Articolo di Sofia Lincos
Lady Pennyman e le figlie presero casa a Lilla. Il giorno dopo che erano arrivate andarono a comprare qualcosa in un emporio e diedero il loro indirizzo. “Ma che”, disse il tizio, “voi abitate là, signora?” “Sì”, disse Lady Pennyman, “è lì che abito. Che c’è di strano in quel posto?”
“Oddio, niente, signora”, disse il tizio dell’emporio, “solo che la casa è stata sfitta per tanto tempo perché dicono che è infestata”. Tornata a casa, Lady Pennyman si fece una risata assieme alle figlie e disse: “Beh, la vedremo se questo fantasma, coi suoi spaventi, manderà via noi”.
La mattina dopo, però, la cameriera di Lady Pennyman venne da lei e le disse: “Se non le spiace, signora, la signora Crowder e io dobbiamo andare in un’altra stanza. Non possiamo rimanere in quella dove siamo, signora, è impossibile. Il fantasma al piano di sopra fa un tale baccano che non riusciamo a dormire”. “Beh, potete cambiare stanza”, disse Lady Pennyman, “ma che c’è di sopra, dove dormite voi? Vado a vedere”, e trovò un lungo corridoio vuoto, eccezion fatta per un’enorme gabbia di ferro in cui era chiaro che era stato tenuto prigioniero un essere umano.
Qualche giorno dopo andò a cena da loro un’amica, una signora che abitava a Lilla. Era una persona molto risoluta, e quando udì dello spavento dei domestici disse: “Oh, Lady Pennyman, fatemi dormire in quella stanza: non avrò alcun timore, e magari, se ci dormo io, potremo farla finita con questo fantasma”. E così congedò la carrozza e rimase: ma il mattino dopo scese tutta pallida e tirata, dicendo di aver visto, senza possibilità di sbagliarsi, la figura di un giovane in veste da camera dal lato opposto del letto, anche se la porta era chiusa a chiave e non poteva esserci anima viva. Qualche giorno dopo, verso sera, Lady Pennyman disse alla figlia: “Bessie, sali a prendere lo scialle che ho lasciato in camera”. Bessie andò e scese dicendo che, mentre saliva, aveva visto la figura di un giovane uomo in veste da camera, che stava sulla rampa di scale di fronte a lei.
Ancora una volta si cercò di trovare una spiegazione. Uno dei figli, che era marinaio ed era appena tornato dal mare, venne messo a dormire in quella stanza. Quando scese al mattino era parecchio arrabbiato e disse: “Mamma, ma che pensavi volessi fare, che hai mandato qualcuno a spiarmi? Perché hai mandato a sorvegliarmi quel tipo in veste da camera?”. Il giorno dopo i Pennyman lasciarono la casa.
Questo è uno dei più scarni resoconti sul fantasma che nel 1786 sarebbe apparso in una casa di Place du Lion d’Or a Lilla, nel Nord della Francia: uno caso di infestazione spiritica famosissimo, tra i più discussi nell’Europa di fine Ottocento. Ma un caso che si trasformò, a poco a poco, anche in una leggenda metropolitana.
Nel 2020, un nuovo libro di AbEditore ha analizzato i racconti che ne scaturirono, i suoi protagonisti, le mille variazioni sul tema. Si tratta di La casa infestata di Place du Lion d’Or. Storia di una storia di fantasmi; ne è autore Fabio Camilletti, direttore del dipartimento di Italian Studies all'Università di Warwick (Coventry, Inghilterra).
Ma cosa rende la ghost story in esame anche una leggenda metropolitana?
Beh, tanto per cominciare, è necessario che una leggenda metropolitana circoli, e che lo faccia in molte versioni. È proprio quanto accadde al nostro fantasma. Sebbene i fatti si riferiscano a più di trent’anni prima, di lui si cominciò a parlare a partire dal 1822, quando sulla rivista londinese The Album comparve in un articolo suddiviso in tre parti. L’autore, che si firmava W.M., metteva le mani avanti, affermando di non conoscerne la veridicità:
Il [...] racconto [...] è stato inviato da un corrispondente anonimo, e nelle sue parole lo trascriverò. La storia è circolata parecchio in società, e benché evidentemente contaminata da molte aggiunte e varianti - dovute all’immaginazione di quanti l’hanno ripetuta nel corso del tempo - è fondata su un evento piuttosto enigmatico: è auspicabile che la pubblicazione di questo resoconto possa far sì che ne emerga una versione meno spuria.
