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Il costume da bagno che si dissolve



Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Storie di nudità, storie di vergogna, storie di atteggiamenti verso il pudore che mutano nel tempo.


La storia della progressiva esposizione del corpo, sia maschile ma soprattutto femminile, agli sguardi e ai luoghi pubblici è lunga e complessa. La prima guerra mondiale portò molte donne a lavorare in massa nelle fabbriche, con conseguente invenzione di abiti razionali, essenziali e privi di fronzoli e pizzi. A ciò si unì la moda del salutismo e il trionfo dell’idea che i bagni di mare e l’esposizione al sole fossero una panacea per generazioni afflitte da rachitismo, scorbuto, anemie di varia origine.


Gli anni ‘20 del Novecento videro per la prima volta, in alcuni paesi europei e in America settentrionale, donne in costumi succinti, con gambe e braccia completamente scoperti e con le forme ormai perfettamente visibili, tanto più se i costumi indossati erano bagnati dall’acqua di mare.


La spiaggia, la vicinanza fra sconosciuti in luoghi di villeggiatura sempre più affollati, la cabina in cui cambiarsi, gli sguardi compiaciuti e la possibilità di flirt e di incontri fugaci comportarono inevitabilmente reazioni moralistiche di ogni genere. Ed è proprio nell’ambito delle reazioni più o meno consce al mutamento dei comportamenti collettivi che si colloca la leggenda che vi racconteremo oggi.


Una storia difficile da verificare


Alla metà degli anni ‘20 del Novecento, ha raccontato nel 2016 il sito Museum of Hoaxes, un giornalista allora famoso, Webb Miller (1891-1940), plurivincitore del Premio Pulitzer, dirigeva l’ufficio di corrispondenza dell’agenzia United Press di Parigi. Fu allora che probabilmente raccolse per la prima volta una storia che poi descrisse nel suo volume del 1936 I Found no Peace (pp.144-5):


[cit.] A Parigi ho scoperto un esempio insolito della necessità di controllare con cura persino le storie più insignificanti. Il mio amico Bartley Grierson (uso un nome di fantasia) aveva appreso da una fonte che riteneva attendibile una storia circa grandi feste tenute da un milionario britannico sulla costa meridionale francese. Secondo le notizie raccolte da Grierson era stato scoperto un nuovo tessuto sintetico che si dissolveva all’istante al contatto con l’acqua salata. Il milionario disponeva di un gran numero di costumi da bagno da donna fatti con quel tessuto. Quando dava una festa, suggeriva sempre una nuotata nelle acque del Mediterraneo e forniva i costumi alle sue ospiti. Secondo la storia, al momento di entrare in acqua, i costumi si scioglievano.
Qualche giorno dopo aver trasmesso la notizia, [Grierson] ricevette un cablogramma dal suo caporedattore: gli chiedeva di mandargli una fornitura di quei costumi. Lui disse a un dirigente di una ditta tessile che produceva costumi da bagno pubblicizzati sulle pagine del suo quotidiano che voleva quei costumi.
Quando Grierson ebbe modo di verificare, fu costernato nello scoprire che quei costumi non esistevano e che l’intera storia era un falso. Tuttavia, non se la sentiva di ammettere con il suo caporedattore che non aveva verificato la storia come si doveva. Così, s’inventò un espediente: inviò un cablogramma al caporedattore in cui diceva: “Non posso inviare i costumi perché si dissolverebbero a causa del sale presente nell’aria dell’oceano”.
Il caporedattore tuttavia replicò subito: “Mettili in una scatola di alluminio e falla chiudere ermeticamente”. In questo modo, Grierson si trovò in difficoltà. Allora, prese una scatola di alluminio e ci mise dentro una manciata di paste da colazione finemente ridotte in polvere. Poi la fece saldare ermeticamente e la mandò al caporedattore, che alla fine si convinse che i costumi non potevano attraversare integri l’Atlantico.

L’autore dell’articolo del Museum of Hoaxes ha poi trovato alcuni articoli americani del 4 dicembre 1930, provenienti da Parigi, ma che mostrano una versione più semplice della storia: sono ambientati sulla costa mediterranea, ma non menzionano più il “milionario britannico”. Può darsi che Miller ricordasse male ciò che aveva sentito, oppure che, semplicemente, nel trasmettere la storia avesse optato per una versione diversa. Del resto, ricorda, questa difficoltà a reperire una fonte primaria e unitaria della storia è segno distintivo caratteristico delle leggende contemporanee.


