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1970: l'anno in cui le vipere iniziarono a volare




Chiunque abbia un minimo di curiosità per le leggende metropolitane avrà sentito parlare dei lanci di vipere dagli elicotteri: gli striscianti animaletti sarebbero paracadutati su boschi, campi e montagne da gruppi ecologisti, Forestali, Carabinieri o da ditte farmaceutiche come forma di “ripopolamento”, o, in alternativa, da cercatori di funghi e di tartufi vogliosi di tenere a bada la concorrenza; o ancora, dagli ambientalisti per spaventare i cacciatori… La storiella è ormai parte stabile del folklore italiano moderno ed è diventata nel tempo emblematica del leggendario contemporaneo nostrano, tanto che nel 1994 uno di noi, Paolo Toselli, l’ha scelta a titolo per un libro, La famosa invasione delle vipere volanti (edizione aggiornata e rivista: Ledizioni, Milano, 2018).

Non è raro, peraltro, che anche oggi parchi naturali ed erpetologi si trovino costretti a smentirla anche con l’uso di comunicati ufficiali: nel 2020, dunque, questa credenza è viva e lotta insieme a noi.


Anche se questa storia è stata esaminata con grande attenzione fin dalle sue prime apparizioni vistose, quelle iniziate nei primi anni ‘80 del secolo scorso, finora nessuno è riuscito a spiegare nei dettagli dove, quando e come sia nata e, non ultimo, quando sia comparsa la modalità tecnica che la caratterizza, l’idea dell’elicottero come improbabile strumento di disseminazione di un animale “pericoloso”.


Per quanto riguarda l’Italia, sempre nell’edizione aggiornata de La famosa invasione c’è quanto di meglio sappiamo. Le prime notizie di stampa risalgono all’agosto del 1976 e sono localizzate in provincia di Reggio Emilia (ma si resta molto incerti su quando abbia cominciato a circolare la parte relativa all’elicottero lanciatore).


All’estero, abbiamo il caso della Francia. Una veterana dello studio delle leggende metropolitane secondo linee antropologiche, la sociologa Véronique Campion-Vincent, in un suo studio uscito nel 1990 sulla rivista Ethnologie Française (vol. 20, n. 2, pp. 143-155), menziona il 1976 come prima comparsa a lei nota sui giornali del suo Paese ma, soprattutto, presenta gli esiti dell’invio di un piccolo questionario da lei spedito alle istituzioni facenti parte della Federazione dei parchi naturali francesi con cui chiedeva se la storia era loro nota e, se sì, da quando. Due delle risposte ottenute, quelle del parco nazionale dei Pirenei occidentali e del parco regionale del Pilat, nel sud-est, parlavano rispettivamente del 1968 e del 1974. Purtroppo i questionari, ci ha confermato di recent la professoressa Campion-Vincent, sono ormai perduti.

La professoressa Véronique Campion-Vincent.


Forse come precedenti si potrebbero aggiungere due altri filoni narrativi. Il primo è quello del lancio di dorifore da parte di aerei americani prima sui Paesi dell’Asse, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, e poi su quelli a dittatura comunista dell’Europa orientale, dei quali si diceva, complice la propaganda governativa, che fossero fatti per danneggiare i raccolti di patate; il secondo, che stiamo indagando, riguarda i racconti sui lanci di gatti sulla Malesia da parte di aerei militari inglesi e australiani, fra il 1958 e il 1965, con il fine di combattere l’enorme diffusione di roditori nei villaggi.


Entrambi però nascono in contesti culturali assai diversi da quelli della leggenda del lancio delle vipere: le dorifore sono lette come un atto terribile compiuto da nemici mortali, il secondo, come una strana, ma gradita modalità per contribuire al progresso delle campagne.


Nel complesso, tuttavia, pare di poter dire che le origini della nostra storia restano ancora largamente sconosciute. Ora pensiamo di poter dare un piccolo contributo a dipanare la matassa.


Vi racconteremo che cosa abbiamo ricostruito sul più antico ciclo di racconti di lanci di vipere finora emerso, quello che coinvolse la Svizzera italiana nel settembre 1970. Vale la pena di esaminarlo con cura.


