Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Presupposti, credenze e nostre aspettative sono alla base della diffusione delle leggende contemporanee, in tutte le culture e a tutte le latitudini.
Ormai da decenni - se non da prima - in alcune comunità islamiche, sia in Occidente sia in Paesi a grande maggioranza musulmana - circola la storia secondo la quale nel logo di alcune imprese di calzature di stile occidentale o nel design dei loro prodotti si possa leggere in caratteri arabi il nome di Dio, Allah. La cosa è percepita come un insulto gravissimo alla fede dell'Islam, in particolare quando il logo è impresso sulla suola, dato che ciò significherebbe - alla lettera - calpestare quel nome.
Non tenteremo di ricostruire tutti i casi in cui questa convinzione ha suscitato scandalo e proteste. Sappiamo però che ormai sono almeno trent'anni che se ne parla. Uno dei primi casi che conosciamo riguarda la Bata, la grande impresa canadese di scarpe, la cui fabbrica presso Dacca, capitale del Bangladesh, il 23 giugno 1989 fu assalita da una folla di persone infuriate perché il simbolo della linea di prodotti lì commercializzati (due campane incrociate) ricordava il nome di Dio. Nei disordini si ebbero due morti e decine di feriti.
Nell'era della rete, invece, non più tardi dell'aprile 2017, di nuovo la Bata ha potuto rimettere in vendita un proprio modello nei negozi della Malesia soltanto dopo che l'organismo di controllo islamico sul commercio aveva bollato come falsità la risorta voce virale secondo la quale su quel tipo di scarpe c'era scritto Allah.
Il caso più clamoroso resta probabilmente quello verificatosi nel 1997, quando la Nike fu accusata in mezzo mondo di aver fatto lo stesso con una gruppo di calzature della linea "Air". La portata delle proteste fu tale che alla fine di giugno si dovette giungere a un accordo fra la compagnia e il "Council on American-Islamic Relations" (CAIR), che da un lato prevedeva il ritiro dai negozi di quelle scarpe e dall'altro la fine degli appelli internazionali al boicottaggio da parte dei musulmani.
Uno dei casi recenti di più vasta portata è invece quello che ha investito in modo particolare il Marocco agli inizi del 2016, anche con disordini e polemiche politiche.
Se voleste un panorama molto più ampio di queste voci, allora scorrete questo contributo di Daniel Pipes, del "Middle East Forum", che segue da parecchi anni il ripetersi di queste leggende.
Potrebbe essere utile considerare queste voci alla luce della pareidolia, il fenomeno psicologico per cui ci sembra di vedere forme e immagini ordinate dove invece c'è un caos di linee e disegni privi di significato (il vecchio gioco della forma delle nuvole, per certi versi).
Però qui c'è qualcosa in più: queste sono, per così dire, pareidolie "negative", in cui si vedono cose "brutte", che offendono, turbano, alludono a complotti, nemici in agguato, avversari… Nel nostro caso, si tratta di alcuni marchi commerciali occidentali, nei quali qualcuno può scorgere la conferma dell'idea di una cattiva disposizione d'animo dei Paesi cristiani nei confronti di quelli musulmani. Il rischio è quello di alimentare in modo paradossale complessi d'inferiorità, sentimenti di offesa a Dio e ragionamenti circolari.
È anche importante ricordare che nelle culture arabe togliere le scarpe e con quelle oltraggiare l'effigie di qualcuno è considerato un insulto assai grave. Troverete con facilità in rete i video di uomini che scagliano scarpe o con esse battono ritratti e gigantografie dei vari rais deposti o combattuti in tempi recenti (Saddam Hussein, Gheddafi, al-Assad, Mubarak...). Nel 2008, a Baghdad, assunse effimera notorietà un giornalista iracheno che si tolse le calzature durante una conferenza stampa del presidente americano George W. Bush e ne scagliò una contro il presidente e l'altra contro la bandiera degli Stati Uniti, esposta nella sala.
Questo comportamento è probabilmente frutto di un'eredità culturale antica, propria del mondo semitico. Lo si trova assai prima che nel VII secolo sorgesse l'Islam. Nei grandi musei di egittologia (quello di Torino, ad esempio), sono esposte solette di scarpe con rappresentate al di sopra le immagini di prigionieri di guerra, legati come quelli che vedete qui sopra. Talvolta è perfino presente un'iscrizione come ”i tuoi nemici sono sotto ai tuoi piedi", o qualcosa di simile, a segno di disprezzo e di totale sottomissione.
Ciò detto, non si deve in alcun modo pensare che queste credenze diffuse negli ultimi decenni siano la norma fra i fedeli islamici. Qui e qui, ad esempio, potrete trovare i post di due musulmani che si rivolgono proprio ai loro fratelli nella fede, esortandoli a non cadere nella trappola dell'irrazionalità e di miti che uno dei due non esita ad associare al termine "paranoia".
Ma, come sempre, tutto dipende dai punti di vista e dai presupposti che si hanno. Le pareidolie come queste possono infatti assumere nelle stesse comunità islamiche segno opposto, e apparire agli occhi dei credenti segni della benedizione di Dio.
Nel marzo del 1990, in certe zone dell'Inghilterra centrale, alcuni musulmani cominciarono a notare un fenomeno strano. Aprendo alcune melanzane acquistate in un supermarket, un uomo di Leicester notò che la disposizione dei semi era tale da formare in arabo le parole Ya-Allah (“O Allah”). Con il diffondersi della voce, altre scritte, compresi segni che formavano un versetto coranico, furono trovati da alcune persone in altre melanzane prese nello stesso supermercato. Un altro caso si manifestò a Nairobi e a giugno, stavolta con un mango, in India. Di queste pareidolie "buone" si è occupato lo storico inglese Mike Dash nel suo libro Borderlands (nella traduzione italiana del 1999, "Al di là dei confini", edita da Mondolibri, la storia è alle pp. 418-420).
Se poi voleste un panorama generale su alcune leggende metropolitane ma soprattutto sulle credenze pseudoscientifiche nel mondo islamico, vi consigliamo il libro di Stefano Bigliardi, docente di filosofia all'Università Al Akhawayn di Ifrane, La mezzaluna e la Luna dimezzata, pubblicato quest'anno nella serie dei quaderni del CICAP. La storia delle pareidolie religiose nell'Islam si trova alle pagine 97-98 del suo lavoro.
[Immagine di copertina: una soletta di scarpa esposta al Museo Egizio di Torino. Foto di Sofia Lincos & Giuseppe Stilo]
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