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La stagnola per i ciechi: una leggenda urbana scomparsa

articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

L’anno scorso avevamo parlato sul sito del CeRaVoLC di una leggenda metropolitana scomparsa. In altri termini, di una storia la cui circolazione è stata limitata e che quindi si direbbe “defunta”. Non si trovano più tracce di una sua diffusione odierna. Potrebbe sempre riprendere vita, ma al momento è una leggenda contemporanea… non più contemporanea, nel senso che si colloca nel passato. Oggi, forse, nessuno la ritiene interessante o credibile.


Stiamo parlando della raccolta delle targhe di auto Fiat. In cambio della spedizione di lunghi elenchi di automobili immatricolate, l’impresa torinese avrebbe inviato premi non meglio precisati. Girò almeno fra il 1950 e il 1964. Poi se ne perdono le tracce.


Anche oggi ci occupiamo di una storia di questo tipo, un racconto un tempo popolarissimo ma ora uscito di scena. Si tratta delle voci su una raccolta di carta stagnola a fini benefici.


Il guaio è che, più di altre volte, su questa leggenda - che probabilmente girò per decenni - di concreto sappiamo ben poco. Diffusa in molte parti del mondo, per il nostro Paese siamo in grado di dire qualcosa solo per un periodo di poco più di vent’anni, a partire dalla seconda metà degli anni ‘50.


La fonte più antica che abbiamo risale agli inizi dell’estate del 1958. Si tratta del settimanale di Domodossola Risveglio Ossolano del 9 luglio. In quelle settimane, nel Piemonte settentrionale, si raccoglieva la stagnola contenuta nei pacchetti di sigarette e quella delle capsule di sigillo delle bottiglie per il latte. Perché lo si faceva? La voce era che il ricavato sarebbe andato “a beneficio dei ciechi”. La cosa era talmente diffusa che l’Unione Italiana Ciechi si vide costretta a diffidare pubblicamente promotori ed esecutori della raccolta a continuare “la loro illecita attività”.


Nessuno, infatti, aveva mai interpellato al riguardo quell’organizzazione, a quanto pare assai infastidita dalla diceria.


Il 31 ottobre del 1965, parlando a Milano davanti a centinaia di membri dell’Unione, lo stesso suo presidente, Paolo Bentivoglio, stigmatizzò “l’inutilità” delle raccolte: non solo il reimpiego della pochissima stagnola degli involucri sarebbe stata antieconomica, ma il costo di un singolo cane-guida, al tempo, era tale da rendere insensato pensare a una cosa del genere (Corriere della Sera, cronaca milanese, 1° novembre 1965).


Nel frattempo anche le cronache dal mondo dello spettacolo costituivano un’occasione per parlare della stagnola. Se ne occupò l’11 novembre del 1962 la giornalista Adele Gallotti, scrivendo su Stampa Sera dell’attività televisiva di Franca Rame, che in quell’anno insieme al marito Dario Fo conduceva la trasmissione più popolare, “Canzonissima”. La giornalista ne approfittava per parlare anche del figlioletto dei due, Jacopo, allora bambino di sette anni e futuro attore e scrittore:


Il serissimo Jacopo, per niente soffocato da tanta vigilanza ha il suo da fare a distribuire nella caselle dei coinquilini una specie di circolare: “Farete un’opera di bene ai ciechi se vorrete consegnare la carta stagnola di sigarette o di cioccolato al portiere”. E non manca di pregare la mamma di mangiare cioccolato.

La storia si ripeterà nel 1966 ad Alessandria. Ancora l’Unione Ciechi ammonirà chi chiedeva “stagnola, vuoti di pacchetti di sigarette, ecc.” in cambio dei quali sarebbe stato possibile acquistare cani guida per non vedenti. La comparsa stabile del motivo specifico per la raccolta (l’acquisto del cane), spingeva l’Unione a precisare in modo esplicito che né l’associazione, né la Scuola cani guida, che aveva ed ha tuttora sede a Firenze (Il Piccolo, Alessandria, 26 febbraio 1966) avevano mai autorizzato una cosa del genere.