Tutto iniziò con la seduta del Gran Consiglio (parlamento cantonale) del Ticino, il 7 settembre 1970. Nella sessione dedicata alle interpellanze, un deputato aveva rivolto al Consiglio di Stato, organo esecutivo del Cantone, un’interpellanza su una scottante questione. Quella delle vipere. Il giorno successivo, l’8, se ne parlò su giornali ticinesi come Il Dovere, Libera Stampa, Popolo e Libertà e Corriere del Ticino. La vicenda, almeno per quel primo giorno, era toccata un po’ distrattamente, nascosta in mezzo alle numerose altre di cui si era discusso nell’assemblea. Ecco ad esempio il sunto del Dovere:


[...] Un’interpellanza dell’on. Poma e confirmatari deplora che al Tamaro, al Camoghè al Gesero e ai Denti della vecchia siano stati liberati numerosi rettili velenosi. Si chiede chi ha autorizzato questo sconcertante ripopolamento tanto più pericoloso per il fatto che l’abbandono sui monti e boschi ha già incrementato notevolmente la diffusione delle vipere. Il Consiglio di Stato, precisa il Presidente, non è al corrente di siffatta operazione: farà indagini e riferirà ad altra tornata.

Dunque, nel pieno dell’estate del 1970, sul versante ticinese del confine italo-svizzero si parlava già di “ripopolamenti misteriosi” di vipere, ma senza che si nominasse ancora il mezzo che poi diventerà il simbolo stesso di questa leggenda metropolitana: l’elicottero.


Il politico all’origine dell’iniziativa era il socialista Paolo Poma, classe 1927, eletto ben due volte alla Presidenza del Gran Consiglio. Per capire nei particolari in cosa consistesse il dubbio del deputato, è necessario leggere il testo completo dell’interpellanza, di cui Poma era primo firmatario, e che ora si trova nel volume dei Verbali del Gran Consiglio - sessione ordinaria primavera 1970 (pp. 399-400):


Abbiamo appreso da fonte bene informata che nelle regioni del Tamaro, Camoghè, Gesero, Matro e Denti della Vecchia sono stati recentemente liberati numerosi rettili velenosi. La notizia ha sfavorevolmente sorpreso la nostra popolazione, in quanto l’incuria attuale dei nostri boschi ha già portato a un sensibile e pericoloso aumento di questa specie. Se poi si considera che in altre regioni - Toscana, ad esempio - lo Stato ha dovuto organizzare, con notevole dispendio, una vasta campagna per la distruzione di queste vipere, non riusciamo a comprendere le ragioni e gli scopi della misura lamentata.
Valendosi delle facoltà concesse dal regolamento, i sottoscritti deputati interpellano il Consiglio di Stato per conoscere:
L’Esecutivo è a conoscenza di questo ripopolamento?
in caso affermativo, da chi e come esso è stato autorizzato?
per quali ragioni è stata concessa una così pericolosa autorizzazione?
P. Poma
Ballinari - Polli - Wyler - Tognini

L’onorevole non specificava quale fosse la sua “fonte ben informata”, non parlava ancora di elicotteri e non faceva supposizioni sulla natura dei “ripopolatori”. L’interpellanza venne poi ritirata nella seduta del 15 febbraio 1971 (Verbali del Gran Consiglio - sessione ordinaria autunno 1970, p. 872), dal momento che il verbale della tornata di quel giorno riporta la seguente, laconica annotazione:


Sulla base di una comunicazione dei firmatari, viene considerata stralciata dai ruoli l’interpellanza P. Poma e cofirmatari del 7 settembre 1970 circa la liberazione di rettili velenosi nella regione del Camoghè, ecc.
Paolo Poma, gallerista e politico ticinese.

Nulla, purtroppo, era spiegato circa le ragioni del ritiro della domanda. Che cosa era sopravvenuto nel frattempo? Nei giorni seguenti all’interpellanza la questione vipere era scoppiata sui quotidiani svizzeri. Per prima fu Libera Stampa, il 9 settembre, a commentare l’interpellanza affermando che “il fatto è comunque stato accertato” e che si trattava quindi di “stabilire i criteri con cui l’operazione serpenti” era avvenuta. Ma a parlarne ancora più diffusamente fu Popolo e Libertà, il 25 del mese, con un articolo dai toni forti: Invasione di vipere velenose sulle nostre montagne?


[...] La notizia, fra i banchi del Parlamento, aveva suscitato curiosità e anche qualche sorriso ironico. Ora sembra però che la situazione sia addirittura più grave da quella prospettata dall’Interpellante. Numerosi cacciatori recatisi nelle suddette zone montane si sono infatti trovati di fronte anziché aitanti camosci aggressivi serpentelli.

