Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Il 29 luglio 1998, nella sua pagina di cronaca dal Ponente ligure, La Stampa raccontava di una nuova moda che si stava diffondendo:
BORDIGHERA. È arrivata nell'estremo Ponente, dove sta facendo il giro di tutte le cucine delle massaie, devote e non, la Torta di Padre Pio. È una sorta di catena di Sant'Antonio a carattere gastronomico e religioso, che consiste nella lunga preparazione di una torta, della durata di 10 giorni. La cottura viene fatta soltanto dopo aver consegnato tre porzioni del preparato ad altrettante famiglie «di cui si vuole la felicità». La Torta di Padre Pio, idea nata nel paese del religioso, è approdata nell'estremo Ponente soltanto dopo aver fatto tappa nelle principali città d'Italia. Su alcuni settimanali, diversi personaggi del mondo dello spettacolo, da Lino Banfi a Maria Teresa Ruta, hanno raccontato di aver preparato il dolce, in segno di devozione a Padre Pio. La ricetta della Torta della Felicità si sta diffondendo a macchia d'olio. [d. bo.]
Anche se forse la cosa cuoceva da parecchio, è nel 1998 che in parecchie case italiane esplose la mania della torta di Padre Pio. Alla fine di quell’anno, fra l’entusiasmo popolare per il decreto che ne annuncia la beatificazione da parte di Giovanni Paolo II, anche la torta diventa un ingrediente di quella mescolanza di sentimenti, paure e speranze di varia natura. Il 22 dicembre, su La Stampa, Lino Banfi, cattolico fervente e devoto al religioso sin dal 1967, annuncia che la torta è parte integrale del messaggio di fede, perché
«si ispira allo spirito francescano, perché la sua preparazione richiede semplicità, umiltà, rispetto delle regole e pazienza», più noci e uvetta.
Ma c’è pure chi la considera parte integrante di altro, e cioè del kitsch religioso. È il caso di un critico attento della società italiana degli anni ‘80 e ‘90 e osservatore delle tendenze di massa come Tommaso Labranca (1962-2016), che in Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo (Einaudi, 1998) così ne scrive:
Notevole , fra le mille cose notevoli di questa sacrosaga, un servizio sulla torta di Padre Pio, preparata e assaggiata da attricette e annunciatrici pronte a esaltarne le dosi. Tal Paola Saluzzi [la conduttrice televisiva, NdR] ha affermato che mangiandola ha provato “sensazioni strane: ci si sentiva più uniti e più buoni”. Esattamente gli effetti della torta alla marijuana! Solo che quella è proibita, la torta di Padre Pio no.
E, davvero, probabilmente la torta si diffuse non tanto per le sue qualità gastronomiche - sembrerebbe trattarsi di poco più di un ciambellone tradizionale - ma soprattutto per gli effetti “spirituali” in grado di procurare: gioia, serenità, un ravvivarsi della fede cattolica, un senso di collegamento fraterno con persone più o meno sconosciute.
Proprio quest’ultimo, anzi, è una delle caratteristiche fondamentali della Torta di Padre Pio, particolarità che la accomuna ad un altro fenomeno antropologico del quale ci occupiamo da molto tempo - quello dei vari tipi di catena di Sant’Antonio, a cominciare da quello più tipico e diffuso nella storia, ossia le lettere iettatorie nate agli inizi del secolo scorso, da copiare e rispedire in più copie. Non è l’unico caso di una catena di sant’Antonio mangereccia: nel 1954 in Italia era scoppiata la mania per il fungo cinese, da passare ad amici e parenti secondo un vero e proprio rituale protettivo, dalle capacità quasi taumaturgiche.
La ricetta
Ma come si svolge la catena? Tutto nasce quando si riceve un bicchiere contenente un impasto lievitato, accompagnato da un foglio di istruzioni - di solito fotocopiato o copiato a mano. La procedura da seguire è la seguente:
Torta di Padre Pio
Per la preparazione della torta occorrono 10 giorni. Non usare il frullino e non mettere il composto in frigorifero.
