Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Nel 1918, con il crollo dell’Impero russo, la Polonia riacquistò la sua indipendenza. Respinse i tentativi dei rivoluzionari bolscevichi di estendere il loro dominio verso ovest e, dopo averli battuti nella battaglia di Varsavia dell’agosto del 1920, visse un periodo di relativo splendore e di relativa libertà.
Il paese diede segni di modernizzazione e, prima che regimi ultraconservatori prevalessero, anche la stampa fiorì e poté godere di assai maggior libertà e popolarità rispetto al passato. L’invasione congiunta dei nazisti e dei comunisti sovietici, nel settembre 1939, con conseguente spartizione del paese, pose fine a quella fase di discreta fortuna, e portò con sé tragedie senza precedenti.
Questo è il quadro della Polonia interbellica, nella quale, sulla stampa, fiorirono anche storie strane, misteriose, relative a fatti incredibili - e vere e proprie leggende contemporanee.
Lo studio della Polonia “leggendaria” fra le due guerre
Intuendo quanto c’era da scoprire sui quotidiani polacchi digitalizzati, tre ricercatori dell’Università di Poznan, Filip Graliński, Daniel Dzienisiewicz e Piotr Wierzchoń, hanno intrapreso una ricerca i cui frutti sono stati pubblicati nel 2017 sulla rivista Contemporary Legend (serie 3, vol. 7, pp. 20-39). Ne aveva già parlato Roberto Labanti in un suo articolo pubblicato sul sito del CICAP, facendo intuire i problemi e le potenzialità di questo tipo di ricerca per chi si occupa di leggende contemporanee e, più in genere, di folklore moderno.
Qui, invece, vogliamo sottolineare una cosa in particolare - del resto già suggerita dagli studiosi polacchi. Malgrado il clima politico fra le due guerre, in Polonia come in altri paesi europei, fosse assai variabile e nonostante le libertà fossero andate restringendosi man mano che ci si approssimava alla Seconda guerra mondiale e a Varsavia veniva instaurato un regime ultraconservatore per certi versi affine al fascismo italiano, la stampa popolare si mantenne assai vivace e, nel complesso, riuscì a fornire un panorama di cronache, storie insolite, invenzioni, voci e pettegolezzi assai più variegato di quello che si potrebbe supporre guardando solo alla storia politica del periodo, che in termini di libertà individuali era diventato progressivamente assai meno favorevole.
Per quanto riguarda la Polonia, per esempio, il confronto con il controllo totale e opprimente di qualsiasi storia “strana” nella prima fase del dominio comunista sul paese ( quello che va dal 1945 alla destalinizzazione, iniziata nel 1956 e accompagnata in Polonia dalle prime rivolte della popolazione) è sorprendente. La Polonia degli anni ‘30 non godeva certo più delle ampie libertà acquisite dopo la lotta d’indipendenza contro i russi. Il generale Józef Piłsudski (1867-1935) aveva istituito una quasi-dittatura, come stava accadendo in altri paesi dell’est, soprattutto in Ungheria e in Romania, influenzate dal fascismo italiano.
Eppure, al contrario che sotto il comunismo, la stampa pullulava di storie curiose. Nel loro lavoro, Graliński e colleghi sostengono che, semplicemente, la rigidissima ideologia materialista sovietica non poteva ammettere la pubblicazione di vicende che, in misura minore o maggiore, potevano essere associate al “soprannaturale”. Per questo, in sostanza, erano osteggiate.
Si potrebbe ipotizzare che qualcosa di simile alla Polonia - quella progressivamente meno libera rispetto agli anni immediatamente successivi al 1918 - possa valere anche per il nostro paese. Sulla base dell’evidenza, sia pur limitata, di cui disponiamo, potrebbe sembrare che in Italia anche dopo l’instaurazione formale della dittatura fascista, nel gennaio del 1925, le questioni del “mistero” e una parte di dicerie non ritenute socialmente pericolose fossero parte normale della pubblicistica.
Sarebbe necessaria un’analisi sistematica del leggendario contemporaneo italiano 1922-1943, per capire se la nostra ipotesi è fondata, e in che modo il contesto generale modellò storie, reazioni, interpretazioni - e quali furono i limiti presumibilmente imposti a voci, pettegolezzi, storie di provenienza e significato sgradito alle autorità.
Ma ora esaminiamo in dettaglio alcuni casi che riguardano la Polonia degli Anni ‘20 e ‘30.
Il mostro della miniera di Coleford
Il folklore relativo a esseri malevoli o buoni che si manifestano nelle miniere è ben noto, specie nel mondo anglosassone. Nel loro lavoro, Graliński e colleghi ricordano i Tommyknocker per gli Stati Uniti e i coboldi della tradizione tedesca, loro stessi esperti nell’arte mineraria. Dal canto nostro, nella modernità, ci vengono in mente diverse storie giornalistiche, soprattutto americane, su incontri di speleologi e minatori con esseri sotterranei, di solito legati al mito della Terra cava, oppure a storie su civiltà scomparse i cui sopravvissuti potrebbero farsi vedere ogni tanto in quegli spazi angusti.