D’altro canto, a parte giocare sugli stereotipi dello stile di vita decadente delle classi ricche degli anni ‘20 del Novecento, la storia del tessuto rivoluzionario appariva plausibile: il cellophane era stato brevettato nel 1912, e il nylon era entrato in produzione nel 1935. Se queste nuove innovazioni tecniche erano una realtà, anche l’invenzione di un fantomatico “tessuto dissolvente” poteva non essere così assurda.


Altre storie di bikini immorali


La storia sopravvisse: il Museum of Hoaxes ne fornisce varianti relative al 1935 (l’invenzione era attribuita a una certa Cassie Moses di Chicago) e al 1966 (si diceva che una ditta francese - ancora una volta - ne avesse inventato un modello). Nel 1994, infine, un’impresa tedesca mise sul serio in produzione un costume di questo tipo, mettendo in atto quel meccanismo delle leggende contemporanee noto come ostensione, in cui una storia inventata viene messa in pratica nella realtà.


Ma questo non ha impedito che la leggenda continuasse: a quanto pare, storie inventate di costumi che si sciolgono compaiono periodicamente sui tabloid anglosassoni. Alcuni esempi sono stati riportati sul suo blog da Brian Chapman, noto studioso di leggendario contemporaneo. Il 23 agosto 1994 quella fonte inesauribile di storie folli che è il Weekly World News raccontò che a Rio de Janeiro “un perverso venditore di costumi”, certo “Jose Sabioni”, aveva venduto trenta costumi che si dissolvevano ad altrettante donne, con l’intento di fotografarle nude appena venivano fuori dall’acqua…


Dieci anni dopo,e più esattamente il 17 febbraio 2004, ancora il Weekly World News ci andava ancora più pesante, raccontando la storia del trentanovenne australiano Bryan Marple. Questo, si raccontava, aveva pensato bene d’inventare un costume autodissolvente, soltanto per trovarsi con centinaia di denunce da tutto il mondo da parte di donne che si erano di colpo trovate nude sulle spiagge del pianeta!


Ancora una storia, da Jan Brunvand


La storia del costume da bagno che si disintegra era stata ampiamente discussa dal “papà” degli studi sulle leggende contemporanee, il folklorista Jan Harold Brunvand, nel suo primo libro dedicato interamente al nostro mondo leggendoso, cioè The Vanishing Hitchhiker, uscito nel 1981.


Brunvand inserisce la leggenda nel contenitore dei miti, delle voci, delle dicerie e delle leggende sul tabù della nudità e sulle conseguenze della sua rottura, che sia volontaria o meno (come in quelle sulla cerniera lampo rimasta aperta, o sulla casalinga che mette in lavatrice anche i vestiti che indossa, soltanto per ritrovarsi esposta alla pubblica vista).


Lui l’aveva presente in modo diretto dai primi anni ‘60, ma l’occasione più recente per riprendere in modo sistematico la questione era stato un articolo di Harry Whewell uscito il 9 settembre del 1979 su uno dei principali quotidiani britannici, il Guardian di Manchester. Era la prova che la storia comparsa a metà anni ‘30 era ancora viva e vitale.


Whewell spiegava che uno scrittore americano che abitava nel sud della Francia aveva inventato una storia che aveva poi inviato al giornale per il quale scriveva. A quanto pare c’era stata


...la festa di un miliardario, con il solito parterre di invitati da mezzo mondo, ma contraddistinta dal fatto che doveva culminare in un bagno fatto di prima mattina con indosso dei costumi da bagno fatti di carta per regali pensati maliziosamente in modo da disintegrarsi al contatto con l’acqua marina.

In questa versione della storia sembrano unirsi diversi motivi: quello della vita dissoluta dei ricchi cosmopoliti, la promiscuità sessuale di una parte d’Europa allora al massimo della sua popolarità come luogo per privilegiati (cioè la costa mediterranea francese con le sue aree per nudisti e per scambi di coppia) e il topos dello scrittore americano che invia le sue corrispondenze oltreoceano da una sdraio di Saint Tropez.


Per Brunvand, era l’eterna storia di Adamo ed Eva o di Lady Godiva, condita con il biasimo più o meno accentuato alle dissolutezze delle classi ricche: un biasimo proporzionale al grado di giudizio morale che intende imporre chi narra la leggenda.


Immagine in evidenza: da PublicDomainPictures.net. di Venita Oberholster, rilasciata in pubblico dominio licenza CC-0, per usi non commerciali come il presente.

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