Ma c’era ben altro. Un uomo recatosi in un rifugio con figlioletti al seguito si era imbattuto in diverse vipere, e per scacciarle aveva pensato bene di dar fuoco alle sterpaglie: la cosa si era ben presto mutata in un vasto incendio, si era dovuti procedere con lo spegnimento, e l’uomo se l’era cavata con un risarcimento da “diverse migliaia di franchi”.


Siccome l’interpellanza è rimasta inevasa poiché nessun consigliere di Stato sapeva di questo ripopolamento, sarebbe opportuno che una precisazione venga ora fornita - dopo adeguata inchiesta - dalle Autorità competenti. In particolare, nell’imminenza anche dell’apertura della caccia bassa - sembra che i rettili con i primi freddi stiano emigrando verso… il piano - è opportuno sapere con precisione dove sono state condotte queste discutibili operazioni di ripopolamento, come pure da chi, e con quali autorizzazioni esse sono state effettuate…

In questo articolo, per la prima volta, comparivano supposizioni sugli autori del ripopolamento: c’entravano forse i “Naturfreunden di oltre San Gottardo”? Il riferimento era ad esponenti di uno storico movimento ecologista (gli Amici della natura) nato in Austria nel 1895, e che, pur legato in maniera assai forte alla socialdemocrazia tedesca, in quegli anni aveva assunto connotazioni più a sinistra.


Non solo: era gente “di oltre San Gottardo”, dunque proveniente dalla Svizzera germanofona: un confine non solo geografico, ma linguistico, culturale, religioso, fra due aree della Confederazione e dell’Europa centrale. Ancor oggi, anche soltanto per motivi del tutto pratici legati alla conoscenza delle due lingue, gli scambi quotidiani fra le due aree non sono del tutto agevoli.


Il 29 settembre un altro giornale, Gazzetta ticinese, riportava un interessante intervento nella sezione dedicata alle lettere del pubblico. È un articolo importante, perché vediamo comparire per la prima volta il mezzo sgancia-vipere per eccellenza: l’elicottero.


Egregio Direttore, ero quest’estate in vacanza nella regione dell’Alta Val Capriasca. Agli inizi di agosto corse voce che sulle falde del Cavaldrossa erano state calate, a mezzo elicottero, casse contenenti serpi velenosi, della specie berus ed aspide. Molti non credettero a simile operazione. La popolazione dei paesi dell’Alta Capriasca accolse questa notizia con incredulità dapprima, con sdegno poi, poiché la cosa pare sia effettivamente avvenuta. [...] C’è da restare allibiti per tanta incoerenza e incoscienza.

La “lettera firmata” faceva anche alcune supposizioni sugli autori del lancio:


[...] pare che le nostre autorità nulla abbiano saputo di questa azione di ripopolamento. Quindi, è un’azione avvenuta di certo abusivamente. Credo che non ci sia bisogno [di] estendere la specie di questi rettili velenosi, poiché ora si chiuderanno le possibilità di buone e salutari gite alla nostra gente e ai turisti. [...] Magari si risponderà che lo scopo è quello di avere veleno a disposizione per farmaci, ecc. ecc. Ma ciò non mi convince.

Qui vediamo comparire una seconda ipotesi circa le motivazioni dei lanci, dopo quella “ecologista”: quella delle case farmaceutiche, magari interessate ad aumentare il numero dei serpentelli disponibili per poter creare il siero-antivipera (che un tempo era molto più diffuso di adesso, e veniva effettivamente ottenuto a partire dal veleno).


La cosa è importante perché questa versione potrebbe avere un’origine più antica di quella legata all’utilizzo degli elicotteri: di fatto, l’idea del siero fu frequente nella prima fase della storia della leggenda, per poi attenuarsi e scomparire dalla circolazione.


Nei giorni successivi, comunque, la diatriba dilagò sui giornali in lingua francese e tedesca. Ne sono un esempio il dispaccio da Lugano dell’agenzia di stampa SDA di Berna, ripreso da La peuple - La Sentinelle del cantone di Neuchâtel, Nouvelliste et Feuille d’Avis du Valais di Sion, Die Tat di Zurigo, Freiburger Nachrichten di Friburgo (29 settembre) o Walliser Volksfreund di Sion (30 settembre), o ancora lo Schaffhauser Nachrichten di Sciaffusa (2 ottobre). I quotidiani francesi parlavano genericamente di “diecimila vipere”, di “mistero”, di “gesto per impedire la sparizione di questa pericolosa specie di rettile”, forse opera degli “amici della natura”. Un abitante della val Maggia aveva denunciato una proliferazione eccezionale di vipere, ma la attribuiva allo sterminio sistematico dei gufi e di altri rapaci, non agli “inserimenti”. Insomma, non ci si capiva nulla.


