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Il vino trasformato in acqua: una leggenda versatile

Aggiornamento: 27 set



Praticamente, un miracolo al contrario: la trasformazione del vino in acqua. Non ci credete? Leggete questa storia, che venne pubblicata sul settimanale milanese L’Illustrazione popolare nel 1880.


Il 16 di maggio in Italia si erano svolte elezioni politiche anticipate. Il terzo governo presieduto dal lombardo Benedetto Cairoli era caduto in seguito ad un voto di sfiducia, e ora la maggioranza, quella della cosiddetta sinistra storica, cercava una conferma delle sue posizioni dal voto elettorale.


Proprio nel giorno delle elezioni, dunque, L'Illustrazione popolare pubblicò una sua breve esortazione agli elettori, ammonendoli a votare bene. E a proposito di “votare compatti”, l’ignoto autore dell’articolo utilizzava quello che definiva “un curioso aneddoto d’un povero parroco di campagna”, senza specificare ulteriormente quando e dove si era verificato il presunto episodio:


Questo vecchio e buon curato ebbe così danneggiata la sua vigna, che i parrocchiani, perché non avesse a restare senza vino, pensarono d’invitare il buon prete a mettere davanti la casa la botte, dove ognuno avrebbe versato una bottiglia di vino; e così fu infatti. Alcuni mesi dopo, al momento di spillarlo, il parroco pensò bene invitare i parrocchiani ad assaggiare il vino. Andarono essi, ed egli mandò in cantina la vecchia Perpetua; ma questa dopo poco torna su tutta scombussolata, gridando che certo i ladri erano entrati nella canova ed avevano rubato il vino e riempita la botte d'acqua. I parrocchiani si guardarono in viso e divennero rossi; il parroco non sapeva che dire, quando alla fine si scoprì, che ogni parrocchiano aveva fatto tra sé e sé questo ragionamento: Già, una bottiglia di acqua fra tanto vino non fa né bene né male. E così, s'era ripetuto il celebre miracolo al rovescio.

Come si vede, il sottofondo del racconto è bonario: il cliché è quello del “buon curato”, del “povero parroco di campagna” che - naturalmente - si concede ogni tanto un goccio di vino. La perpetua, anch’essa inevitabilmente “vecchia”, grida al ladro: alla fine ad essere svergognata, ma senza troppe esagerazioni moralistiche, è l’intera comunità, in cui ognuno pensa al suo tornaconto e pochi all’obiettivo comune. Che gli elettori non facciano così! Il peso del racconto, dunque, è tutto sull’atteggiamento da assumere in vista del bene collettivo: un esempio su cui riflettere e ridacchiare, e poco più.


Quello che ci interessa raccontarvi è che questa storiella non è affatto un unicum: la si ritrova riportata come “parabola esemplare” in raccolte di aneddoti e articoli di giornale; in alcuni contesti, però, assume un carattere più fosco - ed è questa versione che vorremmo raccontarvi oggi.


Se ne sappiamo di più lo dobbiamo al folklorista e studioso di leggende contemporanee Peter Burger, che se ne è occupato a inizio 2022 con un articolo uscito sul suo blog.


L’ambientazione della storia, questa volta, non è quella cattolica usata dall’Illustrazione popolare nel 1880, ma quella ebraica. La prima fonte reperita da Burger è il quotidiano delle allora Indie olandesi (oggi Indonesia) Java-Bode del 2 dicembre 1857.


Il giornale spiegava trattarsi di un vecchio racconto relativo a una festa, in occasione del quale i membri di una comunità ebraica non meglio identificata di un paesino volevano omaggiare l’amato rabbino con un enorme barile di vino.


Ma quando il beneamato pastore versò il primo bicchiere al culmine della festa, ecco che accade un miracolo al contrario: il vino si era cambiato in acqua.

Il Java-Bode non tardava a spiegarne la causa:


Il giornale prussiano da cui è tratto questo aneddoto, inoltre, spiega questo miracolo nel modo seguente: gli onesti correligionari del rabbino avevano pensato dentro di loro che una sola bottiglia d'acqua in una botte di vino non avrebbe significato nulla, ma purtroppo tutti avevano avuto la stessa idea, e adesso sappiamo il risultato.

Il sotteso antisemita risulta ora, se non del tutto palese, chiaro a sufficienza: la fonte è indicata in una testata prussiana, e dunque è plausibile che il racconto volesse far riferimento a una delle innumerevoli comunità dell’ebraismo aschenazita stanziate allora in Europa centro-orientale, vittime da secoli dell’odio religioso di tutte e tre le grandi famiglie di chiese cristiane - ortodossa, cattolica e protestante - che si contendevano quella parte del continente ma che convergevano tristemente nell’odio antiebraico.


I toni sono indicativi: nel caso del settimanale italiano, i responsabili sono, in maniera neutra, i “parrocchiani”; nel caso del rabbino gabbato, ad avere la colpa sono gli onesti correligionari del rav. L’accento è sull’appartenenza religiosa, non su altro: è quella che la storia intende sbeffeggiare.


Se servisse una conferma, ecco una seconda versione, questa volta di area britannica, comparsa nel 1873 (dopo quella prussiana-olandese, quindi, ma prima di quella italiana). Burger l’ha scoperta sul quotidiano australiano Southern Argus del 30 maggio 1873, ma il giornale spiegava di averla ripresa da una fonte inglese del Devon, il Western Morning News.