Proprio a una storia di questo tipo si riferisce il primo esempio del lavoro di Graliński.
Nel maggio del 1925, parecchi quotidiani polacchi raccontarono della miniera di Coleford, nel Gloucestershire, in Inghilterra, infestata da un esserino alto 45 centimetri, metà uomo e metà animale, sempre con una pala in mano. Il volto glabro, tratti fanciulleschi, la pelle simile a quella di un indiano, aveva capelli cortissimi castano-chiari e denti bianchissimi. Dotato di braccia stranissime, non aveva le mani, ma gambe normali; alcuni minatori osarono toccarlo - ma solo con un bastone. Era citato il nome di un testimone, quello del proprietario della miniera, e, non ultimo, il fatto che la notizia fosse tratta da uno dei principali quotidiani francesi del tempo, Le Matin. L’ipotesi del primo quotidiano polacco che ne aveva parlato il 15 maggio di quell’anno, il Dziennik Ludowy, era che i testimoni avessero “visto doppio”, Insomma, che avessero avuto un’allucinazione.
Ora, per gli studiosi polacchi questa storia pone domande interessanti. La prima è come mai questo racconto sia stato ripreso, senza indicazione della fonte, da diversi altri giornali. Plagiavano senza problemi? La legislazione al riguardo conteneva dei buchi attraverso i quali era possibile fare un po’ tutto? Nessuno pensava di dover controllare la provenienza di questa storia? Già, perché sul quotidiano francese Le Matin nessuno ha mai trovato traccia di un racconto simile.
L’origine della notizia e il suo significato restano dunque incerti. Graliński fa notare che il rinvio a una fonte giornalistica straniera forse inesistente e un paese lontano permettevano alla stampa polacca di assegnare la responsabilità ultima del racconto a qualcun altro. In questo senso, le varianti presenti sui diversi quotidiani e che parlavano con enfasi di possibili “allucinazioni di massa”, di “un episodio straordinario d’illusione” e di altre cose simili, solo in apparenza erano razionalizzanti. Usando il linguaggio della scienza (le allucinazioni), in realtà rinviavano a un’eccezionalità della vicenda, alla sua singolarità.
In un certo senso si trattava di copypasta dei tempi passati, per Graliński e colleghi, che si concludevano spesso con una promessa non mantenuta e rivolta ai lettori: “Ben presto vi faremo sapere quanta parte di verità c’è in questa storia”.
“Sorpresa!” - Ovvero, morte di un figliuol prodigo
Nel 1929 un commediografo polacco, Karol Hubert Rostworowski, pubblicò Niespodzianka (“Una sorpresa”), un dramma che diceva esser stata ripreso da un fatto vero accaduto verso il confine orientale del suo paese.
Un giorno, un giovane diventato ricco in America era rientrato nel suo paesino senza dire niente alla famiglia. Non avendo trovato nessuno in casa, si era accomodato nel solo alberghetto del posto. La voce della presenza dell’“americano” ricco e sconosciuto si era sparsa, ma l’albergatore aveva capito chi era, e lo aveva detto al padre, che pieno di gioia, era corso a casa. Arrivato, lo aspettava uno spettacolo tremendo: la moglie, nonché madre del giovane, non lo aveva riconosciuto, e aveva ucciso, senza saperlo, il figlio, per impadronirsi della gran quantità di denaro che portava addosso.
La storia ebbe successo, anche perché, come detto, l’autore diceva di esser certo che la cosa fosse accaduta sul serio.
Alcuni anni dopo, però, e più esattamente il 30 giugno del 1937, sul più popolare periodico polacco fra le due guerre, l’Illustrowany Kurier Codzienny, il giornalista Ludwik Szczepański spiegò che in realtà esistevano ampie prove che Rostworowski aveva riattualizzato un motivo folklorico (quello che nell’Indice dei motivi folklorici di Thompson è classificato come N321, “Il figlio assassinato”): la voce gli era stata raccontata come tale da un amico delle regioni dell’est del paese, il poeta tedesco Adolf Müllner (1778-1824) l’aveva già utilizzata, e lo stesso aveva fatto lo scrittore e commediografo francese Jean Richepin (1849-1926). Del resto, c’era già in una canzone popolare tedesca del Seicento, in cui due genitori uccidono un bambino senza sapere che si tratta del loro figlio: la donna si affoga, l’uomo s’impicca. In più, per Szczepański, pur senza poter dire in modo esatto quale fosse il percorso seguito dal racconto utilizzato poi da Rostworowski, la storia era apparsa in quegli anni in un giornale berlinese. In quel caso, il riferimento era a un prigioniero di guerra austriaco della Prima Guerra Mondiale, rientrato a casa dopo quattordici anni di prigionia, riconosciuto soltanto da un albergatore, ma ucciso dalla madre, che non l’aveva riconosciuto e gli aveva soltanto concesso di passare la notte in un granaio.
