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Un'altra leggenda di guerra: le bombe di legno

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    Redazione
  • 12 ore fa
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Abbiamo scritto tante volte che, per loro stessa natura, le guerre sono un’attività umana estremamente produttiva di leggendario e di voci. Lo stress estremo che le accompagna e l’incertezza del presente e del futuro, insieme alla disumanizzazione del nemico, inevitabilmente producono esiti di quel genere. 


La guerra, tempo di leggende


Ne abbiamo parlato più volte su queste pagine e altrove. Per fare solo alcuni esempi di cose di cui ci siamo occupati, per la Prima Guerra Mondiale: il mito del dado Maggi, arma segreta tedesca; le voci sulle infiltrazioni tedesche in Gran Bretagna; le profezie su un’imminente fine delle ostilità o sull’esito del conflitto. Per la Seconda Guerra Mondiale: il mito del bambino che annuncia la pace, o le storie sui palloncini all’iprite.


Ma poi ci sono storie che potremmo definire di folklore più specificamente aeronautico, che ci interessano anche per la loro speciale bizzarria, come quella dell’uccisione del mostro di Loch Ness, nella Seconda Guerra Mondiale, da parte di aviatori tedeschi o italiani, o il folklore dei Gremlins, gli esserini dispettosi sabotatori degli aerei da guerra, forse “padri” di un’altra storia che preludeva alla nascita del mito degli UFO, quella dei misteriosi Foo Fighters


E, soprattutto, i racconti su Pippo, la leggenda di guerra italiana per eccellenza del secondo conflitto mondiale, quella in cui un aereo misterioso, di solito alleato, sgancia bombe a casaccio e talvolta mitraglia civili inermi dopo lunghi svolazzi rumorosi su paesi e campagne, oppure avvisa col lancio di volantini dell’imminente pericolo. Su Pippo sta lavorando in maniera ampia da tempo il coordinatore del CeRaVoLC, Paolo Toselli, che insieme al demoantropologo e folklorista Franco Castelli, sulla base di questionari raccolti in Italia negli Anni 80, ricostruirà la memoria complessa di questa storia, in specie per ciò che concerne i modi in cui, in tempi recenti, il racconto di Pippo è stato rielaborato ed ha superato con successo il lungo tempo trascorso da allora. Un primo articolo dei due autori dovrebbe vedere la luce fra non molto.


Oggi, dal canto nostro, vi raccontiamo una storia che rientra fra quelle volte ad alleggerire le tensioni psicologiche attraverso l’elemento della beffa. Più che intorno al binomio morte/vita, pur sempre presente, porta in primo piano l’astuzia dei contendenti, senza trascurare il registro dell’ironia. È la storia delle bombe di legno della Seconda Guerra Mondiale. 


Una raccolta di ricordi…


La leggenda delle bombe di legno è stata ricostruita da più di uno studioso di storia militare, in particolare da quelli che si occupano della Gran Bretagna. Particolarmente utile è un articolo di Laura Skitt, comparso nel 2021 sul sito della BFBS, un’organizzazione che si occupa del sostegno e del supporto sotto vari profili alle forze armate di Sua Maestà britannica. 


In breve, la storia dice questo: già nella fase iniziale della Seconda Guerra Mondiale, le forze armate tedesche avrebbero costruito, sia in Germania sia nei paesi occupati, dei finti aeroporti interamente di legno, completi di falsi aerei, lignei anche quelli, per ingannare l’aviazione britannica costringendola a sprecare bombe, risorse e sortite di bombardamento che avrebbero dovuto essere impiegate contro obiettivi “veri”. Rapidamente, i servizi di analisi della RAF avrebbero scoperto l’inganno e, per prendersi gioco dei nemici, gli aviatori inglesi avrebbero “distrutto” i finti aeroporti sganciando dal cielo… bombe di legno, spesso riportanti scritte canzonatorie nei confronti degli avversari, per esempio Wood for wood – “legno per legno”, ovvia parafrasi del biblico “occhio per occhio”. Motivo ulteriore della canzonatura: i reparti del Genio militare tedesco avrebbero impiegato talmente tanto tempo a realizzare i falsi aerodromi da permettere alla ricognizione inglese di seguirne con calma gli sviluppi e di esser certi che quelli non erano veri aerei pronti ad attaccare l’arcipelago britannico. Insomma, la proverbiale efficienza germanica dileggiata. 


Una cosa è certa, spiega Laura Skitt: la storia delle “bombe di legno” è passata nella memoria dei combattenti inglesi, tanto che lo scrittore e storico francese Pierre-Antoine Courouble ne ha tratto un documentario e un intero libro, L’énigme des bombes en bois (2006). Nel suo lavoro, Couruble è stato meticoloso: ha raccolto 303 resoconti orali sul mito delle “bombe di legno”. 


D’altro canto, “vere” bombe di legno, ricorda Skitt, sono oggi visibili in più di un museo dedicato alla Seconda Guerra Mondiale, per esempio presso l’Airborne Museum di Sainte-Mère-Église, una delle località al centro dei combattimenti più violenti della fase iniziale dello sbarco alleato in Normandia del giugno 1944. 


In seguito alle ricerche di Courouble e all’uscita del suo libro, anche alcuni ufficiali tedeschi e inglesi a quel tempo ancora viventi si erano fatti avanti, appoggiando l’idea che le bombe di legno ci fossero state davvero. Di documenti d’archivio tedeschi sulla loro costruzione, però, non è saltata fuori alcuna traccia. Ciò detto, argomenta ancora Skitt, che la storia circolasse sin dalla prima fase della guerra non ci sono dubbi. Ne parla uno dei cronisti americani più popolari degli anni della Germania nazista che vanno dal 1934 al 1941 – ma anche non particolarmente preciso – cioè, William L. Shirer (1904-1993). Shirer lasciò la Germania alla fine del 1940, ma prima ebbe modo di seguire l’avanzata tedesca sul fronte occidentale, sino a Parigi, e poi la prima fase dell’occupazione parziale della Francia. 