Ai discendenti di Abramo viene generalmente riconosciuta la capacità di far cambiar proprietario o di risparmiare un penny ogni qualvolta queste operazioni monetarie siano possibili. Probabilmente, sulla base del fatto che “quello che tutti dicono dev’essere vero”, c’è qualche elemento di verità in questa credenza; ma occorre render giustizia alla razza ebraica (sic) ammettendo che c’è anche una notevole parte d’errore. Alcune delle storie raccontate alle spese dei figli di Abramo sono quasi incredibili. Per esempio, qualcuno crede al seguente racconto sugli ebrei di Danzica?

Il resto della storia è sempre lo stesso. Il protagonista questa volta è il Rabbino capo di Danzica, che va ad abitare in una nuova abitazione; tutto il resto procede come da copione.


Stavolta il gioco è scoperto: i “figli di Abramo” (come se, dal punto di vista teologico, anche cristiani e musulmani non lo fossero, peraltro…) riescono a far fruttare ogni singolo centesimo: la loro taccagneria è ben nota. Certo, scriveva il giornale inglese magnanimamente,


questi ultimi [gli ebrei della comunità] potrebbero aver davvero donato al loro rabbino acqua al posto del vino, ma potrebbero aver inteso il gesto come un gentile suggerimento al loro superiore del fatto che, a loro parere, l'acqua era meglio per lui del succo d'uva. Forse stava diventando borioso e rubicondo, e il suo gregge temeva una fine improvvisa e apoplettica della sua vita e delle sue fatiche.

Ma in ogni caso - si sottintendeva - qualunque fosse stato l’obiettivo, quello rimaneva un regalo da pidocchi.


E poi a ingenerare in noi, lettori del 2022, un brivido, stavolta c’è la collocazione della storia: la città prussiana di Danzica, metà tedesca, metà polacca, sede di una grande comunità ebraica. Città che nel 1939 sarà la causa immediata dell’aggressione tedesca alla Polonia e dunque l’innesco della Seconda Guerra Mondiale, e da cui gli ebrei scompariranno, come in mille altri luoghi d’Europa. Saranno sterminati, negli anni successivi, dai nazisti - non senza, purtroppo e in più occasioni, la complicità dei piissimi polacchi.

C’è da dire, comunque, che non sempre questa leggenda ha avuto i risvolti antisemiti che vi abbiamo raccontato. I protagonisti della storia sono stati, di volta in volta, altri personaggi: sindaci, insegnanti, direttori del coro (Burger ne riporta una, molto interessante, ambientata in Camerun, dove i protagonisti sono un missionario e gli abitanti di un villaggio). La stessa vicenda compare, ad esempio, in forma molto più neutra in un libro di uno dei massimi guru della New Age, Anthony De Mello (La preghiera della rana. Saggezza popolare dell’oriente, 1988):


La botte di vino piena d’acqua. - Nel villaggio si stava organizzando una grande festa e ognuno doveva contribuire versando una bottiglia di vino in una botte gigantesca. Quando iniziò il banchetto, dalla botte uscì soltanto acqua. Uno degli abitanti del villaggio aveva avuto quest'idea: «Se verserò una bottiglia d'acqua in questa botte così enorme, nessuno se ne accorgerà». Ma non aveva pensato che tutti gli altri avrebbero avuto la stessa idea.

Storiella sapienziale giunta dall’Oriente, racconto satirico, parabola politica… È una testimonianza di quanto versatile sia questa leggenda, che viene spesso presentata come un “miracolo inverso” rispetto a quello di Cana (Giovanni 2, 1-12): una delle storie più potenti del Nuovo Testamento, che apre il ministero di Gesù e che sostituisce interamente i vangeli dell’infanzia. La sua interpretazione, peraltro, è stata soggetta nel corso della storia del Cristianesimo a letture molto diverse tra loro.


Il tema della trasformazione dell’acqua, che nel Vangelo giovanneo annuncia fin dall’inizio la trasformazione finale (cioè quella del calice dell’Ultima Cena), è stato anche usato nella cultura contemporanea in modo sorprendente. Ad esempio, in Israel, brano del 1980 del gruppo punk-rock inglese Siouxsie and the Banshees, il testo cantato dalla solista Siouxsie Sioux, ebrea, afferma che in Israele stanno aspettando “che il vino diventi acqua”, e cioè che non sia più necessario nessun genere di sacrificio, per salvare nessuno.


Colpisce che lo stesso tema, quello del miracolo inverso della trasformazione vino-acqua, sia stato utilizzato sia in chiave antisemita, sia da un’artista ebrea, sia in toni tutto sommato neutri. Insomma: a seconda di come la si racconta, ponendo l’accento su questo o quell’altro elemento, la leggenda della botte d’acqua può diventare feroce satira verso una minoranza o bonario appello al bene comune.


Ed è appunto con un significato di quest’ultimo genere che la nostra storia è tornata a girare nel 2020, agli inizi della pandemia da Covid-19. Si legga ad esempio questo articolo, pubblicato a marzo 2020 (e intitolato, non a caso, “Una cautionary tale nell’era del Coronavirus”). Nel pieno stile delle leggende metropolitane, la vicenda veniva presentata come “universale”:


Ricordo una storia che ho sentito ambientata sia in un villaggio africano, sia in una regione vinicola francese. Dato l’impatto globale del Covid-19, mi sono preso la libertà di riproporla qui, e di collocarla in una città qualunque.

Il protagonista della storia è un più laico sindaco, ma il motivo è sempre quello della festa, e l’epilogo quello di tutte le altre versioni. Conclusione:


No. Trasformare il vino in acqua non è una svolta sbagliata della parabola biblica. In questa pandemia siamo tutti sulla stessa barca. Le nostre azioni individuali, non importa quanto piccole esse siano, faranno la differenza. Nel bene o nel male.

Foto di Leo Hau da Pixabay

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