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Furto di peni in Nigeria

Aggiornamento: 6 giu


Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Ai primi di novembre del 2020 il governatore dello stato nigeriano di Benue, che si trova nella parte orientale del Paese, è dovuto intervenire di persona per cercare di fermare una diceria che stava provocando il panico fra la popolazione maschile. Secondo la voce i genitali di un certo numero di uomini, soprattutto nella zona di Daudu, vicino alla città di Guma, erano misteriosamente scomparsi.


Il governatore Samuel Ortom, recatosi nelle zone interessate, ha smentito con fermezza che eventi del genere si fossero mai verificati. Ha poi stigmatizzato i disordini con conseguenti saccheggi avvenuti nei giorni di massima tensione. In quel periodo, stando a quanto riepilogato da Ortom, nessuno si recava a Daudu o nei dintorni dalle zone circonvicine. Negozi e mercati erano completamente deserti.


La situazione è volta verso il peggio il 3 novembre: durante una riunione dei capi-famiglia convocata dagli anziani di Daudu, due uomini, fra cui un carismatico musulmano, sono stati accusati di essersi messi d’accordo per far sparire “con mezzi mistici” gli organi maschili. Lo scopo? Chiedere alla vittime una somma di denaro in cambio della guarigione. I due hanno rischiato il linciaggio; sono stati salvati a malapena dalle forze dell’ordine, ma le loro case sono state date alle fiamme dalla folla.


Cinque giorni dopo, l’8 novembre, il quotidiano nigeriano Sun ha scritto sul suo sito:


Quando il governatore ha chiesto a chi sosteneva che i suoi genitali fossero stati asportati per via soprannaturale di farsi avanti, solo uno si è presentato e, richiesto di provare le sue affermazioni, non è stato in grado di farlo: le sue parti intime erano intatte.

Sia il governatore sia un maggiorente locale hanno presentato la vicenda dalla loro angolazione: il primo ha esortato la popolazione a evitare dicerie, senza approfittare della situazione di paura per compiere reati; il secondo ha lodato i capi delle comunità per aver combattuto il fenomeno. Il comando della Polizia dello Stato di Benue ha negato che fossero giunte denunce relative alle “misteriose sparizioni”. Otto persone erano state arrestate per furti, saccheggio e danneggiamenti, ma non c’era la minima evidenza che qualcuno fosse stato davvero vittima di incidenti insoliti. Secondo un funzionario di polizia:


In seguito alla notizie sui “furti della virilità” [...] le presunte vittime in realtà hanno dichiarato di star subendo disfunzioni degli organi genitali e non rimozioni di essi, come invece riferito in un primo momento. Le vittime sono state condotte al Centro di formazione dell’Ospedale universitario dello Stato di Benue, dove un medico ne ha certificato la condizione di normalità somatica: tuttavia, hanno continuato a insistere che i loro organi erano stati asportati”.

