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PERLE AI PORCI? LA MODA DEL MANGIARE ORO HA UN CUORE ANTICO (E LEGGENDARIO)




Ai primi di gennaio sui media tedeschi ed europei è esplosa una discussione insolita. Franck Ribéry, giocatore francese del Bayern Monaco, è stato criticato sui social e poi multato dalla società calcistica nella quale milita per essersi fatto riprendere mentre in un ristorante di un noto chef turco a Doha, nel Qatar, consumava una bistecca ricoperta da una foglia d’oro. Costo della pietanza: 1200 euro.


Nemmeno due mesi prima, nella stessa area geografica, un cantante kuwaitiano di gran successo in tutto il Medio Oriente, Essa al Marzoug, era stato al centro delle polemiche per aver fatto una cosa simile.


A noi queste controversie interessano perché riecheggiano leggende antiche. Racconti che si sono tramandati nei millenni, di solito attribuiti alla stravaganza del ricco di turno.

E gli antichi sono fortunati che un tempo non ci fossero i social, perché pasti molto più costosi di quelli di Ribery e di al Marzoug si sarebbero svolti nel Mediterraneo nel I secolo della nostra era.


Il classico dei classici di queste narrazioni ha per protagonista una “decadente” per eccellenza, Cleopatra (cui una storia apocrifa ma interessante attribuisce l’uso di un tipo rudimentale di vibratore). Plinio il Vecchio, nella sua Storia naturale (libro IX, 119-121), scritto intorno al 75 d. C., le assegna uno dei racconti che richiamiamo in breve: l’uso di bere perle preziosissime disciolte nell’aceto pour épater les bourgeois.


Cleopatra possedeva all'epoca le due perle più grandi d’Egitto, che le erano giunte “per mano dei re d’Oriente”. Per irretire Antonio e per convincerlo che era in grado di offrire una festa senza precedenti, la regina si fece portare una coppa d’aceto, si tolse uno degli orecchini che incastonavano una delle due perle e la sciolse nell’aceto, sotto gli occhi sbigottiti del conquistatore romano. Poi la bevve. Quando fu sconfitta da Ottaviano nella battaglia navale di Azio, sempre secondo Plinio, la seconda perla le fu presa, divisa in due e collocata nelle orecchie della statua di Venere, al Pantheon.


Il racconto di Plinio vuole a un tempo mettere in cattiva luce Cleopatra e insieme discutere le qualità che si attribuivano alle perle. Subito dopo l’aneddoto sull’ultima regina d’Egitto, Plinio prosegue (libro IX, 122) spiegando che prima di lei, a Roma, lo stesso aveva fatto un certo Clodio, figlio del tragediografo Esopo, che, avendo ereditato dal padre venti milioni di sesterzi, sciolse nell’aceto una perla di gran prezzo per scoprirne il sapore - per la cronaca “meravigliosamente gradevole” - ma solo per far fare lo stesso agli ospiti che aveva in casa.


Il sovrano corrotto per eccellenza, Caligola, intorno al 120 d.C. per Svetonio (Vite dei Cesari, libro IV, 37, 1) combinava la dissoluzione di perle di gran valore nell’aceto - si noti il punto - con l’ingestione di cibi “innaturali”, fra i quali spiccavano foglie e pani d’oro, perché sosteneva che la frugalità non si addicesse ai Cesari.


Insomma, perle ai porci.


La fortuna della madre delle storie di pietre preziose sciolte, quella di Cleopatra, fu enorme sin dalla classicità. Il vertice della sua rappresentazione è costituito dall’olio su tela di Tiepolo (1744), che oggi si trova in Australia. Potete vederlo nell'immagine in evidenza.


Le attribuzioni dell’usanza, sempre legate all’idea di un lusso sibaritico, in bilico fra invidia e riprovazione, saranno numerose nel corso dei secoli. Non c’è da stupirsi che la riscoperta della romanità abbia condotto a racconti di ambientazione europea come quello concernente sir Thomas Gresham il Vecchio (1519 ca.-1579), il finanziere inglese che fondò il Royal Exchange di Londra. La seconda parte della commedia di Thomas Heywood If You Know Not Me, You Know Nobody (1605) è la rappresentazione di una serie di parvenu che si aggirano intorno a Elisabetta I, mentre questa si avvia al suo trionfo nella guerra navale contro gli spagnoli. Durante un pranzo in onore dell’ambasciatore iberico, Gresham per disprezzo prende una perla da 15.000 sterline che arriva dalle Indie Orientali (torna l’Oriente, come in Plinio), la riduce in frammenti schiacciandola (la capacità solvente dell’aceto è cosa dimenticata) e la beve in un bicchiere di vino, alla salute di Sua Maestà.


