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La statua della morta e la sua strana vendetta


Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Nel 1977 la folklorista americana Ruth Ann Musick pubblicò per la University Press of Kentucky il volume The Seated Lady. Coffin Hollow and Other Ghost Stories, nel quale esplorava le tradizioni orali degli Stati Uniti riguardo alle narrazioni sui fantasmi.


A pagina 112 c’era la storia che dava il titolo all’intera raccolta.


Una tomba in marmo in un vecchio cimitero abbandonato della Virginia Occidentale era il luogo preferito per le “escursioni a base di leggende” da parte di un gruppo di giovani adulti della zona. La statua in marmo rappresentava una donna seduta, con le mani protese verso tutti coloro che passavano in quel luogo di riposo eterno. La leggenda affermava che la giovane sepolta era morta di crepacuore quando era stata abbandonata dal fidanzato. L’escursione “leggendaria” era un rito d’iniziazione: i nuovi membri dovevano trascorrere la notte seduti in braccio alla statua. Ma l’ultima volta che qualcuno provò a farlo, la giovane seduta sulla statua andò incontro a una tragedia. Vedete: la differenza rispetto alle altre volte, stava nel fatto che quella giovane era una discendente diretta del fidanzato.
Gli abitanti del paese quella notte non riuscirono a dormire bene. Qualcosa gli dava sui nervi. Non sapevano che cosa temere.
Al mattino dopo, la ragazza fu ritrovata ancora seduta sul ventre della statua. Era morta. Sul suo corpo furono rinvenute delle tracce, come se fosse stata trattenuta in una stretta soprannaturale. Forse la signora seduta aveva avuto la sua vendetta.

Questa storia è estremamente interessante per chi si occupa di leggende contemporanee. Rappresenta infatti una bella elaborazione del motivo narrativo, assai diffuso anche in Italia, della scommessa al cimitero.


Si tratta di una storia che riguarda, di solito, un giovane che accetta di rimanere chiuso per una notte in un cimitero, per dimostrare il suo coraggio ai suoi amici. Anche in questo caso, dunque, la dimensione iniziatica dell’impresa è presente. Il giorno dopo, i compagni non lo vedono tornare. Vanno a cercarlo al camposanto, e lo trovano morto stecchito, vicino a una tomba, con dipinta sul volto un’espressione di terrore. Il giovane è morto di paura: ma non perché ha visto un fantasma, o per altri motivi occulti. Un lembo del soprabito, di una sciarpa o di un altro indumento è rimasto agganciato, senza che se ne accorgesse, a un elemento della tomba (un pezzo di ferro, una sporgenza, un lume); in altre versioni, a tirare il vestito è una spada o un bastone, che il giovane avrebbe dovuto piantare sulla tomba per dimostrare di essere stato lì. E così, il protagonista della nostra storia si è sentito misteriosamente trattenuto, o tirato all’indietro, da una presenza alle sue spalle… Ed è morto di paura!


La versione americana ricalca molti elementi di questo racconto: la sfida di coraggio, la notte passata al cimitero, la morte del protagonista. La trama, però, assume caratteri gotici e soprannaturali che, in generale, nei racconti della scommessa al cimitero sono assai meno presenti (dunque, nessun “vero” fantasma, e nessun incontro con l’aldilà, nel luogo per eccellenza delle paure).


Nel legend tripping della Virginia Occidentale, invece, c’è la vendetta atroce di una vera morta che si consuma in modo folle, con una specie di statua-gargoyle che si anima ma che, con la postura nella quale era stata costruita (da chi? Per quale motivo?) indicava dall’inizio, in modo sottile, che cosa sarebbe accaduto… Il culmine di questo racconto gotico, iperbolico, sta nel fatto che ad esser colpita per il suo ardire di aver accettato la scommessa al cimitero non è una persona qualsiasi, del tutto ignota, e nemmeno il responsabile diretto della morte ingiusta della donna-statua, ma una discendente dell’uomo – e nemmeno un discendente maschio, ma una giovane ragazza!


Qui, dunque, si trattava di una vera morta, di una vera statua-golem, in attesa di animarsi e di compiere ciò per cui, si direbbe, era stata plasmata fin dall’inizio.