1° giorno: Versare il contenuto del bicchiere che avete ricevuto in una terrina, aggiungere 1 bicchiere di farina e 1 bicchiere di zucchero. Non mescolare e coprire con la carta stagnola.
2° giorno: Mescolare il tutto e ricoprire
3° giorno: Non toccare
4° giorno: Non toccare
5° giorno: Aggiungere 1 bicchiere di farina, 1 di zucchero e 1 di latte. Non mescolare e ricoprire.
6° giorno: Mescolare il tutto e ricoprire.
7° giorno: Non toccare
8° giorno: Non toccare
9° giorno: Non toccare
10° giorno: Togliere 3 bicchieri dall'impasto per tre persone di cui vuoi la fortuna.
Aggiungere al poco impasto rimasto 2 bicchieri di farina, 1 di zucchero, 1 di olio di semi, 1 etto (1 bicchiere) di noci sbriciolate a mano, 1 mela a pezzetti, 2 uova, 2 bustine di vanillina, 1 bustina di lievito per dolci e 1 pizzico di sale. Mescolare il tutto esprimendo tre desideri o chiedere tre grazie. Infornare a 180° per 40 minuti circa. È veramente buona.
PS: Per fortuna si intende anche la guarigione fisica e spirituale. L'impasto ricevuto non si deve rifiutare e non si deve buttare.
Nei fatti, la procedura distribuita su più giorni ha l’effetto di far moltiplicare l’impasto “madre”, aggiungendo ingredienti come farina e zucchero e nutrendo il lievito presente. A quel punto se ne potrà conservare una parte (da donare a tre persone a scelta), mentre il resto andrà a dar vita alla torta vera e propria.
Un meccanismo di condivisione
La gran parte delle innumerevoli pagine che su Internet ne discutono la preparazione (di solito si tratta di blog gastronomici, oppure legati al wellness o a forme di spiritualità più o meno tradizionali) pone comunque l’accento su un punto fondamentale. La torta sarà anche buona, ma quel che conta è ciò che essa provoca: la catena agisce sui rapporti interpersonali e sui sentimenti che intercorrono fra persone. Un esempio caratteristico in questo post del 2013:
Viene detta torta di Padre Pio poiché si fonda su un principio di cura e di condivisione: 10 giorni di cura, partendo da un bicchiere di impasto donato da chi la torta l’ha già fatta, prima di arrivare alla cottura. Prima di cuocerla, si tolgono 3 bicchieri di impasto e si regalano ad altri a cui viene consegnato il compito di prendersene cura e di continuare la catena. Nell’ultimo passaggio è previsto anche che si esprimano 3 desideri.
Non è forse un caso che, almeno in certe occasioni, il nome affibbiato al dolce possa essere in maniera indifferente quello di torta di Padre Pio oppure dell’amicizia, come in questo esempio (meno frequenti sembrano invece le denominazioni torta della buona fortuna, torta della felicità o torta della pazienza). D’altro canto, se la richiesta esplicita di passarla ad altri rende la Torta di Padre Pio un chiaro esempio di catena, la presenza dei tre desideri da esprimere la accomuna più strettamente alla magia nel senso più pieno del termine. Tipicamente, infatti, la gran parte delle tradizionali catene di Sant’Antonio fanno leva su un sentimento più classico di fede e di attesa: dopo un certo periodo, assicurano quasi sempre le lettere, i “continuatori” della catena avranno una bellissima sorpresa. Quale? Non si sa: la “grazia” rimane sconosciuta fino al momento in cui non si realizzerà.
