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Catania, 1977: attesa per un terremoto



Articolo di Sofia Lincos


La sera del 10 giugno 1977 la popolazione di Catania aspettava il terremoto. Fu un’attesa spasmodica, densa di paura, che indusse molti abitanti a dormire in auto o ad attendere la sorte fuori dagli edifici. Nessun fenomeno sismico, per fortuna, colpì la città. Il racconto di quella notte di ansia fu oggetto di grande attenzione da parte dei quotidiani. Dobbiamo a Salvatore Foresta, attento e razionale studioso di anomalistica, una vasta rassegna stampa che oggi ci permette di ricostruire le voci e le dicerie di questo “panico sismico” ormai dimenticato.


Dicerie crescenti


Ai primi di giugno 1977, a Catania prese a circolare la voce che la città sarebbe stata presto colpita da un catastrofico terremoto. Per diversi giorni la redazione del quotidiano La Sicilia fu interpellata al riguardo da telefonate e per lettera. Tutti volevano sapere se fosse vero quanto avevano sentito: un “grande scienziato americano” aveva previsto un sisma in grado di distruggere totalmente Catania. Per altri lo studioso era tedesco, ma la sostanza non cambiava. Due erano le date e gli orari che si rincorrevano, o la mezzanotte tra venerdì 10 e sabato 11 giugno, oppure lunedì 13 giugno alle 6 del mattino. Ecco, ad esempio, quanto scriveva un noto avvocato catanese:


[cit]Corrono voci che uno scienziato americano (lo stesso che predisse con esattezza il terremoto nel Friuli) abbia previsto che il 13 c.m. un fortissimo terremoto raderà al suolo la città di Catania. Desidererei sapere se è vero che questo scienziato abbia fatto questa previsione. In caso positivo, a prescindere dall’attendibilità o meno di una tale previsione sul piano scientifico, sarebbe opportuno che la cittadinanza catanese ne fosse messa al corrente per una libera valutazione del caso de quo. (La Sicilia, 11 giugno 1977)[fine cit]


La psicosi coinvolse anche il Consiglio comunale di Catania che, in una seduta protrattasi fino al tardo pomeriggio del 10 giugno, fu contagiato dalla paura e sospese i lavori. I consiglieri provarono più volte a chiarire la faccenda telefonando a prefettura, polizia e carabinieri, ma senza alcun risultato. Nessuno era in grado di dire da dove avesse avuto origine la diceria, o chi fosse lo “scienziato” in questione. Anzi, le versioni in circolazione erano diverse:


“È uno studioso americano che ha previsto la catastrofe di Tenerife”. “Macché, non c’è stata alcuna catastrofe a Tenerife. Si tratta invece di un tedesco che coi suoi esperimenti ha pure detto in anticipo del disastro del Friuli”. “Ma no, non è così, sentite me. Sono due fratelli catanesi, uno che abita in Sicilia e l’altro che si trova in Germania. Sono degli studiosi di sismologia. Quello catanese ha scoperto che infallibilmente ci sarà un terremoto con epicentro Catania. Allora ha avvisato suo fratello che vive in Germania il quale ha fatto gli stessi esperimenti e ha confermato che è vero, che Catania sarà distrutta a mezzanotte. Li conosce personalmente una vicina di casa che me ne ha parlato”.

Espresso Sera dell’11 giugno riferiva invece un’ulteriore variante: la previsione era attribuita, oltre che agli scienziati, anche a un “fantomatico mago”.


Colpa delle radio libere?


Al panico, secondo La Sicilia, contribuirono inavvertitamente anche alcune emittenti locali, che allora erano in grande auge in tutta Italia. Espresso Sera era più esplicita: dava la colpa di tutto a una radio libera, che aveva raccontato la storiella dello scienziato e della previsione (“forse con tono canzonatorio”). Televisioni regionali come TeleEtna e TeleColor Catania invece l’avevano ignorata, anche per non alimentare le dicerie. Il giornale ne approfittava per condannare senza appelli le piccole radio locali che dal 1974, quando il monopolio Rai fu incrinato - ma nei fatti messo nel nulla - da una sentenza della Corte costituzionale, sorgevano senza regole e senza direttori responsabili, e che con poca fatica potevano scatenare un pandemonio:


Quello che è accaduto dimostra due cose: la incredibile capacità diffusionale dello strumento radiofonico, anche il più dilettantistico, e la necessità di dare finalmente ordine a questo delicatissimo settore della informazione che ha capacità potenziali imprevedibili, e che ha necessità dunque di avere per ogni emittente una responsabilità precisa e subito individuabile, come già accade per i giornali. Bastano pochi milioni per montare una emittente di buone capacità tecniche. Si conosce di gruppi di ragazzi che per mero divertimento musicale ne hanno installato alcune e trasmettono regolarmente programmi. Basta che una emittente del genere senza una direzione responsabile, senza alcuna garanzia normativa, lanci qualsiasi notizia, perché questa notizia nel giro di poche ore diventi un fatto sconvolgente per la pubblica opinione.

