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Vero verissimo! Hans Christian Andersen e i rumors /2



Articolo di Sofia Lincos


Anche se si tratta di una cosa superatissima dal punto di vista scientifico e magari anche ingenua, con la scusa del racconto di Andersen di cui vi abbiamo parlato nella prima parte vogliamo riproporvi una formuletta semplice semplice che fu inventata da due tra i primi studiosi moderni del fenomeno delle dicerie, delle voci.


Si tratta di due psicologi americani, Gordon W. Allport (1897-1967) e Leo Postman (1918-2004).


Già due anni prima, nel 1945, i due si erano resi protagonisti di un esperimento rudimentale ma rimasto famoso a lungo, che pubblicarono nelle Transactions of the New York Academy of Sciences. Avevano fatto osservare su uno schermo una scena disegnata in cui un bianco teneva un rasoio in mano davanti a un nero e poi avevano fatto raccontare i dettagli della scena a persone che non l’avevano vista e che poi la raccontavano ad altri, e così via. Il risultato era che, nei passaggi, il rasoio “passava di mano” in un un buon numero di casi. Ci si aspettava, a causa del pregiudizio etnico diffusissimo, che il rasoio dovesse essere in mano al nero che fronteggiava il bianco, e che il contrario non potesse accadere.


L’approccio usato per l’esperimento del “rasoio che passa di mano” è riecheggiato nella formuletta di cui vogliamo dirvi qualcosa. Fu presentata per la prima volta dagli studiosi nel 1946 sulla rivista di psicologia sociale Public Opinion Quarterly. Allport e Postman esageravano nelle pretese, perché la chiamavano “legge fondamentale della diceria” (Basic Law of Rumor).


Diceva questo: la quantità di dicerie in circolazione nell’unità di tempo (R) è approssimativamente pari all’importanza dell’argomento per l’individuo (i), moltiplicata per l’ambiguità dell’evidenza disponibile su quell’argomento a quell’individuo (a).

Insomma, si può scrivere così:


R ≃ i a


Dicevano Allport e Postman: la relazione fra importanza è ambiguità è di tipo moltiplicativo, non additivo. Trattandosi di una moltiplicazione, per avere diceria in circolazione nessuna delle due quantità i ed a potrà essere pari a zero. Oggi, per mille motivi la formula di Allport-Postman non ci serve più a molto. Ma in primissima approssimazione può ancora raccontare qualcosa.

Per provarlo, divertiamoci ad applicarla alla storia di Andersen, il cui testo integrale vi abbiamo già presentato nella prima parte di questo articolo.


* * *


In che cosa possono consistere nella storia di Andersen rilevanza ed ambiguità, i due parametri che Allport e Postman usano per la loro formula sulle voci?


Per quanto riguarda la rilevanza, si direbbe che tutti gli individui del racconto tengano molto ad una morale di tipo tradizionale. Spiumarsi, spogliarsi e beccarsi o addirittura morire per amore di un gallo è cosa esecrabile, soprattutto per una giovane gallina. I valori di questa comunità sono tali che una faccenda del genere può costituire una minaccia rilevante.


Ma questo non basta. Occorre il secondo elemento. Bisogna che l’evidenza rispetto a ciò che accade sia ambigua, non sia chiara. Notiamo una cosa, sul punto: il “vero” evento, quello iniziale, nella novella di Andersen non è osservato da nessuno. Ciò che arriva al primo anello della trasmissione orale (un’altra gallina) è solo la voce, disturbata dal sonno, della gallina “colpevole” di aver perso una piuma. Quell’ambiguità iniziale passa a tutti gli altri individui, che, anzi, la accrescono, sia per errori successivi di trasmissione (si direbbe che le comunicazioni fossero disturbate, ma questa è un’altra faccenda) sia, soprattutto, perché nessuno praticò il fact checking e dunque non andò a osservare in prima persona ciò che si poteva sapere dell’evento iniziale.


Oggi sappiamo bene che il fact checking può non esser sufficiente a convincere le persone che quella che stanno facendo circolare è una voce infondata e non una realtà. Anzi, a volte il fact checking può addirittura rafforzare la credenza, visto che sovente tende a riproporre un tipo di informazione che finisce col cementare quello in cui le persone già credono. Inoltre, chi diffonde le voci tende a ad ascoltare solo chi percepisce come “simile” a sé stesso, ossia chi appartiene alla stessa echo chamber, in specie sui social.


Ciò detto, non è irragionevole supporre che se gli animali di Andersen l’avessero usato, forse l’ambiguità si sarebbe almeno ridotta.


Allport e Postman erano convinti di poter legare le due variabili che prendevano in considerazione (ambiguità e rilevanza) con una moltiplicazione, dunque erano fiduciosi che per proprietà di quell’operazione, se una delle due quantità fosse stata = 0 la nostra diceria sarebbe morta rapidamente.


Noi sappiamo che di norma le cose non vanno così, e poi a noi la cosa sarebbe dispiaciuta, perché Andersen non ci avrebbe dato la possibilità di parlarne, oggi.

In tempi di bufale e fake news, quella novella rivolta a bambini di metà XIX secolo ha un sapore davvero evocativo.


(2 - fine)

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