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Coff-coff! Ovvero: come mandare nel panico la Marina militare Usa




Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Abbiamo già discusso diversi episodi di MPI, o Mass Psychogenic Illness (disturbi psicogeni di massa): si tratta di eventi in cui gruppi più o meno numerosi di persone, senza una causa oggettiva scatenante, vedendo altri accusare malori o apprendendo che altri stanno sviluppando sintomi vari (di solito respiratori, o vagamente neurologici) ne sono colpiti anche loro all’istante, o comunque subito dopo. Avevamo presentato qui un caso verificatosi nel 2019 in una scuola francese.


Oggi ve ne raccontiamo un altro più antico, che è stato ben studiato e ha visto un enorme numero di baldi giovani della US Navy, la Marina militare degli Stati Uniti, sentirsi male per ore, probabilmente senza alcun motivo. A quanto pare, si sarebbe trattato di uno dei casi più ampi di MPI finora presenti in letteratura scientifica.


L’episodio che stiamo per ricostruire fu studiato “sul campo” da due ricercatori e medici militari della US Navy, Jeffery P. Struewing e Gregory C. Gray, che ne fecero oggetto di un lavoro pubblicato nel 1990 dall’American Journal of Epidemiology.


L’esplosione dell’epidemia di malori


Il 10 settembre 1988 a San Diego aveva fatto molto caldo. Gli indici di inquinamento atmosferico cittadino erano alle stelle, e, inoltre, la qualità dell’aria era compromesso ulteriormente dalla presenza di una serie di incendi di sterpaglie che continuavano a divampare, portando fumo in vari quartieri. Le reclute del Naval Training Center San Diego avevano svolto attività fisiche relativamente leggere, e la maggior parte di loro era riunita per il pasto serale nella sala mensa dei loro acquartieramenti, rinfrescati soltanto grazie alle finestre aperte e al movimento meccanico dei ventilatori da soffitto.


La cena era appena terminata, quando l’istruttore di una compagnia si accorse che stava cominciando a tossire con insistenza e che avvertiva lievi dolori al torace. Anche altri intorno a lui tossivano. Cominciò a chiedere ai membri di altri plotoni, e parecchi riferirono che gli veniva da tossire in maniera anomale.


Fu in questo modo che ebbe inizio uno dei più importanti episodi di Mass Psychogenic Illness studiati dalla letteratura scientifica.


Fu fatto intervenire personale sanitario: molti di coloro che riferivano sintomi (in prevalenza respiratori) ritenevano di essere stati esposti a un agente tossico diffuso nell’aria. Si noti una prima cosa importante: su alcuni militari che presentavano una forte dispnea furono effettuate manovre rianimatorie bocca a bocca, sebbene in nessun caso fosse stato constatato un arresto cardiocircolatorio. In realtà, avevano iperventilato ed erano svenuti.


Alla fine si contarono molte centinaia di malori, con un enorme numero di reclute portate negli ospedali dalle ambulanze. In pratica, però, tutti tornarono in perfette condizioni senza necessità di alcun trattamento. Otto, comunque, furono ricoverati per precauzione, ma il giorno successivo dimessi. Analisi dell’aria, delle fognature, delle condotte idriche non portarono all’identificazione di nessun agente che potesse esser dichiarato responsabile di quanto accaduto. Nel giro di dodici ore al massimo l’episodio si poteva considerare concluso, anche se pure il giorno seguente un buon numero di persone (fra quelle che avevano presentato sintomi il giorno prima) aveva ancora tosse o lievi dolori toracici.


Ecco la seconda cosa rilevante da tener presente: fra le centinaia di soccorritori intervenuti presso il centro addestramento reclute della Marina militare di San Diego, gran parte dei quali sopraggiunti in tempi assai breve dalla comparsa dei sintomi nei primi pazienti, nemmeno uno ebbe a segnalare disturbi come quelli denunciati dai militari della caserma.


L’indagine epidemiologica


Tre giorni dopo i fatti, il Servizio di Medicina ambientale e preventiva della US Navy aprì uno studio epidemiologico per cercare di capire che cosa fosse accaduto. Furono intervistate tutte le figure chiave coinvolte, a partire dal personale medico della base e quello intervenuto, gli ufficiali e i sottufficiali, furono consultate le cartelle cliniche di tutte le reclute coinvolte e i referti dei ricoveri, fu somministrato a tutto il personale un lungo questionario sia ai militari colpiti sia a quelli che, pur presenti nelle stesse aree o in altri edifici e spazi circostanti, non subirono alcuna conseguenza.