Ovviamente, non mancava di citare l’esempio della Guerra dei mondi di Orson Welles. Oggi sappiamo che la portata di quel panico del 1938 fu ampiamente esagerata dalla stampa: i quotidiani temevano, per motivi politici e per la concorrenza spietata, l’avvento della radio e calcarono la mano su quanto successo, presentandosi come la fonte “rodata” e affidabile contro quel nuovo strumento di intrattenimento - e di confusione. A quanto pare, negli anni Settanta questa tensione tra carta stampata e radio non si era ancora spenta, mentre già si annunciava l’era del trionfo dell’emittenza televisiva privata.


Appuntamento con il sisma


La sera fatidica del 10 giugno, parecchi catanesi decisero che era meglio non rischiare: caricarono famiglia, coperte e oggetti di valore in auto e cominciarono ad attendere l’apocalisse. Secondo La Sicilia dell’11 giugno, erano diverse migliaia; secondo Espresso Sera dello stesso giorno, addirittura 150.000! Certo è che piazza Europa, piazza Lincoln e il Lungomare furono invase dai veicoli e dalle persone in attesa, come testimoniano le foto dei due quotidiani; folle di persone si videro anche a Ognina, Cibali, Nesima, in piazza Stesicoro e in piazza Verga (oltre che in coda ai distributori di benzina).


Le descrizioni dei giornali sono colorite. Menzionano una massa brulicante che non si vedeva “dai tempi dei bombardamenti”: bambini avvolti negli scialli, anziani, vecchi claudicanti, paralitici (“Possiamo lasciarli sotto le macerie?”), donne in vestaglia e pantofole, ragazzi con la chitarra. Tra loro, gente di tutte le età e di tutte le classi sociali. Più di tutto aveva funzionato il passaparola. Chi era rimasto in casa era stato prontamente svegliato dai vicini al citofono (“Ma come, non esci? Qui sta per cascare tutto”).

E così, a quanto pare, buona parte dei catanesi si era ritrovata in strada (La Sicilia, 12 giugno 1977).


Una televisione locale, con un po’ di incoscienza, interruppe le trasmissioni annunciando esplicitamente che lo faceva “per permettere che i suoi dipendenti si mettessero in salvo”. Una radio, invece, annunciò tra i programmi della serata “Tutto il terremoto minuto per minuto”. Un’altra ancora (forse la “radio libera” accusata da Espresso Sera) disse scherzosamente che quella, forse, sarebbe stata l’ultima trasmissione...


La notizia di un terremoto a Catania, da ipotesi per l’imminente futuro, era diventata una certezza a Lentini, a una cinquantina di chilometri da Siracusa: verso mezzanotte arrivò una telefonata secondo cui la città era già stata totalmente rasa al suolo (L’Unità, 12 giugno 1977)!


Numerose le chiamate a polizia e carabinieri e al centralino dei vigili del fuoco da parte di cittadini che, probabilmente, cercavano rassicurazioni… Le auto delle forze dell’ordine, a lampeggianti accesi, fluirono nelle piazze dove si erano concentrati gli assembramenti. Carabinieri e poliziotti cercarono di convincere i concittadini a rientrare a casa, ma senza grande successo. Tra le voci diffuse quella sera, si diceva che la notizia del sisma imminente era stata data anche dalla RAI e dal Gazzettino di Sicilia, ossia dal giornale radio della sede regionale della RAI. Entrambe le fonti il giorno successivo smentirono ogni coinvolgimento. Altri la attribuivano al Corriere della Sera o all’altro quotidiano locale, Espresso Sera; qualcuno, infine, si rivolse alle credenze popolari, facendo notare che il giorno prima era stata una giornata molto afosa - e che, dunque, il terremoto era inevitabile (Espresso Sera, 11 giugno 1977).


A mezzanotte, però, non era ancora accaduto nulla. Qualcuno provò a stemperare la tensione con battute e cori giovanili, ma in tanti avevano paura di rientrare. Qualcuno affermò che occorreva aspettare un’altra ora: a giugno era già scattata l’ora legale, ed era possibile che i calcoli non contemplassero lo slittamento. Così, le auto rimasero lì ancora a lungo. Nella confusione si registrò anche un incidente notturno: in piazza Buonarroti, verso le 2 di notte, si scontrarono una Fiat 127 e una moto Suzuki, per fortuna senza gravi conseguenze. Un metronotte in Vespa ebbe invece un colpo di sonno dopo aver corso tutta la notte in giro per tranquillizzare gli animi. Neanche le chiamate alle forze dell’ordine si fermarono: tutti volevano sapere se qualcosa era accaduto, quante erano le case crollate, quante le vittime, se il pericolo fosse cessato.