Lo ribadiva anche Il Dovere del 2 ottobre, con un articolo intitolato Invasione di vipere? Di preciso ancora nulla. Nel dibattito erano intervenuti Luigi Rimoldi, segretario del Dipartimento cantonale di economia pubblica, e Sergio Postizzi, capo della sezione veterinaria del Canton Ticino, ed entrambi dichiaravano di non aver indizi sulla faccenda. L’inchiesta ufficiale aperta dall’Ufficio cantonale di caccia e pesca sembrava non portare da nessuna parte. Anche la Eli-Ticino e la Eli-Suisse, società elicotteristiche locali, assicuravano di non aver mai effettuato voli per “paracadutare” (sì, per la prima volta il termine usato era proprio quello!) le vipere sulle montagne del Sopraceneri e del Sottoceneri. E fiorivano le supposizioni. La principale era quella della liberazione degli animali da parte di qualche “istituto sieroterapico della Svizzera interna”, che aveva scelto il Canton Ticino per “il clima particolarmente favorevole alla proliferazione di rettili”: in questo modo, si associava una delle due ipotesi esplicative già viste (il siero anti-vipere) a quella dell’origine svizzero-tedesca delle introduzioni. Ma intanto si affacciava un’ulteriore, inquietante ipotesi che alzava ulteriormente il tiro:


Il caso di un cane, colpito nel Gambarogno dal morso di una vipera e morto malgrado la pronta somministrazione del siero da parte di un medico-veterinario, rende attendibile l’ipotesi che le vipere messe in libertà siano di importazione americana. Il siero anti-vipera in commercio in Svizzera neutralizza infatti soltanto il veleno iniettato da vipere europee e mediterranee. Ciò basta evidentemente a dimostrare l’incoscienza di quelle persone che avrebbero, stando a voci sempre più diffuse ma, ripetiamo, non ancora confortate da prove sicure, popolato alcune nostre regioni di montagna di quei pericolosissimi rettili.

Una reazione più diretta al servizio della SDA, che come visto il 28 settembre aveva recato la storia in tutta la Confederazione, non si era comunque fatta attendere.


Il 2 ottobre, fu ancora Il Dovere a smontare le supposizioni dell’agenzia di Berna, chiedendosi: Tutta una montatura il giallo delle vipere? Il Dipartimento cantonale dell’economia pubblica alla fine aveva preso una decisione e bollato le voci come “destituite di ogni fondamento”. Questo passaggio farà sicuramente scattare qualche campanello negli appassionati di leggende metropolitane:


Di prove a tutt’oggi non se ne sono raccolte. Tutte le persone interpellate e che si assicurava sapessero qualcosa di preciso hanno dichiarato di avere soltanto informazioni indirette, colte nei caffè o in altre occasionali circostanze. [...] Non uno solo delle tante persone interpellate successivamente è stata in grado di dire qualcosa di preciso.

Inoltre, anche persone come cacciatori e cercatori di funghi facevano spallucce e affermavano di non aver notato un particolare aumento di rettili. E nessuno sembrava essere stato testimone del lancio. Il cronista buttava lì una supposizione:


Tutto forse è partito dallo scherzo di qualche buontempone o di qualcuno che, avendo “incrociato” qualche vipera, pensava che le nostre montagne ne fossero piene.

E bollava come canard giornalistico la storia delle diecimila vipere paracadutate sul Ticino, intervistando anche un commerciante di rettili che faceva notare l’enorme costo di un’operazione del genere (stimata in oltre trecentomila franchi). Ma l’articolo del Dovere del 2 ottobre è interessante anche per un altro dettaglio: oltre alla già citata ipotesi sull’origine della voce, ne compariva un’altra in conclusione del pezzo.


Tutto sommato ci viene spontaneo sottoscrivere l’ironica considerazione fatta da un nostro lettore secondo cui potrebbe essersi trattato di una montatura fatta da qualche cacciatore o cercatore di funghi che per “sgominare la concorrenza” ha molto abilmente “seminato” la paura delle vipere così da indurre molte persone a non avventurarsi nei boschi o sulle montagne.

