Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Il 10 maggio del 2000 il quotidiano comasco La Provincia annunciava che alcuni cittadini israeliani in viaggio in Australia erano appena stati rapinati di tutto ciò che d’importante avevano con loro. Il criminale - un canguro - si era dato alla macchia.
Tel Aviv - Tre turisti israeliani sono stati rapinati da un canguro mentre erano in escursione in una zona disabitata nella regione di Sydney, in Australia, secondo quanto ha riferito - con assoluta serietà e con un documentato racconto - l’agenzia israeliana di stampa Itim. I tre giovani - spiega infatti l’agenzia - erano alla ricerca di canguri che speravano di fotografare prima del loro rientro in Israele. Dopo ore di vane ricerche, mentre rientravano alla base di partenza, un canguro si è parato all’improvviso davanti al paraurti anteriore della loro automobile, ed è stato travolto. Di fronte al corpo esanime steso sull’asfalto i turisti hanno estratto le macchine fotografiche e, per rendere più interessanti le immagini, hanno avuto la bella pensata di rivestire il mammifero con il giubbotto di una delle ragazze. A quel punto il canguro si è riavuto ed è balzato via. Ai tre improvvidi turisti non è rimasto altro da fare che riprendere il canguro dileguarsi nella vegetazione, mentre si portava via, con la giacca, anche il passaporto, i soldi e il biglietto aereo della turista.
La “notizia", ormai vecchia - risale a diciannove anni fa - è solo l'ennesima versione di una storia in circolazione da alcuni decenni, di cui oggi vi presenteremo i tratti essenziali.
Nel 1986, nelle pagine del suo The Mexican Pet, il motivo folklorico dell'animale fuggito col malloppo era stato analizzato da Jan H. Brunvand nelle sue tre varianti principali, tutte già diffuse da lungo tempo. Lui le chiama così:
il “canguro ladro”, naturalmente ambientato nei grandi spazi australiani, a volte con protagonista un trio folk-pop americano del passato, il Kingston Trio. L'animale generalmente fugge con un bene di lusso, come una giacca firmata o un paio di occhiali RayBan, o in alternativa le chiavi di un fuoristrada.
A questa si affiancano due versioni ambientate negli Stati Uniti:
l’“orso rapitore”, plantigrado addormentato in un grande parco come quello di Yellowstone, che porta via un bambino messogli a cavalcioni da una famigliola di turisti in vena di foto spiritose;
il “cervo fuggito”, in cui un animale stordito dal colpo di un cacciatore rinviene scappando con il costosissimo fucile (magari con mirino telescopico) che il prode gli aveva messo sulle corna, per fare una foto al “morto” con l’arma in quella posizione.
L’anno dopo l’uscita del libro di Brunvand ci fu un evento sportivo rimasto nella memoria di parecchi italiani. A Perth, in Australia, fu infatti disputata un’edizione memorabile dell’America’s Cup, la grande competizione velistica. In quell’occasione diventò celebre “Azzurra”, imbarcazione fortemente sostenuta da Gianni Agnelli e dall’Aga Khan IV. Fu proprio in quel periodo che la variante del canguro ladro raggiunse l’apice dell’interesse giornalistico.
Il 12 agosto 1987, sul quotidiano della Florida St. Petersburg Times, il giornalista e scrittore Gordon “Red” Marston, appassionato reporter di nautica, diede conto di almeno tre varianti della nostra storia che circolavano proprio in relazione all’America’s Cup.
La prima ci riguarda da vicino, perché in sostanza prendeva in giro una delle icone del momento (Gucci) e gli italiani che idolatravano la moda. In questo caso, un gruppo di connazionali che seguiva le (deludenti) prestazioni di “Azzurra”, duranta la solita gita investiva il consueto canguro che, rivestito per essere immortalato con una preziosa giacca di Gucci, si riprendeva fuggendo nella boscaglia con le chiavi della Land Rover in una tasca.
