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IL CODICE SEGRETO DEGLI INCENDIARI: UNA LEGGENDA EUROPEA


Due streghe danno fuoco a una città (dal "Compendium maleficarum" di Francesco Maria Guazzo, del 1608).

Avrete sentito parlare della storia secondo la quale i ladri d'appartamento, di solito identificati con bande di zingari, userebbero scambiarsi indicazioni sulle case da svaligiare lasciando dei segni vicino agli ingressi.

In un lungo articolo di Paolo Attivissimo, tre anni fa Paolo Toselli intervenne fornendo parecchi dettagli sul vero sviluppo della storia.


Una leggenda dilagata in Italia dagli anni '90 del secolo scorso, ma in realtà molto più antica. Dovrebbe affondare le sue origini recenti nella letteratura d'appendice ottocentesca sui mendicanti girovaghi e sui legami che ne rendevano possibile la sopravvivenza in realtà sociali ostili, legami stretti fino alla creazione di una vera e propria “lingua ladresca”. Un bellissimo libro rappresentativo di quelle forme di comunicazione è costituito dagli "Studii sulle lingue furbesche", che fu pubblicato a Milano del 1846 dal linguista Bernardino Biondelli (1804-1886). A quei racconti nel XIX secolo si sovrappose l'interesse per i linguaggi criptici dei gruppi d'opposizione politica attivi nei decenni della restaurazione post-napoloenica, ad esempio quelli usati dalla Carboneria.


A sua volta, quelle società segrete di tipo politico dovevano molto ai sistemi di cifratura che la moda settecentesca delle logge massoniche aveva reso popolari in ambienti assai diversi fra loro.


Nei sistemi giudiziari di epoca positivistica questa credenza ricevette parecchie sanzioni accademiche. Un esempio illustre: il grande trattato "Handbuch für Untersuchungsrichter als System der Kriminalistik" (1893), del criminologo austriaco Hans Gross (1847-1915), che in Italia fu reso disponibile nella sua quarta edizione nel 1906 grazie alla Fratelli Bocca di Milano. Anche se le pagine sui codici dei ladri furono fortemente adattate dal traduttore al contesto di casa nostra, per il pubblico avvezzo ai modelli lombrosiani ciò che ne diceva Gross era stato anticipato cinque anni prima sull'Archivio di Psichiatria, la rivista del padre della criminologia italiana.


Una lunga storia, dunque, questa dei "codici segreti criminali", che spesso risultano poco documentabili sul piano storico, frutto come sono di discorsi collettivi quali appunto gli odierni "segni dei ladri" che qualcuno riesce a leggere nelle pulsantiere dei videocitofoni del suo condominio o che trova legati ai pali della luce sotto forma di volantini ammonitori.


In questi racconti, che affondano le loro origini nella storia culturale europea, colpisce l'elemento della mobilità geografica di solito attribuita ai responsabili dell'apposizione dei segni sugli stipiti della propria casa. Non stupisce perciò che anche in altri periodi della storia persone ai margini della società come mendicanti, ebrei, lebbrosi, ladri e zingari o altri privi di radicamento locale siano stati accusati di congiurare contro la popolazione civile attraverso linguaggi in codice o simboli segreti in cui l'elemento funzionale sfumava sovente in quello occulto, da formula magica.


Un esempio ulteriore di tutto ciò è quanto presentiamo oggi. Si tratta di ciò che accadde tra il Cinquecento e il Settecento, mentre nel cuore dell’Europa avevano luogo trasformazioni rivoluzionarie di tipo economico, religioso, politico.


Dal 1491 in alcune regioni tedesche, soprattuto del sud, era iniziata una serie di rivolte contadine in cui l’elemento di contrapposizione città/campagna svolgeva un ruolo centrale. Nel corso di queste insurrezioni alcuni gruppi di contadini furono inquadrati in nuclei più o meno scomposti ma con un ordinamento di tipo para-militare. La cosa colpì molto l’opinione pubblica del tempo, non abituata all’idea di civili che di colpo diventavano soldati o qualcosa di simile. Quello del militare, nella Germania del tempo, era un mestiere ben preciso, socialmente determinato. La cosa fu colta come un segno di disordine e di sommovimento.


In questo contesto, ogni fazione in gioco cominciò ad accusare quella avversaria di usare i mendicanti come “arma non convenzionale” incaricata di dar fuoco alle case dei nemici. Proprio questo ci interessa di più.


In tutto ciò, occorre ricordare che all’epoca era diffusissima l'idea che i vagabondi costituissero da sempre un vero e proprio “regno”, con tanto di "re dei mendicanti", cariche nobiliari, spie ed emissari in ogni luogo. La stessa diceria circolava circa i lebbrosi, una credenza che verso gli inizi del Trecento aveva portato a persecuzioni nei loro confronti in Francia, Svizzera e Spagna. Erano queste persone “esterne” alla società dei buoni cittadini ad essere accusate di parlare un linguaggio proprio e dei segni segreti.


Di specifici "segni segreti degli incendiari" - quasi di certo soltanto immaginari - di cui si parlò a partire dai primi del XVI secolo in Germania e poi altrove si è occupato lo storico tedesco della cultura Johannes Dillinger in un saggio pubblicato nel 2006 sulla rivista Crime, Histoire et Sociétés.


Dal 1517 si era diffusa la paura che le torme di vagabondi organizzati avrebbero dovuto dare alle fiamme città o anche intere aree della Germania. La guida di queste bande, come dicevamo, era attribuita agli avversari politici di turno, ma con il sorgere del Protestantesimo a quelle dinamiche si aggiunsero gli scontri fra confessioni religiose. In occasione della dieta imperiale di Regensburg del 1540, ad esempio, i principati protestanti tedeschi giunsero a chiedere all'imperatore Carlo V di intraprendere azioni contro una supposta cospirazione incendiaria progettata nei loro territori ad opera dei cattolici.


