top of page
Cerca
  • Immagine del redattoreRedazione

La leggenda dei calama-retti



Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Manici di ombrelli per produrre formaggio. Olio di soia spacciato per extravergine di oliva. Pezzi di cervello nella passata di pomodoro. Grasso di marmotta nella crema al cioccolato. Uova di ragno nei chewing-gum. Riso di plastica. Latte alla melammina. Sperma di maiale nel burro di cacao. Vino al metanolo...


Il mondo delle contraffazioni alimentari va così, con ingredienti da antro della strega disseminati nel cibo di tutti giorni.


Ma se alcune frodi sono tristemente autentiche, altre - quelle che ci interessano di più - sono semplicemente il frutto della nostra fantasia e dei nostri timori. Tra queste, poche hanno avuto nel tempo un successo paragonabile a quello degli sfinteri anali di maiale spacciati per calamari. Così la raccontava nel 2014 Affari Italiani, che si vanta di essere “il primo quotidiano on-line”, in quanto registrato nel 1996 (ma Wikipedia, impietosa, smonta questo primato):


In numerosi supermercati europei sono in vendita calamari che in realtà sarebbero intestini di suino la cui consistenza gelatinosa ricorderebbe i molluschi. Dopo lo scandalo della carne di cavallo nelle lasagne industriali un nuovo incubo spaventa i consumatori di tutta Europa. Per questo l’eurodeputata olandese Esther de Lange, incaricata della questione, aveva già annunciato la necessità di maggiori controlli per evitare eventuali frodi. Questi cosiddetti calamari, infatti, che si trovano nella base di alcuni prodotti, non avrebbero mai visto il mare. Già allertate le autorità dei singoli Paesi.

Peccato che... non sia mai stato accertato nemmeno un caso di questa contraffazione!


La storia dei finti calamari probabilmente inizia qualche anno prima del 2014, e deve aver viaggiato parecchio per via orale. Il 26 gennaio 2010, ad esempio, sul sito di notizie sportive Deadspin, in un articolo dedicato alle domande dei lettori, compariva questa testimonianza:


Il fratello della mia ragazza è uno dei più importanti veterinari suini negli USA e la scorsa estate mi ha detto che i calamari contraffatti vengono realizzati con il retto dei maiali. Quindi la prossima volta che ordinerete quella gustosa delizia fritta composta di soli anelli uniformi senza tentacoli, forse è questo ciò che riceverete. Penso solo che vi avrebbe fatto piacere saperlo.

Il giornalista, Drew Magary, rispondeva color me skeptical, ossia “considerami scettico”, e faceva notare che su questa contraffazione non si trovava praticamente nulla su Google. Un po’ strano, vero? E comunque, aggiungeva Magary, se il gusto era buono...


Di per sé, in effetti, il retto di suino è perfettamente commestibile: come dice il proverbio, del maiale non si butta via nulla. Su internet è possibile trovare ricette e articoli su questa specialità. Ma spacciarli per un altro prodotto alimentare sarebbe ovviamente un reato: pensate a chi voglia evitare la carne di maiale per questioni etiche, religiose o di salute. Dal 2010 ad oggi nessuna indagine ha mai condotto al sequestro o anche solo a evidenze di questa contraffazione, né in Europa, né negli Stati Uniti (dove il timore sembra più vivo): insomma, la storia dei calama-retti ha tutte le caratteristiche della leggenda metropolitana.


Per quanto se sappiamo, il picco del successo di questi racconti risale al 2013, ed è tutta colpa di This American Life, un programma radio settimanale registrato a New York e mandato in onda da qualcosa come cinquecento stazioni in tutti gli Stati Uniti, per un totale di circa 1,8 milioni di ascoltatori. Nella puntata dell’11 gennaio 2013 (Doppelgängers), il conduttore Ben Calhoun si occupava di una voce che circolava in merito a un complesso industriale dell’Oklahoma:


Ben Calhoun racconta una storia di somiglianza fisica - non di una persona, ma di cibo. Un po’ di tempo fa, un agricoltore stava passeggiando nei pressi di un impianto per la lavorazione della carne di maiale in Oklahoma insieme al proprietario suo amico. Si imbatté in un mucchio di casse impilate sul terreno con un’etichetta che diceva “calamari artificiali”. Così chiese al suo amico: “Cosa sono i calamari artificiali?” “Buchi del culo”, rispose lui. “Retti di maiale”. Avete - o abbiamo - mangiato sfinteri di maiale travestiti da frutti di mare? Ben ha indagato…

La puntata (tuttora disponibile in podcast) era accompagnata da un divertente disegno di un ibrido maiale-piovra, opera dell’illustratore Steve Dressler; per 25 dollari si poteva (e si può tuttora) acquistare una maglietta che illustra i “tagli” di un calama-retto...


