di Paola Frongia e Giuseppe Spanu
Tra le tante novità importate da Pietro il Grande [1] in Russia, la limonata fu senz’altro quella più gradita dai suoi sudditi. Da allora non smisero mai di berla, tuttavia non rimase ininterrottamente la bibita prediletta. Negli anni Trenta del Novecento, grazie alle nuove tecnologie, si iniziò a produrre su vasta scala diverse bevande analcoliche gassate, [2] fra le quali la più amata era la Duchesse, [3] a base di pere e succo di limone; per i bambini era più buona delle caramelle e agli adulti ricordava un delizioso vino da dessert.
All’epoca nessuno avrebbe potuto immaginare che, qualche decennio più tardi, i sovietici avrebbero perso la testa per la Pepsi, una bibita straniera e per giunta occidentale e che, pur di non farsela sfuggire, avrebbero ceduto all’azienda statunitense parte del loro arsenale militare. Secondo una storia che circola in vari blog americani e russi, tra l’Unione Sovietica e la Pepsi si realizzò questo tipo di scambio. Ma andò veramente così?
Procediamo con ordine. Nel 1959, per favorire il processo di distensione tra USA e URSS, il presidente Dwight Eisenhower decise di organizzare l’American National Exhibition a Mosca, dove per l’occasione le imprese statunitensi avrebbero esposto i loro manufatti migliori e mostrato così ai cittadini sovietici i benefici del capitalismo. [4] Anche la PepsiCo Inc. (casa produttrice della Pepsi-Cola) prese parte all’evento. In realtà, i vertici aziendali erano scettici, ma Donald Kendall (1921-2020), [5] responsabile delle vendite all’estero, voleva assolutamente conquistare quella fetta di mercato e alla fine riuscì a spuntarla.
Per dimostrare a tutti che non si sbagliava, aveva bisogno di una foto che immortalasse Nikita Krusciov mentre sorseggiava una Pepsi. Sapeva che Richard Nixon (all’epoca vice presidente degli Stati Uniti) avrebbe presenziato all’inaugurazione insieme al leader sovietico e per riuscire nell’impresa, aveva bisogno della sua collaborazione. L’esposizione si aprì con quello che sarebbe passato alla storia come Kitchen Debate, [6] in cui Nixon e Krusciov si confrontarono davanti a una cucina su quale fosse il miglior sistema di produzione economica. Quando la conversazione iniziò a diventare piuttosto accesa, Kendall ne approfittò per porgere al leader sovietico un bicchiere della sua bevanda spumeggiante. Per assicurarsi che Krusciov non declinasse l’offerta, ricorse a un trucco: aveva fatto preparare alcune bibite con l’acqua moscovita e domandò al leader sovietico, se preferiva assaggiare la versione locale o quella importata. Naturalmente, Krusciov scelse la versione con l’acqua locale e clic…
Kendall aveva fatto il colpaccio!
Nel 1972, Kendall riuscì a stipulare un accordo con i vertici dell’URSS che garantiva alla Pepsi l’esclusiva e impediva alla Coca-Cola di fare affari sul suolo sovietico. Dal momento che gli USA non accettavano il pagamento in rubli e Mosca non disponeva di una grande riserva di dollari, si ricorse a una valuta altrettanto pregiata: la vodka. In questo modo, i guadagni della PepsiCo non sarebbero dipesi dalla vendita della bibita a stelle e strisce, ma da quelli del super alcolico negli Stati Uniti. Tale accordo consentiva anche al Cremlino di rimpinguare le sue casse: vennero aperti vari stabilimenti di produzione e i caratteristici chioschi blu e rossi si sparsero per tutto il Paese. Le persone potevano acquistare un bicchiere di Pepsi anche dai distributori automatici, spendendo la bellezza di venti copechi. [7]
Alla fine degli anni Ottanta, arrivò il momento di rinnovare il contratto e ancora una volta si presentò il solito problema della scarsa disponibilità di dollari. La vodka non bastava più a coprire i costi [8] e la Russia non voleva rinunciare alla sua Pepsi; pertanto in cambio di ettolitri di soda, fu disposta, secondo la vulgata digitale, [9] a cedere alla compagnia americana una piccola flotta militare composta da diciassette sommergibili, una fregata, un incrociatore e un cacciatorpediniere; in questo modo la Pepsi sarebbe diventata, per qualche settimana, la sesta potenza navale a livello mondiale.
Ma come andarono davvero le cose? Innanzitutto, sebbene la flotta fosse notevole per un’azienda privata, non rientrava “a livello mondiale” nemmeno tra le prime trenta. Se poi andiamo oltre il tono sensazionalistico della narrazione, scopriamo che la Pepsi non sapeva che farsene di tale arsenale: si trattava infatti di rottami arrugginiti a cui i sovietici avrebbero rinunciato volentieri, e che subito dopo sarebbero stati venduti a una ditta svedese, che le avrebbe smantellate per recuperarne il ferro.