In Polonia il motivo del figlio assassinato era presente già in un’opera di divulgazione cattolica, un catechismo popolare del 1884 (Nauki katechismowe, pp. 266-267): un soldato era stato catturato e tenuto in prigionia dai turchi e dai tatari e poi, rientrato a casa, tragicamente ucciso dai genitori - una versione ripresa identica, nel 1922, da vari quotidiani polacchi.
Al contrario della storia del mostro della miniera di Coleford, argomentano tuttavia Graliński e colleghi, quella del figlio assassinato era la ripresa in chiave moderna (l’emigrato che aveva fatto fortuna in America) di un tema che aveva una portata ben diversa rispetto alla storia ambientata fra i minatori inglesi: quest’ultima aveva rilievo culturale certamente minore rispetto a quella del giovane ucciso dai genitori - che poi voleva dire, in concreto, da vecchi contadini polacchi, a quanto pare non troppo pii e custodi delle tradizioni nazionali, ma avidi di ricchezze, ipocriti e disposti a tutto.
Fantasmi autostoppisti à la varsovienne?
Non poteva mancare, nel panorama del leggendario contemporaneo polacco fra le due guerre mondiali, una delle nostre storie per eccellenza, quella del fantasma autostoppista.
La cosa interessante è che, proprio come per il mostro della miniera di Coleford, la sua popolarità fra il pubblico del paese dell’est europeo fu dovuta a un episodio collocato lontano dai confini polacchi, e cioè in una grande capitale centroamericana. Il 14 luglio del 1933, la Gazeta Lwowska scriveva che Città del Messico era nel panico a causa di un “passeggero fantasma” che spaventava gli autisti di taxi dell’intera area urbana.
Un passeggero fantasma - Spavento a Città del Messico dopo la storia di un passeggero fantasma che disturberebbe i tassisti della capitale.
Una delle vittime del passeggero fantasma, il tassista Elizaldo ha raccontato come segue questa storia spettrale:
Come ex-marinaio dice di non credere ai fantasmi o agli spettri, ma ammette che quello che gli è capitato non gli dà pace. era stato fermato lungo la strada da un passante vestito in maniera elegante che aveva sul volto un’espressione singolare, e che era salito sul taxi fornendo al guidatore un indirizzo. Giunti a destinazione, il tassista si era girato rendendosi conto che il suo passeggero era scomparso. Lo aveva cercato ovunque, ma nessuno aveva visto una persona scendere dal suo taxi. Dove era finito? doveva trattarsi di un fantasma…
Elizaldo ha aggiunto che non ci avrebbe pensato troppo se non fosse stato che il suo non era stato un incidente isolato: qualcosa di simile era accaduto a un altro tassista, in circostanze simili.
Tutta la polizia di Città del Messico è stata messa in stato di allarme nella speranza di trovare l'elusivo passeggero, ma finora tutti gli sforzi non hanno portato a niente.
Proprio come per la storia della miniera di Coleford, non è stato possibile trovare fonti statunitensi o messicane che raccontassero la faccenda. Comparve cinque giorni dopo essere uscita in Polonia su un giornale olandese, il De Bredasche Courant, e, per quanto se ne sa, in nessun altro paese.
Perché Polonia e Olanda? Era, come probabilmente nel caso della miniera, un giornalista polacco a essersi inventato tutto? Negli Anni ‘30 del secolo scorso la leggenda dell’autostoppista fantasma era ormai nota (qui abbiamo raccontato un caso del 1939), ma quante possibilità ci sono che pochi giorni dopo la storia fosse ripresa da un quotidiano olandese di provincia?
Insomma: non è detto che quando la libertà di espressione e di stampa sono state compresse, com’è avvenuto spesso in Europa nel secolo scorso, le storie “false” e le voci controverse vengano soppresse. Possono svolgere varie funzioni, adattarsi, trasformarsi, trovare le loro strade, e sopravvivere - persino sui giornali. Semmai, ci sono stati regimi autoritari - quelli di destra - che hanno tollerato questi racconti. Quelli post-bellici di area sovietica, invece, li ritenevano degni di censura. Non era così invece nella Polonia fra il 1918 e il 1939.
Per questo, siamo dell’idea che indagini sistematiche sui periodici di paesi a regime autoritario degli anni 1922-1945 - Italia compresa - potrebbero riservare parecchie sorprese a chi si interessa di leggende contemporanee.
Immagine in evidenza: generata con Microsoft Bing Image Creator
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