L’atto rimane ambiguo: è uno spreco, un lusso senza pari, ma lo si fa perché si ha davanti il prossimo nemico mortale della Gran Bretagna, lo spagnolo, non per flirtare con Antonio o perché, come per il figlio di Esopo, si è ereditata la fortuna paterna. Non a caso nell’azione il vino, bevanda di ben altro tenore simbolico, sostituisce l’aceto.

Un’analisi letteraria condotta presso la Columbia University nel 2000 da Tiffany Alkan ha fatto vedere come il racconto su Gresham oscilli tra l’idea dell’eccesso e il tentativo di dire che quella di Gresham sia stata un’azione pia, uno “spreco” compiuto per una causa buona - cioè per brindare alla salute di Elisabetta nell’imminenza di una guerra decisiva per gli equilibri dell’Europa occidentale. Un’idea che invece, di norma, nel nostro motivo leggendario è del tutto assente.


Sul piano tecnico, ad ogni modo, è bene notare che la forza del racconto sulla perla di Cleopatra è stata tale da indurre parecchi studiosi a misurare se lo scioglimento di una perla in aceto fosse plausibile. Uno studio sperimentale condotto e pubblicato nel 2010 dall’archeologa americana Prudence Jones sulla rivista The Classical World, ad esempio, ha mostrato che la reazione fra carbonato di calcio delle perle e acido acetico produce acetato di calcio, acqua e biossido di carbonio, in sostanza dissolvendo buona parte dell’oggetto, ma soltanto dopo 24-36 ore. Se lo si fa a pezzi, schiacciandolo, ci vogliono solo dieci minuti - ma questo comunque usando una perla assai piccola, da un grammo, non certo quella enorme narrata da Plinio... E a ben vedere una cosa non molto diversa aveva scritto nel 1957 un altro antichista, Berthold L. Ullman, su The Classical Journal. Nulla impedirebbe, però, che la perla fosse stata ingoiata intera o in polvere; insomma, questi studi ci dicono poco sul fatto che gli aneddoti sulle perle mangiate corrispondano a realtà o siano leggendari, magari messi in giro per sparlare degli sprechi di persone particolarmente in vista.


Due notazioni conclusive, una sul contesto in cui i racconti classici sulle perle da bere sono sorte, l’altra sulla vitalità e capacità di trasformazione di queste narrazioni.


Nel Vangelo secondo Matteo (7,6), che è stato redatto intorno al 70 d.C., a Gesù viene fatto dire che non bisogna porre le perle davanti ai porci, perché c’è il rischio che le calpestino.


Un versetto foriero di interpretazioni contrastanti, nel corso dei secoli. Coevo a Plinio e contornato dalle discussioni sulla natura delle perle, qualcuno potrebbe chiedersi con un po' di fantasia se l’idea che ai “porci” si dessero da mangiare le perle non poteva echeggiare in chi redasse quelle righe del Vangelo. Un po’ come in quel periodo si diceva di altri indegni, quelli che osavano mangiare le μαργαριτάρια (margaritaria), come si chiamavano in greco le perle.


Facciamo un salto nella post-modernità, ma nel farlo proviamo a considerare il legame sottile con quanto sopra. Spoink è un Pokémon della cosiddetta terza generazione. Spoink non è altro che un suino che usa la coda attorcigliata per rimbalzare. Sulla testa regge una perla di enormi dimensioni e il suo scopo fondamentale è di difenderla da eventuali sottrazioni.


Così il cerchio si chiude. Le perle, ai porci, alla fine nell’immaginario collettivo sono arrivate davvero.


Le origini dei miti legati al consumo orale di materiali preziosi sono complesse. Insieme alla difficoltà a comprenderle, nel nostro caso abbiamo dubbi sul fatto che lo scioglimento rapido di una perla di grosse dimensioni fosse realizzabile. Le condizioni perché la cosa accada sono piuttosto strette, e il minimo che si può dire è che le nostre mega-perle avrebbero avuto qualche difficoltà a dissolversi nel tempo di una cena, sia pure trimalcionica. Ma la leggenda del consumo di “pasti innaturali” sotto forma di elementi normalmente non edibili e al contempo di prezzo enorme è antica e possente. Il suo lascito narrativo attuale è costituito dal nostro interesse attonito per le foglie d’oro consumate al ristorante da calciatori e cantanti del XXI secolo.


“Io posso”, posso qualsiasi cosa, e, per questo, transiterò nel leggendario della tua contemporaneità. Oggi, come allora.

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