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DELICATESSEN/ QUANDO IL MACELLAIO PENSA CHE SIATE DEI BEI MAIALI/ PARTE 3°


Dopo avervi parlato nella prima e nella seconda parte delle leggende sulla produzione di salsicce umane del XX secolo o ben più remote, e prima del botto finale che faremo con una fonte davvero antica, possiamo ora dire che esiste un’evidenza sufficiente per la quale in Italia queste leggende furono oggetto di una lunga catena di trasmissione orale tra classi popolari.


Un caso lampante è costituito da “La barbara ostessa”, una canzone che dovrebbe essere stata composta dal cantastorie Giuseppe Bracali (Firenze 1875-Foligno 1954) prima della Seconda Guerra Mondiale. Uno dei tanti fogli volanti usati nelle rappresentazioni ancora dopo la guerra (fu stampato a Foligno nel 1949) ne ha fissato il testo.


Stando a Roberto Leydi, uno dei fondatori dell’etnomusicologia italiana, che se ne occupò in “La piazza. Spettacoli popolari italiani” (ediz. Avanti!, Milano, pp. 308-311) volume da lui curato nel 1959, in quegli anni era ancora assai cantata nelle strade della pianura Padana. In “Il bambino è servito” (Dedalo, Bari, 1991) lo storico Cesare Bermani ne riporta una versione di tipo magico-favolistico cantata ancora nel 1972 nel Rietino in occasione addirittura del Venerdì Santo.


Una madre snaturata, mal consigliata “da una vecchia” uccide la figlioletta e ne dà il fegato in pasto al padre, ma il fegato magicamente parla e rivela il misfatto delle due donne, entrambe poi bruciate. Si tratta di un caso estremo, per il repertorio che stiamo scorrendo, perché il nostro sguardo è quello della “plausibilità” delle storie rispetto a contesti che si pretendono “razionali”, “moderni”. La sopravvivenza di un canto che narra l’azione di due streghe, una giovane e l’altra vecchia e la vendetta operata con il fuoco quasi grazie a una forma di epatoscopia richiama cose piuttosto diverse da quelle che discutiamo anche se, certo, a quelle contigue.


Invece, qui se ne può ascoltare parte di una versione più mainstream, quella cantata nel Maceratese ancora a metà degli anni ‘70 del secolo scorso sotto il titolo “Il 12 agosto un fatto s’è scoperto”. Una storia non collocata nel tempo e nello spazio, ma che tutto congiura a porre delle culture popolari a cavallo tra Emilia e Toscana.


Comunque, nel caso della versione resa celebre da Giuseppe Bracali la motivazione dell’ostessa/orchessa è un misto di lussuria e d’ingordigia economica. La donna (“Giulia”), che gestisce una locanda, nel rapporto con un amante più giovane di lei (è vedova), è ostacolata dalla presenza della figlioletta, bambina di pochi anni. L’uomo le chiede di sopprimerla, lei lo fa in modo orrendo mentre la piccola dorme e poi ne trae un duplice vantaggio: la vende come spezzatino (dunque non come prodotto suino) ai clienti della locanda radunati il giorno seguente per la fiera del paese e gliela serve in pasto, finché uno dei malcapitati - come sempre tutti sono soddisfattissimi della bontà della pietanza - non si accorge di un “piccolo dito” nel piatto. Il crimine è così scoperto e la donna incarcerata.


Ci sono comunque altri indizi del fatto che le leggende sulle salsicce umane, sempre collocate in un passato più o meno remoto, siano sopravvissute, in modo speciale nelle zone a cavallo tra Emilia, Romagna e Alta Toscana.


Al Passo di Cento Croci, al confine appenninico tra le province di Parma e La Spezia, è il caso della storia di un hotel con trappole multiple in cui precipitano gli ospiti, poi fatti morire su letti di chiodi e cucinati finché, dopo 99 vittime, un frate non scopre nel suo piatto un dito umano e in questo modo pone fine all’attività terribile dei proprietari.

Non così distante da quel luogo è oggi posta la leggenda dell’osteria di Fornovolasco, nella Garfagnana lucchese. Anche in questo caso c’è un ostello, ma stavolta gestito da frati che, invece che rifocillare i viandanti, se ne rimpinzano uccidendoli e facendone provviste con i loro corpi.


Ci si sposta di poco, al Passo dell’Osteria Bruciata, nel comune di Firenzuola (Firenze), quasi al confine con la provincia di Bologna, e lì si pone di nuovo una locanda temibile presso la quale i proprietari catturano gli ospiti e li servono a chi li segue. Anche in questa sopravvivenza tosco-emiliana del nostro tema c’è un frate scaltro che, avvedutosi che quella servita non era carne di manzo, la porta a far esaminare, con conseguente scoperta dei criminali, loro impiccagione e rogo della locanda maledetta.