La seconda, invece, prendeva di mira i membri dell’equipaggio dell’imbarcazione “Canada II”. Un non meglio precisato “scrittore di San Francisco” aveva infatti riferito che il canguro, investito dalla squadra, era rinvenuto scappando via con una giacca da marinaio nelle cui tasche si trovava denaro e un passaporto.
Nel terzo caso, un più anziano ma celebre velista americano, Lowell North, si vedeva sottrarre il blazer ufficiale di un altro natante, l’”Eagle”.
Si direbbe che in tutti i casi, seppure in modo tutto sommato lieve, il sentimento retrostante fosse quello della “punizione” per il forestiero in cerca di souvenir e foto ricordo - e magari del tutto ignorante delle peculiarità australiane. Alla vendetta dell’animale icona del Paese non sfuggivano né gli italiani, né gli israeliani, ma neppure stranieri più prossimi culturalmente agli Aussies come gli statunitensi e i canadesi.
L’anno dopo (1988) il canguro ladro diventò l’emblema stesso del folklore contemporaneo australiano. Amanda Bishop pubblicò The Gucci Kangaroo & other Australian Urban Legends (The Australasian Publishing Company), libro in cui - titolo a parte - era la stessa copertina a mostrare un più che compiaciuto marsupiale con addosso una giacca a quadri parecchio Eighties, un calice da vino, e, sul naso, occhiali da sole in tono. Insomma, la bella vita.
E’ sempre affascinante - anche se non stupisce - osservare come il folklore contemporaneo abbia sempre attraversato i continenti, senza alcun bisogno di Internet. Nel 1992 lo studioso olandese Peter Burger spiegò in un suo libro (il cui titolo richiama anch'esso la “vendetta del canguro”: De wraak van de kangoeroe, Amsterdam, Prometheus, pp. 35-37) come la disavventura avrebbe avuto per protagonisti alcuni turisti suoi connazionali.
D’altra parte, probabilmente la storia del canguro ladro non nacque con quel tipo d’intenzione (cioè per prendere in giro lo straniero), ma come racconto “autoctono”, interno alla cultura australiana. Uno dei più noti studiosi del folklore di quel Paese, Bill Scott, nel suo Pelicans and Chihuahuas and Other Urban Legends (University of Queensland Press, 1996) è riuscito a documentarne versioni risalenti sino al 1902. In quel caso il veicolo killer (mancato) era un treno, e al massimo la contrapposizione sociale che s’intravede è quella fra città (il treno, epitome della modernità) e mondo rurale.
L’utilizzo umoristico del plot dell’animale selvatico creduto morto da un cacciatore è alla base della breve narrazione stand up fatta da un giovanissimo Woody Allen in un programma tv, il Woody Allen Show, andato in onda in Gran Bretagna nel 1965: dopo averlo steso con una fucilata, l’alce americano di Allen si riprende, e lui lo porta a una festa in costume. Il primo premio per il miglior travestimento (è in corso una gara) va ai coniugi Berkowitz, il secondo... all’alce. I tre vincitori però litigano e finiscono svenuti per la zuffa. Allen li riporta tutti e tre nel bosco, l’alce finto-morto e i due in costume da alce, in un trionfo surreale.
Le esigenze del politicamente corretto si fanno invece sentire con l’utilizzo pubblicitario della nostra leggenda fatto dalla Goretex nel 1995. Lo spot infatti non mostra un investimento, ma un cangurino tenerissimo impantanato per la pioggia. Dapprima soccorso, diventa però subito oggetto della smania voyeuristica dei turisti. Questi gli mettono addosso la giacca per coprirlo dalla pioggia, ma quello, ripresosi al momento degli scatti, se ne va con l’indumento e le chiavi del fuoristrada...
