo studioso definisce “folklore a strati”.
Primo strato: la perdita dell’anello è un motivo tipico del folklore europeo che di solito annuncia la fine di un sodalizio, matrimonio o fidanzamento che sia. In altri termini, l’incapacità di conservarlo/custodirlo/accettarlo per la coppia costituisce un test fallito.
Secondo strato: un altro motivo evidente nel racconto dell’uovo di Perugia è quello connesso al folklore del premio, del portafortuna o del gioiello nascosto o rinvenuto in qualcosa che si sta mangiando, in cui il cibo di norma è costituito da un dolce. Nell’indice dei motivi folclorici di Stith Thompson questo genere di racconti è classificato come tipo H94.1.
Terzo strato: Siporin si sofferma a lungo anche sul simbolismo maschile dell’uovo, che in due varianti della storia dell’uovo di Pasqua con l’anello di Perugia è fortemente presente. Con una lettura che forse potrà apparire azzardata, lo studioso suppone che il problema non sia tanto che alla donna non piaccia il cioccolato fondente e che preferisca quello al latte. Sarebbero invece le dimensioni troppo modeste del regalo (dell’uovo) a indurla a respingerlo oppure a cambiarlo con un altro, così generando l’ira del maschio...
Quel che conta, alla fine, è che l’anello non arriva al dito della donna e va perso, negletto, proprio come nella variante più ricorrente, cioè quella per così dire più “industriale”, in cui la fidanzata sceglie il cioccolato al latte al posto del più pregiato fondente.
Al termine, argomenta Siporin, in questo come in altri racconti del folklore contemporaneo è difficile decidere che cosa vi sia stato all’origine o se ci sia qualcosa di vero. Tutto ciò non cancella il fatto che stiamo parlando di una leggenda. Il nostro racconto deve essere considerato come un avvertimento circa il rischio insito nel dono: non sappiamo mai che fine farà e se sarà davvero accettato.
Per Siporin i commenti di chi trasmetteva la storia di Perugia sono altamente significativi. C’erano quelli che incolpavano la donna, insensibile verso la premura del fidanzato e chi incolpava l’uomo, incapace di comprendere i gusti e le preferenze della fidanzata. In questo senso, la conclusione dei commenti che di solito alludeva ad una rottura dell’unione fra i due, pareva dire che il connubio sessuale tra i fidanzati, simboleggiato dall’uovo, non funzionava e che l’anello, per quanto prezioso, era destinato a perdersi, per disattenzione o per disprezzo.
A questo punto viene da chiedersi se un altro motivo folklorico, quello del ritrovamento inatteso dell’anello, che nell’indice dei motivi folklorici di Thompson è l’N211.1 (esempio tradizionale: la ragazza che perde l’anello in mare, con il pescatore che lo ritrova nella pancia di un pesce e glielo riporta) sia caratterizzato da un significato opposto rispetto a storie che parlano di una “rottura” come quella dell’anello nell’uovo di Pasqua di Perugia.
La storia classica del ritrovamento è quella narrata nelle Storie di Erodoto circa Policrate, tiranno di Samo, i cui cuochi recuperano nello stomaco di un pesce l’anello preziosissimo che, dietro richiesta del Faraone d’Egitto che gli aveva chiesto di rinunciare a qualcosa di gran valore, lui stesso aveva gettato in mare. In alternativa, nelle Mille e una notte, si pensi al racconto di Abu Qir e Abu Sir.
Questo motivo antichissimo è giunto sino ad oggi. In un racconto recente, ad esempio, “Umberto”, un uomo che va a pescare in un laghetto a Sambucheto (Macerata), persa la fede nuziale si sente dire dalla moglie: “non sarà che te la sei tolta perché hai avuto un’avventura? Si sa… voi uomini…”.
Sentita la moglie, l’uomo il giorno dopo torna al laghetto, prega Dio e, immerse le mani nella melma torbida del lago, ripesca l’anello quasi all’istante. Seconda entrata in scena del personaggio-moglie per bocca del narratore: andò dall’orafo e fece stringere (parecchio) l’anello.
L’unione, dunque, è rinsaldata dal ritrovamento improbabile.
In una storia canadese del 2017, invece, una donna sostituisce l’anello con diamanti che aveva perso tredici anni prima coltivando la terra ma tiene nascosta la disattenzione. Dopo così tanto tempo, in giardino, la nuora cava una carota e riscopre l’anello, intorno a cui nel frattempo è cresciuto l’ortaggio. Suo marito - figlio della proprietaria - lo riconosce subito e lo riporta alla madre che per tutti questi anni aveva portato su di sé, segretamente tranne che per il figlio, cui l’aveva detto, un’imitazione di minor valore.
In questo caso, in mancanza della figura maritale (l’uomo è morto, e resta sullo sfondo) l’anello ritrovato suggella di nuovo l’amore madre-figlio, a scapito della nuova donna (la nuora), non in grado di cogliere al meglio il significato profondo di quella riscoperta simbolica.
E non si tratta nemmeno del solo anello ritrovato dopo lunghi anni su una carota. Non ci credete? Beh, nel 2011 una donna svedese raccontò di aver recuperato il suo anello con diamantini, disegnato da lei stessa e perso in cucina, trovandolo dopo sedici anni intorno a una carota cresciuta nell’orto di casa sua...
Questa volta il dono recuperato è fatto a se stessa: non ci sono colpevoli e il marito non è morto, né sparito, né ha divorziato. Accanto a lei, il maschio sorride del ritrovamento di una cosa che appartiene a sua moglie e solo a lei, non al loro matrimonio.
Il record però probabilmente va a un uomo che aveva perso la fede nuziale a pochi mesi dalle nozze, mentre giocava uno scherzo a un amico a Prarostino (Torino), nel 1989. Prostrato, era volato in Brasile con la neo-moglie per far benedire una nuova fede da un prete missionario e addirittura per rinnovare le promesse matrimoniali, finché… ventotto anni dopo una donna, passeggiando, l’aveva ritrovata per terra, vicinissima al punto della sparizione. (L’Eco del Chisone, Pinerolo, 27 giugno 2018).
Insomma: anello perduto - perduto per sempre - come a Perugia nel 2001, oppure ritrovato, a suggello di rapporti che con ogni evidenza, al contrario di quello dei due fidanzati e del loro uovo improduttivo, erano destinati a durare.
Buona Pasqua dal CeRaVoLC!
Foto di Stefan Schweihofer da Pixabay
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