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"Non dormite con i fiori in camera da letto": uno strano modo per morire

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Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Il 18 dicembre del 1896 così scriveva la stampa australiana:


Viene annunciato che di recente un’attrice americana è scampata per un soffio alla morte, a causa dell’odore opprimente prodotto dalle viole che teneva in camera da letto. Un ammiratore entusiasta gliene aveva inviato un gran numero, lei li aveva divisi in un gran numero di vasi posti in camera da letto, ed era andata a dormire. Al mattino dopo giaceva in condizioni di collasso, e solo dopo molti sforzi poté esser riportata in vita. È una storia americana, e gli scettici potrebbero dubitarne. Tuttavia, chi scrive ricorda bene un’esperienza che gli era stata riferita dal defunto Sir Andrew Clarke non molto tempo prima della sua scomparsa. 
Sir Andrew era stato chiamato presso un paziente che da alcuni giorni soffriva di oscuri sintomi dei quali il medico di famiglia non riusciva a scoprire le cause. Il grande dottore esaminò a sua volta il paziente, e neppure lui riuscì a scoprire le cause degli attacchi. Gli diede delle medicine, e sperò per il meglio. Alcuni giorni dopo fu chiamato di nuovo: il paziente era chiaramente in condizioni pericolose, ma, di nuovo, pur indagando e cercando di chiarire le circostanze dei malesseri, non riuscì a farsi un’opinione sulle vere cause della malattia. 
Giunto a un punto morto, prese a controllare se nella stanza ci fossero muffe o tracce di umidità. Le pareti erano asciutte, e il locale sembrava assolutamente sano sotto ogni profilo. Indagando ancora, scoprì però che, seminascosto alla vista, c’era un vaso di fiori marcescenti - giacinti, se la memoria non m’inganna - che erano lì ormai da diversi giorni. L’acqua del vaso, o ciò che ne rimaneva, produceva un odore tremendo. Ordinò che il paziente cambiasse stanza: il miglioramento iniziò subito e fu totale nel giro di pochi giorni (L’ospedale).

Quello che abbiamo appena visto è un bellissimo esempio di una leggenda diffusa in buona parte del mondo fino a qualche decennio fa: tenere in camera da letto piante o fiori recisi è pericolosissimo, si rischia di morire nel sonno, o di ammalarsi gravemente in pochi giorni.


Indagando nella cerchia di vostri parenti o conoscenti non più giovanissimi, ne troverete facilmente traccia, nei ricordi degli ammonimenti che venivano rivolti, in particolare ai giovani. Di solito la causa della morte, fra le generazioni più prossime alla nostra, era attribuita alla produzione di anidride carbonica durante le ore di buio.


Un debunking del 1935


I tentativi di far fronte alla leggenda da parte di medici, chimici, coltivatori, sono stati davvero innumerevoli. Uno fra tutti, per il suo successo mondiale e la sua presenza in Italia: il libro del medico americano August Astor Thomen (1892-?), che fu assistente presso la cattedra di medicina dell’omonima facoltà della New York University. Il suo Don’t believe it! Says the Doctor, uscito per la prima volta nel 1935, è una raccolta di duecento “false idee, errori, malintesi e misinformazioni sulla salute e l’igiene, malattie gravi e cancro, cure e malattie non gravi, cibo e alimentazione, mente e sensi, matrimonio e morte, e delle fallacie sulla salute derivanti da superstizioni e folklore - spiegate e corrette”. Il volume apparve per la prima volta in Italia nel 1940 sotto il titolo Il dottore non crede (edizioni Dall'Oglio, Milano). 


Un vasto programma, dunque, certo ottimista e fiducioso nella scienza del tempo, e che tocca anche la leggenda dei fiori in camera da letto. 


Thomen spiegava che, per quanto ne sapeva, da tempo immemorabile negli ospedali era pratica comune che le infermiere di notte togliessero i vasi da fiori dalle stanze di degenza (ricordiamolo: parliamo del mondo della metà degli Anni 30 del secolo scorso). L’idea era che, in quelle ore, i fiori emettessero qualche sostanza dannosa per la salute (si noti: non anidride carbonica, ma qualche sorta di “veleno”). Thomen aveva parlato con un gran numero di infermiere, e la maggior parte sembrava convinta della cosa, come anche gli era successo di sentire spesso da persone comuni.


Ma i fiori potevano anche essere un bel modo… per suicidarsi. Dopo una cena, una delle ospiti aveva raccontato di aver saputo di un modo “piacevolissimo” per togliersi la vita. Un uomo che aveva deciso di andarsene dal mondo aveva riempito la camera da letto di fiori, e poi si era steso sul letto, addormentandosi in perfetta pace. 