Ma chi era, dal punto di vista pratico, ad ammassare l’inutile stagnola? Sappiamo che almeno per un po’ punto di riferimento furono alcune parrocchie. Il 15 marzo del 1969 Il Verbano scriveva che a Verbania, presso la chiesa del quartiere Renco, l’iniziativa era stata organizzata dai giovani della comunità proprio per “l’acquisto di un cane guida da regalare ad un cieco”. In quella cittadina del Lago Maggiore la pratica persisterà a lungo.


Sette anni dopo, una mini-notizia pubblicata il 2 marzo del 1976 nelle pagine di cronache novaresi de La Stampa spiegherà che la raccolta di carta stagnola aveva consentito l’acquisto di ben due cani, che sarebbero stati consegnati da lì a pochi giorni.

Purtroppo, ci manca qualsiasi particolare ulteriore su questa supposta trasformazione in realtà della leggenda della raccolta.


La memoria di uno dei due autori di questo articolo sulla circolazione del nostro racconto risale anch’essa più o meno al 1976, ed è un ricordo infantile, da storia che circolava fra le scolaresche. Una conferma che a metà anni ‘70 la cosa era ancora assai viva ci giunge da un articolo del 12 gennaio 1978 a firma di Giuseppe Peruzzi (1924-2013), corrispondente fiorentino del Corriere della Sera. Secondo il giornalista una classe di una scuola elementare di Ponte a Greve, alla periferia di Firenze, aveva cercato inutilmente, mesi prima, di partecipare alla trasmissione televisiva Rai “Portobello”, condotta da Enzo Tortora, perché… bambini e insegnanti non sapevano a chi rivendere la montagna di stagnola raccolta e che anche secondo loro doveva servire per un cane guida!

L’ultima fiammata risale al 1980. Si direbbe che i bambini di Firenze fossero riusciti nel loro intento, perché su La Stampa del 16 giugno comparve una lettera di una quinta elementare di Mappano (Torino) che chiedeva come fare ad imitare i compagni toscani, visto che anche loro volevano regalare un cane guida. Quattro giorni dopo una signora, moglie di un non vedente, rispondeva sulle pagine dello stesso giornale. Spiegava per l’ennesima volta che si trattava di una “voce che girava da anni” e - fatto importante - ripeteva che i cani guida erano assegnati in modo gratuito.


Il 31 ottobre, sullo stesso giornale, altra lettera e altro equivoco. Una signora raccontava che le due figliolette, a quel tempo alle medie, raccoglievano carta stagnola sin dai tempi dell’asilo. Si era rivolta all’Unione ciechi, che naturalmente le aveva risposto che di quelle faccende non sapevano un bel niente. Ebbene, la risposta secca non era stata sufficiente a farle buttare via quella cartaccia inutile: comprensibilmente delusa, chiedeva ad altri lettori de La Stampa


dove posso impegnare questa carta. Provvederei io stessa, in seguito, col ricavato, ad aiutare chi ha bisogno.

Dopo di allora, le tracce della nostra leggenda si perdono. Le storie sulle raccolte benefiche proseguirono, ma i loro oggetti si adeguarono ai tempi: dagli anni ‘80 si tratterà di raccogliere codici a barre, tappi di bottiglie di pet, scontrini della grande distribuzione…


Uno degli ultimi accenni alla raccolta della stagnola compare nella pagina dedicata alla cronaca di Imperia de La Stampa, il 30 giugno 1991. Nella città ligure circolava la voce che raccogliendo settemila scontrini fiscali si potesse regalare una sedia a rotelle a un disabile. Maurizio Vezzaro, l’autore dell’articolo, spiegava trattarsi di una beffa, “anche sgradevole”. Ma la cosa che ci interessa è che la storia al cronista ricordava


uno scherzo analogo, che alcuni anni fa aveva spinto la popolazione a procurarsi notevoli quantità di carta stagnola, da destinare ai non vedenti. L’Associazione ciechi aveva però negato ogni paternità dell’iniziativa.

Dunque, nel 1991 la leggenda era ormai collocata nel passato. Un passato recente, si direbbe, ma la sensazione è che a quel punto la raccolta di stagnola riguardasse già motivi folklorici defunti o comunque in via di estinzione.