Italia: la scommessa al cimitero, ma… al contrario


Nel numero di gennaio 1937 della rivista mensile Cremona, un elegante periodico che uscì dal 1929 al 1943 a cura dell’Istituto Fascista di Cultura della città lombarda, alle pagine 21-24 compare un racconto di Franco De Micheli. Si chiama “La scommessa”.


È una storia cupa, un po’ da Edgar Allan Poe. Per certi versi vi si respira un’atmosfera “americana” anni ‘30, da letteratura della Grande Depressione – ma in salsa padana e italica, naturalmente.


All’Osteria del Gufo, il Gino si lamenta, mezzo ubriaco, di non riuscire a vincere una partita a carte col Selmi, che peraltro bara, e lo prende in giro, dicendogli che è fortunato in amore. Ma il Gino beve perché la Lena non gli vuole nemmeno un po’ di bene (gli articoli sembrano parte integrante del nome dei protagonisti).


Ma ecco entrare in scena il vero protagonista del racconto: il Gandini, il contendente fortunato del Gino – non alle carte, ma all’amore, quello della Lena. Il Gandini è anche un tipo da galera, gran mangiatore di carne cruda. Si mette a giocare con altri, e lui, al contrario del Gino, vince anche al tavolo. Allora il Selmi, crudele com’è, esclama a voce alta rivolto al Gandini, in modo che tutti sentano: “Scommetto che costui ti ruba la morosa”, e indica il Gino.


Il Gandini si alza ostentando sicumera, si pianta in mezzo all’osteria e sfida il Gino: se vuole la Lena se la dovrà guadagnare dimostrando il suo coraggio. Dovrà passare una notte al cimitero del paese, da solo. Lui accetta la scommessa e da solo, al buio, raggiunge timoroso il luogo. Entra nel recinto, fra le tombe, e gli viene in mente che da bambino i vecchi gli raccontavano di un coleroso, sepolto quando ancora non era morto, che di notte passeggiava fra i sepolcri (qui fa capolino un altro motivo leggendario importante, quello della sepoltura prematura).


Ora il Gino è terrorizzato: accende un fiammifero, e vede in direzione della fossa comune dei colerosi un fantasma, coperto da un sudario bianco, in mezzo al vialetto. Accecato dal terrore e dal vino, diventa una furia: investe il fantasma, lo butta a terra e prende a stringerlo finché quello non tenta più di divincolarsi. All’alba, gli amici del Gandini entrano nel cimitero. L’uccisore del fantasma è in ginocchio vicino al cadavere, con accanto un cero acceso, mentre balbetta parole sconnesse. Dice che il coleroso è finalmente morto davvero…


Sulla ghiaia, naturalmente, non c’è alcuno spettro: c’è invece il corpo del suo avversario in amore, il Gandini, che quella notte voleva tendergli una trappola travestendosi da fantasma. La scommessa non era altro che un tranello organizzato all’osteria dalla compagnia del paese.


Sia nel racconto americano, che in questo italiano, l’andamento da tragedia è mantenuto. In entrambi i casi, un’azione che avrebbe dovuto tramutarsi nell’allegria del gruppo (quello in cui la giovane americana sarebbe stata ammessa, o quello dei frequentatori dell’osteria italiana) si conclude con una morte.


Nel caso americano, per diretto intervento del soprannaturale, che agisce in modo diretto, scombinando i piani degli uomini; nel caso italiano, per l’azione di un derelitto, che anche lui scombina i piani del gruppo - i crudeli frequentatori dell’osteria.


Alla fine del racconto di De Micheli, ecco che cosa si dice del Gino:


Una risata interminabile da demente lo scuote tutto.

Il “vero fantasma” ormai, per sempre sarà lui, il Gino, impazzito e allontanato dalla società dei “vivi”.


E, per noi, le due storie sono l’ennesima dimostrazione della capacità quasi infinita del leggendario contemporaneo di generare racconti, letteratura, esperienze, voci, narrazioni, varianti, miti.



Immagine in evidenza: un disegno di Romano Frosi dalla rivista Cremona.


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