In tutto ciò, la struttura narrativa semplice della storia del canguro ladro e la sua prossimità con un andamento da barzelletta non ha impedito che, adattato all’uopo, il nostro racconto fosse impiegato per uno studio sulla psicologia del marketing uscito nel 1999 sulla rivista accademica Marketing Letters!
I risultati della ricerca mostrarono che lo scopo ultimo della storia non era quello di criticare il consumismo parlando di una marca alla moda. Piuttosto, la propensione a farla circolare diminuiva quando gli sperimentatori proponevano al loro campione varianti in cui le azioni dei turisti sono di tipo altruistico. Ad esempio, la narrazione risultava meno efficace se l’animale veniva salvato, o se si riprendeva proprio perché gli veniva messa addosso la giacca. Il racconto, al contrario, diventava più “potente” e circolava meglio quando i turisti erano “puniti” - per proseguire con gli esempi - per aver cercato di fotografare senza alcuna pietà un animale morto.
Dunque, per tornare un attimo allo spot tv della Goretex, secondo la ricerca di Marketing Letters, per "funzionare" meglio, il filmato avrebbe dovuto mostrare turisti sghignazzanti e del tutto insensibili alla fine ingloriosa del marsupiale - ma al contempo questo avrebbe potuto far apparire i clienti della Goretex in una luce psicologicamente sgradevole... Paradossi del marketing!
Nel 2003 anche il cinema sancisce in modo netto lo spostamento della storia dal modello cervo/Stati Uniti a quello canguro/Australia. In Kangaroo Jack, B-movie prodotto dalla Warner Bros, due disgraziati si trovano dare la caccia a un canguro che pensavano di aver ucciso con l’auto - guardate la magnifica foto di scena che abbiamo selezionato per voi - perché l’animale scappa con addosso un giubbotto nelle cui tasche si trovano 50.000 dollari...
Proprio dall’Italia, infine, ci giunge un utilizzo davvero folgorante della variante del “cervo americano”.
Con Folkville (Homo Scrivens, 2018) Giancarlo Marino ci ha regalato uno dei più interessanti esempi di romanzo interamente basato sulle leggende metropolitane. Il libro di Marino inizia proprio con la nostra storia, nella variante dell'alce americano.
Folkville, metropoli immaginaria, giace lungo la mitica Route 66, che la collega alla vicina Trueville. Lì, al termine di un giorno senza bottino, un cacciatore incontra un magnifico wapiti, sul cui capo troneggiano “corni formidabili: quelli intonsi saranno almeno una dozzina, mai visto nulla di simile!”
Ne verrebbe fuori una magnifica rastrelliera per le sue armi. L'uomo spara nella penombra (è quasi sera), lo prende al petto. Deve fare in fretta a togliere le viscere, perché a parte il buio è ora di rientrare. Ma un dubbio lo assale: potrà davvero trasformare quei palchi in rastrelliera? Il fucile sarà delle dimensioni giuste? Il cacciatore si affretta a collocare la carabina fra le corna del cervo; la prova ha successo, e allora l'uomo prende lo smartphone per il selfie accanto al trofeo. Solo a quel punto gli sembra che l’animale lo guardi. Un istante, e il cervo si rialza con il fucile incastrato fra le corna, fuggendo tra le maledizioni del cacciatore.
Ma il cervo ormai ha già quasi raggiunto gli arbusti che fanno atre le andane tra gli aceri e i pioppi. Però poi si ferma, il cacciatore gli sacramenta contro e allora lui, il cervo, si ferma. Lo guarda con i suoi occhi scuri, profondi e quasi senza sclera e poi si mette ad agitar le corna. Il cacciatore non sa che fare, teme che il cervo stia per caricarlo. E poi è un attimo: il giro sempre più forte, la torsione sempre più stretta e dal fucile, o magari dal palco o chissà forse dall’animo del cervo parte un colpo. Il cacciatore si è afflosciato al suolo. E’ stramazzato come una bestia, o almeno così dice l’amico di un mio amico.
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