Nel confermare l’idea che i fiori potessero uccidere un uomo addormentato, Thomen commentava che, di norma, i fiori tenuti nei vasi sono fiori recisi, non grandi vasi contenenti arbusti che lavorano per emettere anidride carbonica, peraltro dimenticando che una persona che dorme per sette-otto ore in un cameretta ben chiusa… fa lo stesso. Una lampada a gas tenuta in funzione in quella stanza, cosa allora comunissima, consumava un bel po’ di ossigeno, sicuramente più di un vaso di fiori, ma senza alcun danno significativo. Probabilmente, concludeva Thomen, l’odore sgradevole che dopo un po’ i fiori recisi e le piante poco in salute emettono contribuiva a tener viva anche nelle persone colte l’idea che fossero “velenose” e di grave nocumento, soprattutto per le persone già fragili.


Una fonte italiana


Per quanto riguarda l’Italia, nel suo numero del 1° settembre del 1894, a p. 130, il quindicinale Il consigliere delle famiglie, che usciva a Genova, era precisissimo sui rischi che vari generi di fiori comportavano:


È  imprudente il lasciare mazzi di fiori nella camera da letto; più volte ne risultarono conseguenze letali; soprattutto con fiori di profumo penetrante, come il gelsomino, la tuberosa, il giglio, il narciso, il giacinto. 
Qualche frutto può causare accidenti consimili; si cita il caso di un farmacista che venne trovato asfissiato in una stanza contenente una gran quantità di limoni. Quando si lascia per molto tempo dei mazzi di fiori nella camera da letto, conviene aver cura di rinnovare l'aria nel migliore modo possibile. Se un accidente avesse a prodursi, bisogna portare subito l'individuo all'aria aperta, dargli da bere dei cordiali e cercare con ogni mezzo di ristabilire la circolazione del sangue.

Anche anche i limoni in gran quantità, dunque, possono attentare alla vostra vita, oltre che fiori particolarmente odorosi. 


La “scientificazione” di una credenza che affonda nel folklore


È ben noto che al buio, senza la luce del Sole, le piante emettono anidride carbonica: tuttavia, pensare che ne producano quantità tali da provocare problemi respiratori a una persona è assolutamente eccessivo - tranne che non dorma in un loculo ben sigillato. Allo stesso modo, fiori e piante possono rilasciare allergeni e, naturalmente, pollini che potrebbero creare difficoltà a persone che soffrono di asma o di allergie. Ma, come spesso accade, non è questo che sta al cuore della leggenda dei fiori da non tenere in camera da letto. 


La giustificazione moderna di questo mito è legata alla conoscenza scientifica dei processi respiratori e, soprattutto, della chimica complessa della fotosintesi clorofilliana. Benché i primi studi moderni sulla “respirazione” dei vegetali possano essere fatti risalire al chimico e teologo protestante unitariano inglese Joseph Priestley (1733-1804), è soltanto intorno al 1845 che il medico e fisico-chimico tedesco Julius Robert von Mayer (1814-1878) propose in maniera chiara a sufficienza le dinamiche generali che permettono la sintesi della clorofilla e i conseguenti scambi fra anidride e ossigeno (von Mayer, peraltro, è anche uno dei padri della termodinamica). Quando sulla stampa australiana circolavano storie sull’“attrice americana” e sull’aneddoto di sir Andrew Clarke (forse da identificarsi con costui), gli studi sulla fotochimica dei vegetali stavano esplodendo, e i racconti sui fiori da non tenere in camera erano popolarissimi.  


Tuttavia, è plausibile che l’idea dei fiori da non mettere accanto al letto quando si riposa abbia un fondamento culturale assai più antico, rispetto alla scienza moderna. 

Da un lato, c’è l’idea della marcescenza sempre in agguato, che punta alla caducità della bellezza. L’odore sgradevole che i fiori emanano dopo pochi giorni, per analogia, ricorda quello insostenibile del cadavere. Del resto, è intorno alle spoglie che si pongono i fiori, ed è con ghirlande floreali che si adornano le bare e si salutano i trapassati. Metterle presso i giacigli sui quali si “muore” soltanto per qualche ora è un po’ evocare quanto ci attende. I narcisi erano piantati già nella classicità sulle tombe greche (ne abbiamo visto una menzione specifica ne Il consigliere delle famiglie, nel 1893) e i papaveri rossi appuntati sui petti, specie nella cultura anglosassone, ricordano ogni anno il sangue dei caduti per la patria. La chiusa de La guerra di Piero di Fabrizio De André (1966) sta lì a ricordarcelo.  


Che dormire con fiori e piante intorno, dunque, attiri la morte è un pensiero che non deve sorprendere. Se poi un tale pensiero è stato razionalizzato attraverso la nozione dei danni da carbonarcosi, si tratta di aggiunta recente.


Immagine in evidenza: da Pixabay, di SilviaP_Design


 
 
 

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