Dicevamo in apertura che la documentazione è troppo lacunosa per ipotizzare come, quando e dove questa leggenda contemporanea sia sorta. Si potrebbe però pensare che un ruolo importante lo abbia svolto proprio il metallo che sta al centro della questione, ossia l’alluminio. Oggi la produzione industriale dell’alluminio è cosa banale, ma così non fu per lunghissimo tempo. La sua manifattura diventò efficiente solo dopo il 1886, grazie all’invenzione del processo di Hall-Héroult.


Per la sua malleabilità e leggerezza questo materiale ha sempre colpito l’immaginazione collettiva, degli appassionati di scienza e degli artisti, ma - come per molti altri procedimenti industriali - la colpì ancora di più quando diventò disponibile sul mercato di massa, a costi contenuti.


L’utilizzo del metallo nell’industria alimentare, quello nel quale rientra anche il nostro genere di leggenda, fu accompagnato dall’acquisizione di uno status mitico dei “fogli di alluminio” e, più in generale, delle potenzialità delle tecnologie metallurgiche retrostanti.


Due esemplificazioni, entrambe di origine remota.


Nel 1896-97, in tutti gli Stati Uniti ci fu una colossale mania per gli avvistamenti di misteriosi dirigibili fantasma: i giornali si divertirono a pubblicare centinaia di racconti su piloti di “aeronavi” che atterravano, avevano avarie, facevano soste furtive, venivano riparate o costruite in officine di fortuna... Sovente i misteriosi equipaggi (inventori segreti, spie straniere, in qualche raro caso persino “marziani”) spiegavano agli attoniti testimoni che i velivoli erano fatti di alluminio.


In un certo senso, in quella enorme e breve epidemia collettiva c’era una dose di lungimiranza. Nell’industria aeronautica sorgente l’alluminio, usato in una versione dal nome commerciale di Duralluminio, raggiunse il massimo dell’impiego negli anni ‘20-’30 del Novecento grazie al trionfo dei dirigibili di grandi proporzioni, il cui involucro rigido era fatto proprio di quel materiale. Più in generale, in quella fase l’alluminio permise prestazioni aerodinamiche fino ad allora inimmaginabili per gli aerei con motori a pistoni, soprattutto quelli ad uso militare, più pesanti degli altri.


Veniamo al secondo esempio. Proprio al periodo fra le due guerre mondiali si deve l’invenzione letteraria di una delle credenze più stralunate e più divertenti del secolo scorso, quella dei cappellini di carta stagnola da usare per proteggersi dalla lettura malevola del pensiero, dall’azione di controllo di varie entità spiacevoli - non ultimo da parte degli extraterrestri.


Per quanto ne sappiamo, questa idea fece la sua prima apparizione in un racconto di fantascienza del biologo, eugenista (e interessato al paranormale) Julian Huxley (1887-1975).

Il breve testo, The Tissue-Culture King, uscito la prima volta sul n. 358 dell’aprile 1926 della rivista inglese The Cornhill Magazine, costituisce un’apologia dell’ingegneria genetica. Qui potete leggerlo nella ristampa che ne fece l’anno dopo (1927) la rivista americana di fantascienza Amazing Stories.


Sospettiamo che le storie sulle raccolte benefiche di stagnola di cui sappiamo così poco siano apparse anche in Italia, magari con fini differenti, tra le due guerre mondiali, quando gli involucri di carta stagnola cominciavano ad attrarre l’attenzione delle imprese e lo sguardo ammirato dei consumatori posti davanti a quel luccichio simil-metallico.


In effetti, Paolo Toselli, che coordina il CeRaVoLC, ci ha fatto notare che ben prima delle versioni concerenti le raccolte a favore dei ciechi, negli anni '20-'30 del secolo scorso esisteva una versione differente della nostra leggenda, sulla quale negli archivi del Centro è raccolto diverso materiale: quella secondo la quale la raccolta doveva andare a beneficio di missioni religiose al fine di riscattare degli schiavi in zone nelle quali ancora esisteva quella forma di servaggio.


Per capire meglio come andarono le cose ci servirebbero tutti vostri ricordi e conoscenze. Avete memorie personali sulle raccolte di carta stagnola?


Scriveteci a centro@leggendemetropolitane.eu, oppure andare contattateci attraverso il nostro account Twitter!

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