Supposizioni che ricorreranno anche in Italia sia per i lanci di vipere sia, in tempi recenti, per le periodiche voci sulle pantere e sui felini vaganti…


Ad ogni modo, già il giorno precedente, il 1° ottobre, Eco di Locarno aveva ottenuto ulteriori precisazioni scettiche da parte di Luigi Rimoldi:


Come è possibile acquistare, trasportare, e liberare 10.000 vipere… senza che nessuno se ne accorga? Da dove è sortita la cifra 10.000 se nessuno conosce o ha visto chi ha operato il lancio? Dove è possibile acquistare 10.000 vipere? Anche pensando, come alcune voci affermano, che le vipere siano di importazione americana, sarebbe per esse impossibile acclimatarsi nel Ticino: diversi fattori lo impedirebbero…

Interrogato, il professor Heini Hediger, direttore dello zoo di Zurigo, per parte sua aveva affermato che era impossibile mettere insieme quella cifra di vipere americane. Vipere “normali” in quel numero, poi, se introdotte di colpo, avrebbero proliferato in maniera smisurata… insomma, tutto appariva un insieme di assurdità scientifiche, comprese le voci ulteriori su lanci in Val Maggia o su responsabilità di imprese farmaceutiche produttrici di siero.

L’ultima parola di questa prima, importantissima, “psicosi da lanci di vipere” in terra svizzera ci arriva da Libera Stampa, che il 6 ottobre 1970 ospitò un intervento - siglato soltanto “f. p.” - ad opera di un lettore che diceva di essere stato presidente proprio della Naturfreunden, l’associazione accusata dei ripopolamenti (e che nel Ticino aveva due sezioni, a Lugano e a Bellinzona). Ma non aveva scottanti rivelazioni da fare su quel can can: anzi, la storia lo aveva fatto “se non ridere, almeno sorridere”. D’altra parte, raccontava di aver scorrazzato per le montagne della zona per oltre trent’anni e di aver visto solo una volta una vipera: animali schivi, che attaccavano solo per difendersi e da cui non c’era, in sostanza, nulla da temere. E concludeva con queste parole:


E terminando… lasciate che colui che scrive dica che le notizie sui serpenti, siano essi di mare o di monte, servono a riempire le colonne del giornale quando manca altro materiale.

I successivi cinquant’anni di articoli, smentite, dichiarazioni ufficiali e riproposizioni del mito delle vipere dagli elicotteri nel complesso gli avrebbero dato ragione.


Per parte nostra, siamo certi di avere ancora moltissimo da lavorare: l’evidenza documentaria fa pensare che il mito sia nato forse già alla fine degli anni ‘60 in aree montane dell’Europa occidentale, come parte del mutamento culturale generale nel rapporto fra la nostra specie e il resto dei biosistemi - ossia della crescente consapevolezza ecologica.


Ma in cosa consisteva questo mutamento? Dagli anni ‘60, anche in Italia, si cominciò a parlare insistentemente di cambiamenti ambientali e di proliferazione degli animali nocivi a causa della crescente antropizzazione e dello sterminio dei loro predatori naturali: fu questo il “brodo di coltura” in cui la storia delle vipere paracadutate prese forma.


Quello che vogliamo dire è che, come vedremo qui di seguito, il processo di urbanizzazione che in quegli anni aveva raggiunto il massimo dell’accelerazione - al di là dei problemi oggettivi, reali, comportò delle distonie fortissime nel rapporto fra aree rurali e centri di medie-grandi dimensioni. Uno dei modi in cui questa tensione si espresse fu il timore, documentabile da centinaia di articoli apparsi in particolare sulla stampa dell’Italia settentrionale, del ritorno delle vipere. Quegli articoli non parlavano mai, in sostanza, di cause “misteriose” o insolite per questa nuova proliferazione, vera o presunta che fosse. La attribuivano agli squilibri che un Paese industriale come il nostro stava vivendo.


Le vipere, che non c’erano più, ora stavano tornando.


Qui possiamo fare soltanto qualche esempio di questa incredibile massa di notizie, di polemiche, di avvertimenti e di cronache su avvelenamenti ad opera di serpenti fra il 1968 e il 1975.