Ma torniamo alla nostra torta. Cosa succede se non si continua la catena? A parte l’invito perentorio a non rifiutare l’impasto e a non gettarlo, si direbbe che, nell’insieme, Padre Pio sia più magnanimo di sant’Antonio. Per queste ultime, infatti, le conseguenze di un’interruzione del rituale potevano essere terribili: rovine e morti di ogni genere, descritte con un gusto superiore rispetto alla menzione dei premi e delle ricompense per il mantenimento del ciclo da parte dei “fedeli”.
Addirittura, in certe occasioni, come in questa che sembra provenire da un foglio dattiloscritto con delle parti aggiunte in tempi più recenti con un programma di videoscrittura, la parte dei tre desideri è omessa: la Torta di Padre Pio è buona, rende felici, ci lega in una catena d’amore, e questo basta.
L’origine della catena
Già, ma che c’entra Padre Pio? Se si cerca sul web, le spiegazioni sono molteplici. Molti garantiscono che la torta - o almeno, la catena - sia nata proprio a Pietralcina. Il sito foodblog ricollega la torta alla “mistica presenza del santo” e “ai gruppi di preghiera che egli volle creare, nei quali si condividevano anche momenti meno ascetici, come un dolce preparato da una sola persona e poi duplicato per le altre”.
Per altri, la torta sarebbe stata il dolce preferito del santo, “per cui è abitudine prepararlo, unendo cucina, tradizione e fede”. Proprio per questo “parrebbe che porti fortuna e in più che, durante la preparazione, sia possibile chiedere voti al presbitero di Pietrelcina”. Da qui l’abitudine di infornarla chiedendo tre grazie - magari rivolte non a noi stesse, ma alle persone care - e di recitare una preghiera al santo all’inizio della cottura.
Molto probabilmente, invece, la torta ha avuto origine da ricette simili che ogni tanto si strutturano come vere e proprie catene di sant’Antonio. Negli anni ‘70, l’impasto da moltiplicare e condividere portava il nome di Herman ed era popolarissimo in Germania. Negli Stati Uniti degli anni ‘90, ci si scambiava invece il pane Amish dell’amicizia.
Non tutti, comunque, abboccano alla storia di padre Pio: in rete non mancano gli scettici, per i quali si tratterebbe “di una mera operazione commerciale, tendente a legare il nome del santo a qualcosa di molto popolare, al fine di alimentare il marketing che ruota intorno alla sua figura”. Il dubbio è testimoniato anche dalla presenza di versioni meno “magiche”, prive delle promesse di grazia, come quella già vista qui sopra.
Ma forse queste versioni sono da ricondursi anche al sospetto - avanzato da alcuni religiosi - di trovarsi in presenza di qualcosa di dannoso per i fedeli. La torta sembra infatti aver fatto sollevare più di un sopracciglio…
Una torta “satanica”?
Don Stefano Bamonte (n. 1964), religioso dell’ordine dei Serviti di Maria e anche esorcista cattolico è fra quelli che si sono preoccupati della torta di Padre Pio, per definirla - come ha sempre fatto il clero cattolico per le catene di sant’Antonio - una superstizione che niente può aver a che fare con la fede autentica. Dovrebbe essersene già occupato nel 1999 sul settimanale Famiglia Cristiana, ma qui menzioniamo un libro recente di Bamonte (Cosa fare con questi maghi?, uscito nel 2020 per le edizioni Àncora) che però a noi sembra riprendere riflessioni elaborate già molti anni prima dal religioso - forse quando la torta andava davvero di moda:
Un’altra catena superstiziosa in voga da qualche anno è quella della “torta di padre Pio”, definita anche “torta della felicità”. Viene consegnata una pallina di pasta chiamata “madre”, che va tenuta sette giorni a riposare nella farina. Dopo i sette giorni, prima di mettere tutto nel forno, ne va tagliato un pezzo da cui ricavare tre palline di pasta, da distribuire a tre persone che a loro volta dovranno fare la stessa cosa trovando altre tre persone. Non c’è alcun dubbio che padre Pio con questa torta non abbia nulla a che fare! Il suo nome è usato solo per dare una parvenza di decoro religioso a una pratica che è na forma di superstizione alimentare non solo ridicola, ma anche fortemente offensiva nei confronti del beato padre Pio da Pietrelcina [il fatto che Padre Pio sia definito beato e non santo - la sua canonizzazione cattolica è del 2002 - conferma che il testo di Bamonte probabilmente è da datarsi intorno al 2000, NdR].