A onor del vero, la puntata di This American Life non dava certezze granitiche sulla realtà della contraffazione. Anzi, lo stesso Ben Calhoun dichiarava di aver saputo della cosa da un ascoltatore del programma, che però non aveva mai visto “dal vivo” le casse di calamari artificiali ma ne aveva sentito parlare da dipendenti della fabbrica. Gli operai dell’impianto di lavorazione della carne, a loro volta, raccontavano di non aver mai osservato di persona confezioni etichettate in modo truffaldino, ma di aver già sentito raccontare la storia… Curioso, vero?


Voci, racconti, nessuna testimonianza oculare. Lo stesso Calhoun dichiarò a Slate di non credere sul serio all’esistenza di una simile truffa alimentare:


Se dovessi scommettere dei soldi sul fatto che succeda davvero o no, punterei assolutamente sul no.

Il programma radiofonico, però, lasciava spazio sufficiente al dubbio perché la leggenda si diffondesse. E la leggenda infatti si diffuse: articoli, interventi ufficiali delle autorità (quasi tutti negativi, a dire il vero) e dichiarazioni perentorie di consumatori (che giuravano che non avrebbero mai più mangiato un calamaro in vita propria) sancirono il successo della storia negli Stati Uniti.


E in Europa? Per vedere la leggenda anche da noi occorre arrivare all’ottobre 2013, quando la popolarità dei calama-retti sembrò avere un’impennata anche nel Vecchio Continente.


A diffonderla, questa volta, un’europarlamentare olandese, Esther de Lange, eletta con il partito cattolico Christen-Democratisch Appèl.


Scriveva ancora Slate:


Il sistema alimentare per la maggior parte degli americani è così opaco che qualsiasi voce - non importa quanto sciocca o improbabile - può volare in lungo e in largo sospinta dai venti impetuosi dell’ignoranza. I calama-retti sono forse più improbabili della bava rosa?

L’articolo, poi, elencava le caratteristiche che facevano dei calama-retti una storia esemplare di contaminazione leggendaria, prendendole da uno degli studiosi più famosi di folklore moderno, Jan H. Brunvand:


Primo, [la storia] deve essere trasmessa a ogni passo attraverso l’amico di un amico. Questo, alla fine, è il modo con cui sono arrivato a questa cosa: ho saputo dei retti di maiale da un amico, che aveva ascoltato This America Life. L’episodio mostra che Calhoun l’ha scoperto da un ascoltatore, che lo aveva saputo da un agricoltore. L’agricoltore ne aveva sentito parlare da un operaio dell’impianto, che l’ha udito dai suoi capi. E così via.
La leggenda deve avere anche una forte capacità di attrazione, un qualche contorcimento o una conclusione che la rendano memorabile. La genialità del racconto dei calamari sta nella metafora che ne è il centro e nella scoperta istantanea che un anello grinzoso di piovra potrebbe rappresentare in realtà l’ano grinzoso di un mammifero.
Non è soltanto qualcosa di disgustoso: è diabolico e ingegnoso, ed è il salto mortale che rende perfetta una capriola… Le storie di contaminazione sorgono dalla nostra fondamentale sfiducia nelle imprese, scrive Brunvand, e la credenza di fondo è che il cibo lavorato sia pericoloso o dannoso per la salute. Ecco perché così tanti ce l’hanno con i fast food, e non solo con la storia dei vermi negli hamburger McDonald’s, ma anche con leggende più antiche come il topo usato per il pollo fritto del Kentucky o il topo nella lattina di Coca-Cola
Il terzo requisito di Brunvand è che una storia deve avere “un messaggio significativo o di tipo morale”. Le leggende sui cibi contaminati rivelano il senso di colpa per l’eccessivo impiego di cibi lavorati e impacchettati, scrive lo studioso. Nelle cerchie dei buongustai odierni, questa sensazione di disagio oggi è più forte che mai.

Questo disagio, che proviene dall’antica diffidenza per ogni tipo di processo industriale, noi del CeRaVoLC lo avevamo constatato per l’Italia già dai primi anni ‘60, con l’emergere delle dicerie sui formaggi realizzati coi manici d’ombrello. In fondo, un timore del tutto simile a quello dei calama-retti americani.


452 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page