Da allora, la storia divenne un ospite fisso delle raccolte di aneddoti a tema sovrannaturale, fino a tempi recentissimi: compare, ci informa Camilletti, anche nell'antologia di 50 Ghost Stories curata da John Canning nel 1971. Gran parte de La casa infestata è costituita da un'antologia delle varie apparizioni di questa storia di apparizioni, e se ne possono apprezzare le tante piccole variazioni sul tema. Se il resoconto che abbiamo posto in cima all’articolo è scarno (proviene dalle memorie di Augustus Hare, cui sarebbe stata raccontata dall’anziana Lady Ruthven), altri si dilungano nei dettagli, la drammatizzano, inventano dialoghi per far meglio trasparire lo sconcerto dei protagonisti. Quella più lontana dall’originale venne messa in scena da Charles Dickens: la storia è ambientata nel Kent e il fantasma diventa quello di un bambino. In altre versioni, il focus del racconto è sulla presenza dell’inquietante gabbia, e se ne dà una spiegazione:
Si diceva che un antico proprietario della casa, un giovane estremamente ricco, fosse stato rinchiuso in quella stanza dallo zio, suo tutore, prima di raggiungere la maggiore età: e che qui fosse stato condotto a morte prematura dalle privazioni e dalle crudeltà che gli erano state inflitte. Tali crudeltà venivano comminate col pretesto che fosse necessario correggerlo. Era infatti definito “ozioso, cocciuto, disattento e di inclinazioni sconvenienti, che solo un estremo rigore poteva raddrizzare”. Vani furono i tentativi di spingere il fanciullo nella tomba, e far entrare lo zio in possesso dell’eredità: veniva castigato di continuo, obbligato a studiare indefessamente e gli veniva negato anche il minimo riposo. [...] La gabbia di ferro venne inizialmente agitata come spauracchio, quindi commissionata e sistemata nella camera di sopra. Dapprincipio, per qualche settimana, servì solo a incutere terrore. [...] Per paura di quell’orribile punizione il giovane, che aveva all’incirca sedici anni, si dedicò fino a perderci il sonno a compiti impossibili da portare a termine, e che andavano ben oltre - e intenzionalmente - le sue capacità di studente. [...] Infine, lo spietato disegno per assassinare il ragazzo - fingendo di aver cura dei suoi interessi e della sua educazione - riuscì. Il giovane venne dichiarato incorreggibile. Si pretese che fossero indispensabili misure più drastiche. Venne condannato a due giorni di prigionia e di digiuno. Un’astinenza tanto prolungata dal cibo e dal sonno era più di quanto il suo fisico indebolito e il suo animo prostrato potessero sopportare: e quando lo zio, simulando un’ipocrita clemenza, venne a liberarlo un’ora prima di quel che gli rimaneva da scontare, scoprì che la morte aveva preceduto la sua falsa misericordia. (The Album, 1822).
Tormentato dai rimorsi, anche lo zio avrebbe perso la pace, finendo ben presto per lasciar vuota quell’abitazione che aveva guadagnato a un così caro prezzo.
Ecco, dunque, alcune caratteristiche della storia che ci permettono di ammetterla tra le leggende metropolitane: l’origine vaga, la proliferazione delle versioni, una trama in grado di toccare corde profonde come l’indignazione e la compassione, l’atmosfera inquietante… Ma, alla fine, non c’è solo questo. Se quel racconto ebbe così tanto successo, nell’Europa dell’Ottocento, fu anche per la sua vicinanza.
Lo spiega bene Fabio Camilletti, nell’introduzione al suo libro:
Cosa rendeva quella storia tanto affascinante, per il pubblico del 1822? Anzitutto, era una storia moderna. Le raccolte di aneddoti a tema soprannaturale - un genere che all’inizio dell’Ottocento aveva conosciuto una crescita vertiginosa - continuavano a ristampare testimonianze di prodigi desunte dagli scrittori greci e latini, dalle cronache medioevali o dai trattati cinquecenteschi di demonologia. Alcune di queste riguardavano case maledette, infestate dagli spettri di chi vi era morto di morte violenta - come la celeberrima casa di Atene di cui riferisce Plinio, o l’aneddoto di uno studente spagnolo che, nella Bologna del Cinquecento, aveva liberato una casa da uno spirito. Le manifestazioni di Place du Lion d’Or, invece, avevano avuto luogo pochi decenni prima: quasi un altro mondo, dopo la Rivoluzione francese e le guerre che avevano diviso la Francia e l’Inghilterra, ma un mondo le cui memorie non erano del tutto spente, e del quale alcuni dei protagonisti potevano essere - e di fatto erano - ancora vivi. [...] La storia poteva essere confermata, direttamente, da chi l’aveva vissuta.