Questi sopra accennati, spiega Dillinger, sono solo alcuni esempi di una lunga serie di dicerie che in Europa centrale attribuirono velleità di distruzioni di massa attraverso incendi dolosi agli Hussiti boemi, predecessori della Riforma protestante, oppure, in seguito, ai veneziani o ai turchi (in questo caso, sino a Settecento inoltrato). Dopo il devastante incendio di Londra del 1666 furono adottate misure contro i girovaghi, visti come piromani manovrati a seconda dei casi dai Quaccheri, minoranza protestante radicale nell'Inghilterra largamente anglicana, oppure dai cattolici, ormai usciti sconfitti nelle Isole britanniche.


Anche gli storici, argomenta Dillinger (anzi, è questo il centro del suo articolo) tutto sommato hanno dibattuto troppo a lungo circa la realtà di queste bande organizzate di incendiari e vi hanno ricamato sopra a sufficienza. In realtà, non sono mai stati scoperti documenti che in qualche modo dimostrassero l'esistenza di organizzazioni di questo tipo. Le confessioni dei piromani erano ottenute sotto tortura – come quelle che inducevano i malcapitati a descrivere in dettaglio ogni loro commercio col Diavolo nei tribunali del tempo. Peraltro, al rapporto fra caccia alle streghe e psicosi della bande di piromani agli albori dell'Europa moderna Dillinger aveva già dedicato uno scritto nel 2004 sulla rivista History of of European Ideas.


Un punto ci interessa molto: i racconti sul reclutamento degli incendiari risultano altamente stereotipati, simili fra loro anche in contesti politici e religiosi distanti e contrapposti.


Un vagabondo incontra per caso una persona che si presenta come agente di qualche potentato estero. Di norma costui è un estraneo o anche uno straniero che il malandrino non hai mai visto prima. In altri casi è qualcuno che conosce in modo superficiale, a volte un altro vagabondo. In questo caso, il vagabondo è già stato assunto da stranieri al fine esplicito di creare una banda di incendiari. L'agente offre al vagabondo una somma di denaro per appiccare incendi in una certa zona. Il presunto incendiario è pagato all'istante dall'estraneo. In qualche caso si dice che il reclutatore fornisca il vagabondo di micce lente o di polvere da sparo.


In questo quadro già di per sé assai interessante (ricalca fortemente, ad esempio, le descrizioni sul reclutamento degli untori durante le epidemie di peste) Dillinger si sofferma su alcuni aspetti ancora più peculiari.


Le bande di Mordbronner ("Piromani assassini", com'erano chiamati in tedesco), almeno secondo le confessioni dei protagonisti e le denunce nei loro confronti, portavano su di sé dei segni per farsi riconoscere, ad esempio dei corpetti fatti di cannucce intrecciate. Un capo di vestiario che, in bella vista per chiunque, avrebbe dovuto facilmente permettere la cattura dei criminali, anche se questo non avvenne mai… Probabilmente perché gli incendiari quasi di sicuro non esistevano!


Soprattutto, per la nostra gioia di appassionati di folclore moderno, pure i nostri incendiari disponevano come tanti presunti successori di un insieme di segni segreti per le loro azioni malvage.


Un vero e proprio codice delle bande di incendiari di cui Dillinger dà i dettagli alle pp. 126-127 del suo articolo. La convinzione era che questi segni fossero usati dalle bande di girovaghi incendiari per "firmare" le attività svolte. L’utilizzo dei simboli era quindi un po' diverso dai moderni segni dei ladri, che dovrebbero comunicare il modo migliore di agire ai complici della propria o di altre bande. Quelli degli incendiari servivano invece a informare i mandanti che il “lavoro” su una certa casa era stato svolto da un particolare nucleo di incendiari.


Si è conservata almeno una lista di queste “firme” con i relativi disegni. Risale più o meno al 1530 e il suo originale si trova in un archivio pubblico di Karlsruhe, in Germania. La potete vedere riprodotta nel lavoro di Dillinger.


I segni attribuiti agli incendiari (Germania sud-occidentale, 1530ca.) [originale presso il Generallandesarchiv di Karlsruhe, 79/3384].

Oggi, proprio come per la stessa realtà delle bande incendiarie, c'è da ritenere che quegli elenchi di "segni" fossero un’espressione del sistema di convinzioni semi-paranoidi che travolgeva di tanto in tanto tribunali, politici, persone colte e popolani.


Fra le sue conclusioni Dillinger scrive:


E' assai improbabile che incendi organizzati e motivati su base politica, perpetrati da vagabondi e per questo pagati da principi, siano mai esistiti. Ma è importante che la piromania organizzata fosse concreta o immaginaria?

La repressione del presunto crimine, vero o falso che fosse, rispondeva infatti a un bisogno fondamentale delle compagini statali che in quella fase si stavano sviluppando:


...non solo gli Stati moderni emergenti perseguivano un reato inesistente, ma pure [...] il timore di un crimine politico immaginario influenzava la stessa costruzione degli Stati...

Insomma, per Dillinger la paura dei piromani era sì un fenomeno spontaneo, di gruppo, una voce collettiva, ma allo stesso tempo risultava funzionale al rafforzamento dei sistemi statali nascenti e soprattutto di uno dei loro elementi portanti: il potere assoluto del monarca, il sistema giudiziario da lui dipendente e, con esso, le sue storture.



[Si ringrazia Roberto Labanti (CICAP) per la segnalazione di alcune fonti.]

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