Sin dal 1934 teneva un diario quotidiano di ciò che apprendeva, ed è da lì che a metà 1941 trasse il suo Berlin Diary, volume che ebbe subito un enorme successo. È proprio verso la fine del suo soggiorno in Germania, sotto la data del 27 novembre 1940, che Shirer riferiva di aver appreso da un certo “X” una storia “divertente”: la sua fonte gli aveva raccontato che l’Intelligence britannica in Olanda funzionava bene. Entrambi i contendenti avevano costruito finti aeroporti, ma erano soltanto i tedeschi ad averne realizzato uno “enorme” vicino Amsterdam, con circa cento “gusci” di aerei fatti in legno, pronti per essere colpiti. Appena finito (il giorno dopo, addirittura!), nel cielo della zona si presentarono i bombardieri inglesi: sganciarono i loro ordigni, ma non esplosero. Erano anche quelli di legno. 


Skitt conclude la sua analisi della storia in maniera non del tutto scettica: molto fa pensare alla leggenda urbana, scrive, eppure, nel loro complesso, le 303 testimonianze raccolte da Couruble danno da pensare. 


In realtà, già nel 2005, David Mikkelson, l’animatore del ben noto sito Snopes, aveva fatto vedere tutte le incoerenze di questa storia: compiere “finte” incursioni per scherzo, per prendere in giro i nemici, portandosi dietro ordigni inerti invece che bombe vere, superando le difese antiaeree tedesche per divertimento e senza causare nessun danno ai nemici, suona puerile. Si pensi alla circostanza in cui queste storie erano ambientate: si era agli inizi della guerra, quando la possibilità che i britannici reggessero ai bombardamenti delle loro città e delle loro basi aeree non era per niente scontata. Che si rischiasse di perdere aerei ed equipaggi, e sprecare carburanti per canzonare il nemico, pare davvero improbabile.

 

Ragionevolmente, Mikkelson fa notare che la storia prese forma proprio nei momenti meno adatti per una cosa del genere (si era nella fase di maggior debolezza degli inglesi, assediati nelle loro isole dopo aver a malapena ripiegato dalla Francia). Possibile che la storia fosse generata dalla necessità, mille volte documentata, di alleviare tensioni e sofferenze tramite scherzi, storie improbabili sull’idiozia del nemico, debolezza dei loro mezzi e difese, intelligenza acuta della propria parte. 


Leggenda, realtà, ostensione


Questa storia ci interessa molto perché fa una cosa che crea problemi e interrogativi agli studiosi – li mette in difficoltà, e questa è una cosa importante. Abbiamo visto come, tirando la coperta corta da una parte o dall’altra, con la vicenda delle bombe di legno si può giungere con relativa facilità a conclusioni diverse. 


La prima, la più facile a trarsi, è che la storia delle bombe di legno sia interamente una leggenda, cioè, un racconto nato nell’autunno 1940, cioè, periodo in cui i nazisti avevano man bassa nell’Europa continentale, e che sia nata per prendere in giro con una specie di racconto umoristico quelli che in quel momento sembravano destinati a prevalere.


Sul versante opposto, si è invece visto come, sia pure in maniera precaria, la raccolta delle testimonianze orali fatta da Courouble abbia spinto alcuni a ritenere plausibile che, almeno in qualche occasione, la beffa delle bombe di legno sia stata davvero messa in atto da parte alleata, in specie a opera della RAF e che, dunque, almeno in piccola misura corrisponda a realtà storica.


La terza dimensione, quella che si sovrappone e supera la dicotomia realtà/invenzione narrativa, è quella dell’ostensione. Questa dimensione rimescola le carte e, nel caso delle bombe di legno, fa toccare con mano come, nello studio del leggendario contemporaneo, l’idea del “falso” possa assai spesso risultare insufficiente come categoria. 


Nella nostra storia, come in altre occasioni, oggi siamo al cospetto di una memoria, reificata e cristallizzata in più di un museo, attraverso un certo numero di “bombe di legno”, di norma accompagnate da didascalie riassuntive volte a confermare che quegli eventi sono accaduti sul serio. 


A volte si tratta di vere bombe di legno risalenti al periodo bellico, cioè, di quelle destinate alle esercitazioni di lancio; a volte, invece, (come è, analogamente, per i finti kit moderni da caccia al vampiro, oppure per le bibbie con proiettili conficcati a bella posta tra le pagine e da quelle miracolosamente arrestate), la memoria orale di quei racconti funge da conferma a posteriori della leggenda, costruita in forma coerente soltanto in tempi più recenti, ed oggi relativamente “fissata” nelle bacheche delle esposizioni museali. 


Insomma: leggenda, realtà storica di alcuni eventi e ostensione vanno tenute tutte e tre insieme – distinte, ma non separate brutalmente l’una dall’altra. Se lo facciamo, tagliando con la spada testi, parole e racconti, ci perdiamo qualcosa, forse parecchio. Anzi, rischiamo di fare di peggio, amputando i ragionamenti e i discorsi intorno al rilievo della soggettività come costitutiva del discorso storico e antropologico.


Immagine in evidenza: generata con Microsoft Bing Image Creator



 
 
 

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