Allo stesso modo, sul sito cattolico conservatore Aleteia, don Antonio Rizzolo rispondeva nel 2014 a una domanda di una fedele, spiegando che la torta non aveva nulla a che fare con padre Pio né con la fede. Anzi, per lui “il santo di Pietrelcina sarebbe inorridito a vedervisi associato”. Non era peccato sfornare la torta, non c’era nulla di male a scambiarsi la ricetta con un’amica, ma tutto doveva finire lì: la devozione era un’altra cosa.
Dubbi simili compaiono in diverse pagine web. Ma c’è chi, in rete, è arrivato addirittura a parlare di una “torta satanica”, che avrebbe dovuto essere assolutamente vietata ai bravi cattolici:
ATTENTI AL COSIDETTO DOLCE DI PADRE PIO
Può sembrare una cosa innocua ma non lo è. [...]
Ora Padre Pio diventa una torta magica. L’ultima blasfemia, figlia della superstizione, circola per posta elettronica in Messico ed è merito di un santo e bravo sacerdote, Padre Ernesto Caro, quello di averla smascherata; la catena che gira per internet, paragona il Santo di Pietrelcina ad una torta (Hemin), cita persino gli ingredienti, le porzioni e il tempo di cottura. Inutile dire che la blasfemia al limite del grottesco, sostiene che dietro questa “miracolosa” torta ci sia il Vaticano e che non mangiarla o non prepararla porti male. Insomma, superstizione pura con fine di lucro. Inoltre nello stravagante messaggio si fa riferimento sempre ad un cucchiaio di legno, simbolo esoterico. Riportiamo i passaggi della catena invitando coloro che la ricevano a non tenerne conto ed anche eventualmente a riportarla al Gris. Dunque, andiamo con ordine. Il primo punto afferma che esiste un “dolce, definito dolce benedetto di Padre Pio”.
Non risulta che mai il frate abbia fatto il fornaio, tanto meno il pasticciere. Letteralmente il testo dice: “questo pane, detto Hemin (termine che non esiste da nessuna parte) è il dolce di Padre Pio e viene dal Vaticano (falso), porta benedizioni per ciascuna famiglia che lo mangi e in tre giorni dovrà essere passato ad altre famiglie”, e qui si vede il classico messaggio delle catene. [...]
La bufala, che per il momento gira in Messico (ma non si esclude che possa presto arrivare da altre parti) è frutto di superstizione, falsità e scopo disonesto di lucro. Vi sono chiari segnali esoterici, come il cucchiaio di legno e volontà di confondere come l’Hemin parola che nella Sacra Scrittura non esiste da nessuna parte. Dunque, ora si tenta di guadagnare, speculare e persino profanare Padre Pio. Grazie al buon servizio reso da Padre Ernesto Maria Caro.
Allo studioso di leggende quell’Hemin, più che alla Bibbia, fa pensare alla torta Herman - quella che, come spiegavamo qui sopra, si diffuse in Europa negli anni ‘70, e che si presentava anche lei come una “pasta madre” da moltiplicare e ricondividere. La nostra torta di Padre Pio potrebbe dunque essere un rebranding della vecchia ricetta, per renderla più adatta a un paese di tradizione largamente cattolica - prima in Italia, poi in Messico.
Con il rischio, però, di farla andar di traverso al pubblico spiritualmente “più esigente” e più inviso alla superstizione, come le dichiarazioni di alcuni esponenti ecclesiastici sembrano lasciar supporre.
Immagine in evidenza: generata con Microsoft Bing Image Creator
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