In effetti, la notizia che la PepsiCo aveva acquistato dall’URSS una flotta militare in dismissione, per poi rivenderla, apparve sul New York Times nel 1989. [10] L’articolo suggeriva con tono ironico che la cessione di quelle navi militari alla Pepsi fosse un bene, perché avrebbe aiutato Michail Gorbaciov ad alleggerire il suo arsenale e a proseguire con la perestroika. [11] In ogni caso, davvero l’azienda americana riuscì ad entrarne in possesso?
Un vecchio articolo del Los Angeles Times rivela che le navi in qualche modo c’entrano con questa storia: nel 1989 Gorbaciov stipulò il rinnovo del contratto [12] con la Pepsi e quest’ultima, oltre alla vodka, accettò come forma di pagamento delle petroliere a doppio scafo (non incrociatori o sottomarini!) costruite nei cantieri sovietici. Spiacenti di deludere qualcuno: se l’accordo avesse realmente previsto la cessione di una flotta militare, non ci fu il tempo per poterlo realizzare.
Diciotto mesi dopo... “Crac!”: l’Unione Sovietica si dissolse (1991) perciò, parafrasando Donald Kendall, l’intera faccenda andò in pezzi, anzi in centinaia di pezzi. Il nuovo contratto diventò carta straccia e la Pepsi si trovò a dover rinegoziare da zero con le varie ex repubbliche sovietiche, ormai indipendenti da Mosca (per esempio, i cantieri navali si trovavano in Ucraina, la fabbrica che avrebbe dovuto produrre le bottiglie in Bielorussia e così via). L’impresa americana non si scoraggiò e in soli sei mesi riuscì a salvare tutto, ma perse l’esclusiva.
Nella nuova era che si aprì i russi, stufi di bere per decenni solo Pepsi, passarono rapidamente alla sua rivale Coca-Cola. Tuttavia, dato che il primo amore non si scorda mai, molti di loro ancora oggi sono grandi consumatori di Pepsi.
Si ringrazia Anastasija Liadova per la preziosa collaborazione.
Note
[1] Nel 1697 lo zar Pietro il Grande intraprese un lungo viaggio nel Vecchio Continente sia per stringere alleanze, che per osservare lo stile di vita degli europei. Al suo rientro, introdusse l’abitudine di tagliare la barba, che fu accettata malvolentieri, e fece conoscere ai suoi sudditi prodotti come il caffè, la patata, il tabacco e naturalmente la limonata. Col tempo le patate sono diventate le regine della cucina russa, ma inizialmente non piacquero affatto.
[2] Da quel momento in URSS vennero prodotte bibite con una vasta gamma di sapori (vaniglia, arancia, dragoncello, pino, tè nero, noce, caffè, prugna e così via), i russi però adoperavano il termine limonata (limonàd in russo) per tutte.
[3] “du·shès”, da pronunciare alla francese.
[4] In realtà, gli americani ingannarono i sovietici inserendo in normali ambienti casalinghi elettrodomestici di lusso, in modo da far credere che li avrebbero potuti trovare in qualunque casa degli Stati Uniti.
[5] Donald Kendall fu assunto dalla Pepsi dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Scalò rapidamente i vertici aziendali diventando dapprima vice presidente, con il compito di occuparsi delle vendite all’estero, e successivamente amministratore delegato.
[6] Passò alla storia come “Dibattito in cucina”, perché si svolse davanti alla cucina di una tipica casa americana ricostruita per l’occasione.
[7] Il copeco è la centesima parte del rublo, perciò cento copechi corrispondono a un rublo.
[8] Per via del conflitto in Afghanistan, i beni sovietici erano stati sottoposti a delle sanzioni, perciò la vendita della vodka rendeva meno per la Pepsi.
[9] Ecco un esempio della versione russa (qui) e di quella americana (qui).
[10] L’articolo di Flora Lewis fu pubblicato il 10 maggio 1989 in cronaca estera, con il titolo “Soviets Buy America”. Sebbene la flotta fosse identica a quella citata dai blog (ovvero diciassette sottomarini, un incrociatore, ecc.), non si fece alcun accenno alla “sesta potenza navale a livello mondiale”. Tale articolo però potrebbe avere ispirato gli autori della leggenda contemporanea che circola in rete.
[11] Il termine “perestroika” indicava l’insieme di riforme portate avanti dal governo sovietico, a metà degli anni Ottanta, per riorganizzare l’assetto politico e sociale del Paese.
[12] Il 10 aprile 1990, anche il “The Washington Post” dedicò un articolo al rinnovo dell’accordo dal titolo “Pepsi sets £ 3 billion barter deal with Soviets”. Anche in questo caso, non si fece alcun accenno alla flotta militare, ma solo alle petroliere.
Foto di Lindsay_Jayne da Pixabay
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