Con “le radioline accese e il cocomero accanto”, migliaia di persone bivaccarono in strada fino alle 6 di mattina. “Una veglia angosciosa anche se scientificamente irragionevole”, la definì La Sicilia dell’11 giugno.


L’imbarazzo del giorno dopo


Il 12 giugno Espresso Sera registrò l’umore che si respirava in città:


Stamane nei bar, sugli autobus, negli uffici il discorso del catanese è stato sempre lo stesso: “Ma davvero avete fatto la notte bianca per la paura del terremoto? Ma siete davvero gente da tre soldi!” Tutto questo con una faccia scavata da due occhiaie gonfie di sonno, una sigaretta (sarà stata la cinquantesima) che trema appesa al labbro, una risatina sarcastica dentro la quale c’è ancora una larva di spavento. A sentire i catanesi stanotte tutti hanno dormito profondamente nei loro letti, con un sorriso di sprezzo per tutti quegli altri che invece, travolti dal panico, si erano riversati nelle piazze oppure nei prati di periferia.

La Sicilia intervistò Antonino Girlanda, direttore dell’Osservatorio geofisico e geodetico dell’Università di Messina e padre Giuseppe Damiani, direttore dell’Osservatorio meteorico-sismico del Collegio “Pennisi” di Acireale. Il primo era stato assediato per tutta la giornata del 10 da telefonate di gente allarmata che chiedeva notizie. Definiva il tutto “una buffonata”, nata da una voce “semplicemente grottesca”, e ribadiva la posizione della scienza in merito: la sismologia non era in grado di prevedere i terremoti. Padre Damiani, da parte sua, si limitava a un semplice “Non facciamo ridere, per carità…”


Tony Zermo, sulle pagine de La Sicilia (12 giugno 1977) optò invece per un commento più filosofico:


Perché tanto panico per niente? Perché, nonostante il progresso tecnologico e la nostra pretesa razionalità, abbiamo i nervi deboli. Possiamo arrivare sulla Luna, ma se ci dicono che domani ci sarà la fine del mondo siamo anche pronti a crederci. [...] Il panico diffusosi l’altra sera non è tanto questione di sottocultura (anche a Milano recentemente hanno creduto che la fine del mondo fosse vicina per le predizioni di una vecchietta), quanto è segno che siamo fragili come bambini, disposti ad allarmarci per timori illogici e a credere ancora alla favola del lupo mannaro.

Già, la vecchina misteriosa… Anche lei aveva dato un appuntamento preciso: il 27 febbraio 1977 un grosso terremoto avrebbe colpito Milano. Nulla del genere si verificò.


In realtà, panici di questo tipo non sono rari. Negli anni Settanta e Ottanta, soprattutto in seguito al terribile sisma che aveva colpito il Friuli del 6 maggio 1976, che provocò quasi mille vittime, se ne diffusero parecchi. Pochi mesi dopo la scossa principale, infatti, una serie di voci su ipotetici terremoti investì prima il Ferrarese, e poi Cuneo; nel 1980, invece, un’autostoppista fantasma metteva in guardia contro una seconda eruzione del vulcano Sant’Elena, negli Stati Uniti; nel 1988, nell’Istria croata, una donna vestita di nero avvisava che si sarebbe stata una grave siccità, e che l’anno seguente ci sarebbe stata l’Apocalisse… Il panico di Catania, però, spicca tra tutte queste voci anche per il numero di persone coinvolte. Forse l’anonimo “scienziato” suonava più credibile di un’autostoppista fantasma…


Il secondo appuntamento


E fu sera, e fu mattina.


Anche la seconda data fatidica, quella del 13 giugno, trascorse senza scosse. Di nuovo, tanti optarono per la prudenza e decisero di passare la notte fuori casa. Alcuni si misero in attesa anche nella notte tra domenica e lunedì (pur in mancanza di ulteriori “annunci”), e poi di nuovo lunedì 13 alle 6 di mattina. Ci fu chi fece squillare la sveglia alle 5, per poi sciamare verso le piazze, il lungomare e la campagna. Il 13 giugno Espresso Sera parlò di 100.000 persone che avevano prestato fede a quella “ennesima idiozia”, e chiosò impietoso: “per migliaia di fessi, una levataccia”.

Più comprensiva la redazione de La Sicilia, che commentò:


Il terremoto non c’è stato, com’era prevedibile. [...] C’è stata però la paura. E non è sensato domandare alla paura di essere ragionevole: in certi casi non lo è affatto, e anche chi lo sappia non è in grado di sottrarsi alla sua nefasta suggestione. (La Sicilia, 13 giugno 1977)

Già: non è sensato domandare alla paura di essere ragionevole. Se ci si mettono di mezzo anche voci e dicerie, le conseguenze sono quasi inevitabili. A quel punto, sarà troppo tardi per la prevenzione, e al massimo si potranno limitare i danni.


Si ringrazia Salvatore Foresta per le fonti fornite.


Nell'immagine in evidenza: piazza Europa a Catania a metà degli anni '70.

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