È questo che rende, ad esempio, la storia dell’autostoppista fantasma una leggenda metropolitana e non una generica ghost story. È l’illusione della vicinanza, l’impressione di trovarsi sempre a un passo dalla verifica: quella strana esperienza è accaduta all’amico di un amico; basterebbe chiedere a lui per averne conferma. Se non che, quando si prova a risalire la catena delle fonti, ecco che il protagonista si sposta sempre un passo indietro: l’amico in questione l’aveva sentita dal cognato; questo, dal panettiere; lui, a sua volta, dal figlio della portinaia… E così via. Sempre irraggiungibile, ma sempre a un passo di distanza. Far away, so close.
Il fantasma della gabbia dava quell’impressione. Era una storia moderna, contemporanea a chi la raccontava, e probabilmente anche “socialmente vicina” (la protagonista era una nobile lady inglese, e la leggenda circolava proprio nell’upper class britannica). Spiega ancora Camilletti:
Non è un caso che la prima pubblicazione in volume avvenga in un’opera intitolata Accredited Ghost Stories: nel primo Ottocento le vecchie storie di fantasmi dei fogli volanti, prive di dati o di testimonianze autorevoli, cominciano a non bastare più, e si fa strada - specie in Inghilterra - l’idea di un approccio scientifico-critico ai fenomeni di apparizione, che finirà per monopolizzare il discorso relativo al soprannaturale a partire dalla metà del secolo.
Un po’ come accadde nel Novecento con l’ufologia, i sostenitori del paranormale andavano a caccia del caso perfetto: quello evidente al di là di ogni ragionevole dubbio, così solido da poter essere scagliato in faccia agli scettici e costituire la prova definitiva dell’esistenza del fenomeno. Il fantasma di Place du Lion d’Or ne aveva tutte le caratteristiche: era accaduto pochi anni prima, a una donna dell’alta società e quindi degna di fiducia, l’apparizione era stata constatata da tante persone, per di più appartenenti a diverse confessioni religiose e classi sociali. Tanto più che, nel 1824, entrò in scena la stessa Elizabeth Pennyman (la Bessie del racconto, figlia della protagonista e ventunenne all’epoca dei fatti). Visto l’interesse per quelle storie di famiglia, la donna scrisse di suo pugno una memoria che dovette circolare per molti anni in forma manoscritta: nonostante qualche differenza con la versione di The Album, vi si confermava l’autenticità delle apparizioni. Dopo la sua morte, questa veridica testimonianza - pur con qualche manipolazione - cominciò ad esser stampata in libri come il Lato notturno della natura di Catherine Crowe (1848).
Ora, visto con i nostri standard, il caso sembra decisamente meno solido di quanto poteva apparire all’epoca: si trattava di una memoria scritta a distanza di 38 anni dai fatti, dopo aver letto le ricostruzioni in circolazione e magari esserne stata influenzata (la stessa Elizabeth afferma, nel resoconto: “erano passati molti anni, e con tante cose sopravvenute, che me l’avevano fatta uscire di mente, ho avuto qualche problema a ricordare esattamente quel che accadde - alla fine, comunque, ci sono riuscita”); non era corroborata da altre testimonianze; i servitori che avrebbero potuto confermare il racconto sono chiamati solo per nome, a volte neanche quello, e nessuno, comunque, si prese mai la briga di andarli a cercare…
D’altra parte, non è questo il fulcro del libro di Camilletti. Decisamente indicativa e godibile, in questo senso, la copertina: il disegno di un edificio d’epoca, con su scritto Place du Lion d’Or - Una storia di fantasmi. A queste parole si sovrappone la sovraccoperta semitrasparente, che rende evidenti i fantasmi e che modifica il sottotitolo: Storia di una storia di fantasmi. Di quel racconto di incontro con l’oltreumano ci rimane solo quello: non il fatto in sé, ma i mille racconti che ne sono scaturiti.
Eppure, anche quelle cose ci parlano. Camilletti non fa un semplice elenco di versioni. Usa un approccio comparativo, fa dialogare le tante evoluzioni del racconto, le mette in relazione una con l’altra e le inquadra nel loro contesto: ogni nuova storia è una storia a sé, che ci parla del suo autore, molto prima che della vicenda.
Forse proprio questo rende il fantasma di Place du Lion d’Or una leggenda metropolitana, prima che una ghost story: la capacità di suscitare nuove narrazioni, ricordi, riflessioni. Non per nulla il libro si conclude con una lettera in cui una donna, trovandosi a sostare all’Hotel du Lion d’Or a Lilla, racconta di aver udito un “passo pesante e lento”. Una vicenda da nulla ma che, dopo aver letto i racconti sulla famiglia Pennyman, non avrà alcun dubbio a ricollegare al fantasma.
L’episodio lontano diventa esperienza vissuta, tangibile, veridica. L’oltreumano si avvicina, arriva a un passo da essere toccato: le leggende metropolitane sono fatte anche di questo.
Far away, so close.
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