Così, a partire dall’estate 1969 in Piemonte furono organizzate, con “ottimo successo”, vere e proprie “cacce alle vipere” promosse dalle Camere di Commercio (come quella di Cuneo, di cui riferisce il periodico locale La Guida del 25 luglio di quell’anno), in quanto “il numero dei rettili era aumentato in seguito alla quasi totale scomparsa dei loro naturali nemici: falchi, aquile, ecc.”. La “taglia” era di lire 500 per ogni vipera morta consegnata alla Guardia Forestale. I premi saranno riproposti anche l’anno seguente quando, sempre da parte della Camera di Commercio di Cuneo venne stanziata la cifra di mezzo milione di lire per tale operazione valida dal 1° maggio al 31 ottobre. Un articolo pubblicato su Sette giorni a Tortona il 17 ottobre 1970 riferiva che “l’aumento delle vipere in Italia andava assumendo proporzioni allarmanti”: lo aveva detto l’erpetologo Franco Gentili nel suo intervento all’assemblea generale dell’Istituto Erpetologico Italiano, che si era tenuta poco tempo prima a Verona. Evidenziando che l’aumento delle vipere dipendeva quasi del tutto dalla distruzione indiscriminata di rapaci, auspicava “la revisione di certi aspetti della legislazione della caccia”.


Sul numero di settembre 1971 della rivista Selezione del Reader’s Digest, a quel tempo diffusissima, un altro articolo calcava le tinte: in moltissime zone d’Italia si stesse assistendo a una vera e propria invasione di vipere. La Toscana era la regione più infestata. La colpa sarebbe stata dell’esodo dai poderi e dalla gran quantità di cacciatori che avevano


“contribuito notevolmente ad alterare il delicato equilibrio della natura, sterminando animali importanti ed innocui come i tassi e i porcospini, nemici acerrimi delle vipere oltre alla scomparsa di quasi tutti i predatori notturni e diurni, come il biancone, la poiana e i grossi gufi”.

Sempre secondo Selezione, le iniziative prese isolatamente dai vari enti con l’applicazione di “taglie” sulle vipere erano da giudicarsi abbastanza inutili. Di più: potevano dar luogo a episodi grotteschi: per incassare i premi alcuni individui si sarebbero improvvisati veri e propri allevatori di rettili. Su Il Popolo di Novi del 21 maggio 1972 si riferiva invece di un appello lanciato dall’associazione “Liberacaccia” ai presidenti dei Comitati caccia delle province della Lombardia affinché fosse sospesa l’uccisione e la cattura dei rapaci, che aveva portato alla propagazione di vipere, ratti e topi creando un “grave squilibrio biologico”.


Ma forse ancor più significativo era un articoletto apparso su Risveglio Ossolano il 15 giugno 1972 in cui si rendeva noto che l’Istituto Sieroterapico di Milano cercava cacciatori di rettili per la produzione del siero antiofidico: ogni vipera viva sarebbe stata pagata ai cacciatori 5.000 lire.


La Guida di Cuneo tornò sul tema il 14 luglio 1972 con un ampio articolo ripreso da altre testate, che riferiva quanto discusso in un simposio scientifico tenutosi a Roma poco tempo prima: in due anni in Italia erano raddoppiati gli avvelenamenti da morso di vipera. Tra l’altro, ritornava la denuncia da parte dell’erpetologo Franco Gentili:


“L’aumento delle vipere non è un fatto casuale bensì deriva dagli sconvolgimenti ecologici in atto: Viene quindi da pensare che la diffusione dei viperidi sia destinata ad allargarsi”. E prosegue: “Le cause sono di carattere naturalistico e sociale. La prima sta nella caccia spietata condotta ai nemici naturali delle vipere: i rapaci. La seconda chiama in causa lo spopolamento delle montagne.”

Gentili rimarcava inoltre che, a causa dei premi elargiti per la consegna delle vipere uccise, difformi da zona a zona, “nelle province dove i premi sono più alti, vi sono allevamenti abusivi e clandestini di vipere!”


Ecco dunque che anche nel nord Italia, proprio all’inizio degli anni ’70, come in Svizzera (dove forse per prima ci fu la comparsa della nostra leggenda), si iniziava a discutere sempre più di sconvolgimenti ecologici, di cacciatori spietati, di contadini che abbandonavano le proprie terre, di allevamenti clandestini (veri o presunti). Erano questi gli elementi essenziali e il terreno fertile per la formazione di quella che diventerà ben presto una classica leggenda metropolitana anche italiana: l’invasione delle vipere volanti!


Immagine in evidenza: uno dei volantini affissi su cartelli piantati per scherzo nel maggio 1990 sulle colline intorno a Genova. Era firmato con una sigla: "Arrgi".



Si ringrazia Ivo Silvestro (CICAP Canton Ticino) per i contributi e per le fonti fornite.



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