Voci come queste circolate in Nigeria nel novembre dell’anno scorso trovano una chiave di lettura nell’antropologia e nell’etnopsichiatria. L’episodio del novembre 2020 sembra infatti essere soltanto l’ultimo di una lunga serie di fenomeni simili, che si ripetono di tanto in tanto in diverse aree dell’Africa sub-sahariana (con presenze più sporadiche in altre aree geografiche). Un lavoro che ha ricostruito in tempi recenti il quadro generale è comparso nel 2015 sulla rivista Public Understanding of Science ad opera di Ama de-Graft Aikins (che si occupa di salute pubblica presso la Ghana University), insieme alla psicologa clinica e culturale Vivian Afi Dzokoto (della Virginia Commonwealth University… Si occupa del “furto dei peni” da molti anni, e Earl Yevak). Lo studio analizzava circa 180 casi segnalati da undici Paesi dell’Africa sub-sahariana nel corso di un ventennio, descrivendola come un’epidemia socio-psicologica in cui i media avevano svolto un ruolo fondamentale. Su giornali e TV, la prospettiva principale era di tipo “laico”, e largo spazio era dato agli esperti. Il problema, secondo Dzokoto, era che come esperti quasi sempre, almeno fino a metà del decennio passato, venivano convocati medici ed altre figure di ambito sanitario. Questi, se da un lato rifuggivano da qualsiasi interpretazione sovrannaturale sul furto dei peni, dall’altro la patologizzavano; i soli scorci offerti, di fatto, erano di tipo patofisiologico o psicopatologico. Per il lavoro condotto da Dzokoto, la scarsa attenzione prestata al contesto culturale e alle dinamiche psicosociali dai mezzi di comunicazione e dalle autorità avrebbero avuto conseguenze rilevanti. La prima, il puro e semplice ripetersi degli episodi (quello nigeriano del novembre scorso è soltanto l’ultimo della serie); la seconda, l’accentuarsi dello stress e dell’isolamento di coloro che si ritengono vittime dei “furti”, a fronte delle violenze contro chi viene individuato come causa del fenomeno e di altre manifestazioni di panico di massa (saccheggi, chiusure agli estranei di paesi e cittadine, atti criminali). Come si diceva, Vivian Dzokoto si occupa da molti anni del problema nell’Africa sub-sahariana. Sullo sfondo dello studio del 2015, infatti, è utile considerarne anche un altro: quello che, insieme a un altro autore, Dzokoto aveva prodotto dieci anni prima sulla rivista Culture, Medicine and Psychiatry. Quel lavoro è servito a delineare e a distinguere meglio da altri fenomeni simili il terrore del furto di peni, così ricorrente in Africa. Prendiamo un caso esemplare di panico da scomparsa di genitali: si verificò nel settembre 2003 nell’area di Khartoum, capitale del Sudan (ancora quello Stato non era diviso in due a causa della guerra civile fra nord e sud). In quel periodo, si diceva, stranieri misteriosi, di origine diversa a seconda delle versioni, facevano sparire i peni dando alla vittima una stretta di mano, oppure tramite uno strumento elettronico. Per antonomasia, i colpevoli erano chiamati “gli amici di Satana”, oppure erano accusati di essere “agenti sionisti” infiltratisi da Israele per far sì che i sudanesi non procreassero più. E, come in Nigeria di recente, si raccontava che gli stranieri estorcessero denaro ai “derubati” per far tornare a posto il membro. Per porre fine al panico le autorità sudanesi ricorsero a misure autoritarie: furono arrestate sia persone che, secondo quanto sostenevano le autorità, praticavano la “stregoneria”, sia diverse fra le presunte vittime, accusate di simulare. Per la prospettiva etnopsichiatrica di Dzokoto, il “furto dei peni” dell’Africa subsahariana sarebbe caratterizzato in maniera fortissima dalle accuse rivolte a nemici misteriosi ma comunque sempre provenienti da “fuori”, o, in occasioni più rare, anche a membri delle stesse comunità. In ogni caso, la linea di fondo è sempre simile: scopo delle azioni semi-magiche dei criminali sarebbe quello di impedire ai maschi la possibilità di diventare padri. Secondo Dzokoto questa caratteristica (i discorsi diffusissimi sugli agenti esterni) sarebbero importanti soprattutto perché rappresentano la linea di demarcazione rispetto a un altro fenomeno antropologico che mostra somiglianza con il furto dei peni: il koro, paura analoga a quella africana, ma diffusa in Asia orientale, nella quale però di norma i “nemici” fanno parte della stessa comunità colpita. In un articolo del 2008 su Harper’s Magazine, il giornalista-viaggiatore Frank Bures descriveva il suo incontro e colloquio con una vittima di questo genere di furti - qualcosa che, per chi lo viveva, era un fenomeno reale e tangibile. Bures faceva notare che in Africa il furto dei peni, sia pur in maniera sporadica, era comparso già nel 1975, e legava anch’egli, in una prospettiva etnopsichiatrica, gli eventi africani alla tradizione del koro, che probabilmente è antica e comunque documentata almeno dall’ultimo quarto del Diciannovesimo secolo. Bures voleva comunicare ai lettori dell’Harper’s Magazine che le voci, le leggende e le concrete paure da “sindrome del pene scomparso” risultano, sì, poco immaginabili (e rinvenibili) negli Stati Uniti o in altri Paesi europei, ma che sono del tutto plausibili in altre, vaste parti del mondo. Non solo la patologizzazione del fenomeno di solito appare inutile, se non dannosa, ma le sue cause sono complesse: come scrive Bures stesso (e come si intravede dal caso nigeriano del 2020 che abbiamo presentato), ne possono persino approfittare gang criminali. In certe occasioni, uomini appartenenti a bande delinquenti possono addirittura diventarne protagonisti e attori (ossia, fungere da “derubati” oppure da agenti malvagi ruba-peni, di norma “interpretandone” i ruoli, per motivi di vario tipo). Studiosi africani come Dzokoto, invece, sono più prudenti di Bures sull’accostamento fra i fenomeni asiatici e quelli africani. Questi ultimi, di norma, sarebbero segnati dalla presenza del capro espiatorio e dalla violenza esercitata su di esso da membri dello stesso gruppo sociale della vittima, a volte dello stesso specifico clan familiare o compagni di lavoro. Alla rapida crescita socio-economica di diversi Paesi africani sarebbe collegata invece la maggior patologizzazione di vittime e “carnefici”: portati in ospedale per visite generali e psichiatriche, sorvegliati e puniti dall’autorità politica, e non dai loro pari. Una constatazione: un grande manuale del sociologo Robert Bartholomew, Outbreak!, The Encyclopedia of Extraordinary Social Behavior (2009) dedica molte pagine (194-206) a questi fenomeni ma - si noti - tenendoli sotto due voci diverse: una, dedicata all’Asia; l’altra, all’Africa. Scorrendole, si scoprirà che l’individuazione del capro espiatorio in Africa è diffusissima, e che in Asia orientale, al contrario, è scarsamente descritta. I panici da pene scomparso in Africa, come dicevamo, sono segnalati a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, e sono legati a una serie di trasformazioni sociali avvenute in quegli anni: urbanizzazione e modernizzazione, crescita delle borghesie nazionali, un maggior divario tra la classe ricca e quella che abita nelle aree più povere e rurali, a scarsa scolarità. Certo, tutto avviene sulla base di presupposti culturali precedenti e di specifiche tradizioni, ma, ormai, frullate insieme nell’inarrestabile modernità dell’Africa del 2021. Nel discutere il fenomeno, l’anonimo redattore della rubrica The Straight Dope del Chicago Reader ha scritto:


C’è una spiegazione perfettamente ordinaria per questo - e, a quanto pare, sta nei muscoli cremasteri, che spingono i testicoli verso il corpo, tipicamente come risposta al freddo o alla paura. La cosa è di solito accompagnata da una sensazione di formicolio che può essere facilmente interpretata come una scossa elettrica. Il mistero è perché questa esperienza normale debba essere presa come un segno delle arti oscure. La spiegazione standard è quella dell’isteria di massa, che però non ci dice nulla [...].
Che cosa sta succedendo? La spiegazione più probabile è quella che è stata chiamata “stregoneria della modernità”: in una società in via di rapida urbanizzazione, quando sbatti in mezzo alla folla anonima una banda di sempliciotti, non c’è da stupirsi che qualcuno di quest’ultimi prenda a comportarsi in maniera strana. A meno che non si riescano a trovare racconti di peni fatti sparire nell’antichità, il furto dei peni come fenomeno di massa è relativamente recente, essendosi presentato per la prima volta in Nigeria agli inizi degli anni ‘70, per poi allargarsi a gran parte dell’Africa occidentale e centrale negli anni ‘90. È uno scenario facile a delineare: la brulicante Lagos, un incontro spaventoso con l’estraneo, l’attivarsi del cremastere. Aggiungeteci i giornalisti che diffondono in maniera acritica storie folli, e allora capiremo il brivido che sperimentano le vittime: è lo shock della novità.

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