Se ci spostiamo sul versante orientale della Linea Gotica, e più esattamente a San Giovanni in Marignano, presso Rimini, oggi incontriamo l’attribuzione alla Seconda Guerra d’Indipendenza (1859) o alla rotta tedesca alla fine della Seconda Guerra Mondiale (da supporsi l’inizio della primavera 1945, dunque) del fiero pasto fatto dagli abitanti con il corpo, a seconda della versioni, di un soldato dell’Imperial-Regio Esercito Austro-Ungarico o della Wehrmacht nazista, talora con vera e propria vendita al dettaglio delle frattaglie presso un banco locale.


Il nostro tema, del resto, è vivissimo in tutta la cultura mediatica contemporanea. Un bell’indicatore ne è il film “Delicatessen” (1991), del regista francese Jean-Louis Jeunet, in cui il commercio di carne umana esercitato da un macellaio che elimina gli ospiti del condominio di sua proprietà diviene emblema di un futuro post-atomico ambientato in una città imprecisata, decrepita, decadente come l’intera realtà.


Andando all’indietro, solo un cenno alla miniserie televisiva americana di SF V-Visitors (1983-84), in cui a cibarsi segretamente di corpi umani sono alieni giunti sulla Terra con intenti solo in apparenza fraterni, e il più sofisticato film Usa del 1973 Soylent Green (“2022: i sopravvissuti”), che presenta un classico futuro distopico con la produzione segreta di alimenti destinati a soddisfare un mondo inquinato e sovrappopolato, prodotti pubblicizzati come cibi a base di plancton ma in realtà fabbricati usando quel che già sapete.


Assai meno noto, e dunque, degno di menzione, Lo strangolatore di Vienna (1971), diretto da Guido Zurli, in cui un macellaio appena liberato dal carcere, prima uccide la moglie e ne fa salsicce, poi, visto il favore del pubblico, fa lo stesso con altre donne, fiché, una di queste, imprigionata, riesce a farlo arrestare inserendo dei gioielli in una partita di carne umana destinata - per non farsi mancare niente - proprio alla Polizia.


Di una storia ambientata nel Piemonte del XIX secolo scriveremo a parte, ma siamo comunque certi che la leggenda delle salsicce umane sia stata impiegata a fini politici già all’inizio dell’Alto Medioevo. Procopio di Cesarea (490 ca.-565 ca.), storico bizantino, fu segretario di Belisario, illustre generale di Giustiniano I. Intorno al 550, dopo aver seguito una delle campagne belliche di Belisario, quella condotta contro i Goti dieci-quindici anni prima, scrisse in greco la celebre cronaca delle operazioni, la “Guerra gotica”.


Nel narrarne i disastri, nel libro II, al capitolo XX, Procopio menziona un episodio che si sarebbe verificato quando si combatteva nelle campagne presso Ariminum (Rimini), dunque forse un po’ prima dell’anno 540.


Né mancarono esempi d’infelici, i quali, stretti dalla fame cibaronsi di lor carne a vicenda; e fin si narra che in tale campagna oltrepassata Arimino città, due femmine, le sole rimaste nella borgata, attutassero il ventre con diciassette forestieri, i quali tratto tratto avviati a quella parte andavan presso di loro ad albergare, e quivi uccisi nel tempo del riposo venivan da esse divorati.
Alla fin de’ conti l’ospite decimottavo sul procinto d’essere fatto in brani è voce che destatosi e giunto scaltramente ad ottenere dalle donne la confessione di sì atroce delitto le desse entrambe a morte; così va la fama.

“La fama”, dunque, in questo caso tradotta con un latinismo, nel greco originale è un φασιν, un “si dice”, e nulla di più. Una diceria, una voce. Il grado più semplice della gnoseologia greca. Quel semplice “si dice” ci trasmette comunque l’idea che in quell’occasione l’atroce serie delle due barbare ostesse sarebbe stata interrotta in modo diretto dalla diciottesima vittima designata, non - come sempre avviene nella modernità - dalle indagini di polizia, magari indirizzata dai sospetti o dalla confessione di un complice riottoso resa al magistrato o ai tutori della legge.


* * * * *


Le storie di cui ci siamo occupati NON concernono psicopatici o individui isolati. Non si tratta di serial killer, ma di soggetti inseriti in un’organizzazione economica, parti di un processo produttivo, di un’azione condotta o dal professionista/tecnico (il macellaio, l’albergatore, il commerciante) o da nemici mortali (le SS, i sovietici, gli ebrei, i musulmani). Quando a produrre le salsicce umane sono i “nostri”, è soltanto perché a far precipitare le cose sino a quel punto sono stati avversari che hanno indotto fame, disperazione, bisogno, così generando l’organizzazione di tipo semi-industriale che ne diventa l’emblema, con le sue macchine e i suoi marchingegni disumani.


(Si ringrazia per la collaborazione il giornalista Stefano Dalla Casa)


[3 - fine]

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