Dai referti emerse che soltanto uno dei marinai era risultato affetto in quel momento da una condizione importante: una polmonite batterica, che fu trattata con successo con antibiotici. La quasi totalità dei sintomi era lieve, e i soli riscontri obiettivi furono, nel 5% dei casi, quelli di un eritema faringeo (insomma, qualcuno aveva la gola arrossata…).


Dal questionario, risultò evidente l’ampiezza dei sintomi riferiti, da quelli respiratori e lievemente dolorosi (in gran prevalenza) sino alla “diminuzione dell’udito” o alla “parziale perdita di memoria”: una gamma così vasta da far pensare già da sola a un’origine psicogena dell’episodio. Ancora più significativo: i testimoni diretti degli interventi più intrusivi e intensi da parte del personale medico (le rianimazioni bocca a bocca) erano di gran lunga fra coloro che avevano sviluppato sintomi più numerosi, persistenti e significativi. Mano a mano che le persone presenti si allontanavano dalla vista più o meno dettagliata e immediata di queste azioni, la probabilità di riferire malesseri, soprattutto quelli un po’ più seri, scendeva rapidamente.


La valutazione di Struewing e Gray fu che, probabilmente, le condizioni di alloggiamento della caserma, unite ad alcuni fattori ambientali di quelle settimane - temperature elevate, insalubrità dell’aria dovuta all’inquinamento, incendi in atto - avevano davvero provocato in un certo numero di marinai della base lievi affezioni alle vie respiratorie. In altri termini, manifestazioni come tosse, bruciori di gola, e altri potevano avere una causa esogena reale, anche se di nessuna particolare gravità, e comunque del tutto inidonea a scatenare i sintomi di quella sera.


Gli esami tossicologici, del resto, non diedero alcun segnale di avvelenamento dovuto ad eventuali agenti tossici, magari introdotti da terroristi. Anche l’aria di quegli ambienti fu studiata con eccezionale rapidità alla ricerca di veleni, vista la disponibilità di un team militare per la risposta agli incidenti con materiali pericolosi. Non si trovò niente di davvero pericoloso.


Un’altra considerazione interessante degli autori dello studio: in un certo numero di marinai colpiti da sintomi, portati in ospedale e che poi (quattordici giorni dopo, in media) risposero al questionario somministratogli, c’era una divergenza degna di nota fra i referti provenienti dai dipartimenti di emergenza in cui erano stati valutati e le risposte fornite alle domande poste dai ricercatori. Un esempio fra i più netti è quello relativo alla comparsa di rash cutanei. Mentre dai registri medici non risultava nemmeno un paziente con questo sintomo (constatabile per definizione mentre in atto), nei questionari risultò che il 10,3% dei “colpiti” sosteneva di averli avuti in congiunzione con l’evento di quella sera.


Non solo: i sintomi riferiti erano molto diversi fra loro (al contrario di quanto ci si sarebbe attesi se davvero vi fosse stata un’esposizione a un agente tossico), e la disomogeneità dei sintomi riferiti nei questionari post-evento rimaneva la stessa anche quando i soggetti considerati facevano parte della stessa compagnia e quella sera condividevano gli stessi spazi, bagni, e così via.


La conclusione di Struewing e Gray fu che quelle centinaia di militari vittime di quel vastissimo panico di massa osservarono e appresero in pochi minuti veri sintomi di lieve distress respiratorio, dovuti a una concomitanza di cause ambientali, che le manovre rianimatorie non necessarie e la messa in opera in tempi brevissimi di un vasto piano d’emergenza di tipo militare precipitarono lo stress di tutti gli altri protagonisti dell’evento e che in tempi rapidissimi nella caserma corse una voce sul rilascio in corso di gas tossici da parte di nemici non meglio definiti.


Tutto questo contribuì a definire uno dei più grandi casi di MPI finora analizzati. I militari portati via in ambulanza furono 375: un dispiegamento di forze che impiegò gran parte delle risorse della contea e di quelle circostanti. Quelli che riferirono sintomi, furono più di mille. Caso più unico che raro - di sicuro su questa scala - l’evento di San Diego colpì esclusivamente una popolazione maschile. Nemmeno una donna, fra il personale di soccorso civile, di polizia e militare, ebbe a risentire in qualsiasi modo di quanto stava accadendo.


Il che, per un genere di fenomeni che un tempo erano definiti di isteria collettiva, con tutto ciò che la parola comportava in termini di attribuzione di genere, vale forse la pena di esser ricordato.


Immagine in evidenza: United States Navy, Public domain, via Wikimedia Commons






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