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Orang Minyak, la leggenda dell'uomo oleoso


Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Gli studiosi litigano da un pezzo su come definire le “leggende contemporanee”. Forse una cosa che ci interessa, di quelle discussioni, è che qualcuno ha detto che queste storie devono essere “contemporanee”. Cioè, chi le racconta o le raccontava ha bisogno di credere che quei fatti stiano accadendo “adesso”, ai giorni nostri, non in un passato più o meno remoto.


Sono, quindi, una forma di folklore “vivente”, perché riguarda cose raccontate come vere, qui ed ora.


La Malesia, il grande Paese dell’Asia orientale, gode di un folklore ricchissimo relativo ad esseri malvagi di ogni genere. Questi esseri rientrano sovente nella categoria generica degli “Orang-”, che in malese significa “uomo”. E’ la stessa parola da cui viene il nome generico delle scimmie Orang-utan, gli “uomini delle foreste”. Come entità mitologiche possono esistere l’Orang Ekor (l’uomo con la coda), l’Orang Pendek (l’uomo piccolo, altro fra i 60 e 130 cm, tipico di Sumatra), l’Orang Gadang, (l’uomo grande, un gigante peloso di tre metri) o l’Orang Bati (l’uomo volante, che ha ali nere e vive nei vulcani spenti).

Fra tutti questi esseri mitici a noi uno interessa di più, perché, seppure radicato in credenze tradizionali, è diventato una leggenda contemporanea e “vive” oggi nei racconti, nelle voci, nei media e in vere e proprie testimonianze di prima mano da parte di coloro che l’avrebbero incontrato.


Si tratta dell’Orang Minyak, cioè l’uomo oleoso.


L’Orang Minyak è un essere di origine soprannataturale che, ricoperto di grasso scuro, entra di notte nelle stanze da letto delle donne scalando i muri e le rapisce. Il grasso scivoloso serve a impedirne la cattura.


Si capisce subito dove si andrà a parare: l’Orang Minyak rientra in uno dei filoni fondamentali del leggendario contemporaneo (e di quello generale): i racconti di minacce alla integrità/sessualità delle donne del proprio gruppo sociale. In questo caso la funzione terrifica del motivo è evidente. Le storie su questo essere si sono poi diffuse in altre parti del sud-est asiatico. Anche se non frequenti come in Malaysia, le si trova anche in Thailandia, a Singapore e in Indonesia.


Il costume da bagno nero, il solo indumento portato almeno in alcuni racconti dall’uomo oleoso ha il compito di celare la sua sessualità illecita. Non fissiamoci però troppo sul colore del costume. Nelle culture estremo-orientali, compresa quella malaysiana, il nero non è simbolo di male o di lutto come in Occidente, ma - in specie per l’influenza cinese - di forza e fermezza.


Una delle fonti migliori per orientarsi nelle storie sull’Orang Minyak è un articolo presente negli archivi sul folklore del college “Dana and David Dornsife” della University of Southern California.


La natura dell’essere rimane assai incerta: potrebbe anche trattarsi di un uomo, ma comunque di un individuo che ha acquisito superpoteri perché, da amante respinto, li ha ricevuti da un bomoh (sciamano) oppure grazie a un contratto con qualche essere soprannaturale.


Alcuni paralleli con fenomeni di panico morale presenti in altre parti del mondo colpiscono in modo evidente. In Malesia, alcune donne particolarmente preoccupate dal rischio di essere aggredite dall’Orang Minyak indossano indumenti intimi particolarmente sudati per cercare di ingannare l’essere (che, dunque, può essere distolto dai suoi tentativi). Si tratta di fargli credere di aver appena avuto un rapporto sessuale, perché una delle nozioni più presenti nei racconti è che l’entità vada in cerca di vergini.


Tempo fa, su Query Online avevamo discusso un panico collettivo in corso in Nigeria che aveva per oggetto furti di indumenti intimi femminili usati da parte di bande di giovani, gli “Yahoo Boys”, che li impiegherebbero nei loro rituali iniziatori. In quel caso lo scopo delle donne è di evitarne il furto, giacché il loro utilizzo da parte degli Yahoo Boys potrebbe condurre alla morte a distanza delle malcapitate. Nel caso malaysiano l’indumento intimo “sessuato” è scudo contro il male, nel caso nigeriano ne è strumento.

Una questione di fondo che andrebbe chiarita è questa: l’impressione è che questa credenza abbia senz’altro radici nel folklore tradizionale, ma che sia sorto a nuova e potente vita soltanto quando anche in Malesia la cultura di massa e la modernità si sono affermate.


A quanto pare negli anni ‘60 e nei primi anni ‘70 in Malesia diversi casi di violenza sessuale sulle donne erano stati attribuiti all’Orang Minyak, ma è solo a partire dal 2000 che il fenomeno è dilagato.


Come in altre occasioni, anche stavolta si può ipotizzare una fase critica nella nascita moderna di questa leggenda. Questa fase probabilmente coincise con l’arrivo della creatura nei cinema malesiani, in una fase di forte espansione della produzione cinematografica di quel grande Paese.


Nel 1958, nel giro di pochi mesi uscirono tre film dedicati al “mostro”. Prima di allora è difficile trovare notizie che lo riguardino. I primi due, Orang Minyak e Serangan Orang Minyak (“L’uomo oleoso colpisce ancora”) furono diretti da L. Krishnan; il terzo, Sumpah Orang Minyak (“La maledizione dell’uomo oleoso”, che collocava la storia nel 1901), da P. Ramlee.


L'Orang Minyak, come appariva nel 1958 nel primo film di L. Krishnan.



Ne seguiranno altri (fra tutti Oily Maniac, del 1976, del regista di Hong Kong Meng Hua Ho), di cui vedete in evidenza la locandina, ma la prima ondata fu determinante.

Si direbbe infatti che dopo l’uscita dei tre film del 1958 vi sia stata una comparsa su vasta scala sia di notizie di avvistamenti del mostro, sia - attenzione al punto - un aumento delle denunce di violenze su donne perpetrate dall’Orang Minyak. Il mito potrebbe quindi avere una funzione bifronte. Da una parte, quella di evitare alla donna lo stigma della vittima, grazie alla collocazione della violenza nella dimensione del sacro, inteso come terribile. Dall’altra, grazie alla sua maggior circolazione, la leggenda potrebbe essere stata usata da violentatori o da uomini violenti come cornice entro cui “spiegare” e coprire alcune aggressioni.


Però bisogna intendersi: resta altamente implausibile che dei violentatori si ricoprano di sostanze scivolose per evitare di essere catturati. Semplicemente, le loro stesse vittime gli sfuggirebbero. Per questo, scettici come Benjamin Radford preferiscono inquadrare queste vicende in una prospettiva interamente folklorica. Peraltro, l’obiezione è facilmente aggirabile nelle versioni che considerano l’Orang Minyak non come un uomo “normale” in combutta con Satana, ma qualcosa che va oltre: l’olio trasuderebbe in modo diretto attraverso la pelle dell’essere.


La studiosa di folklore e di fiction moderna Thresa Bane dedica al mostro malaysiano una voce della sua Encyclopedia of Demons in World Religions and Cultures (Londra, McFarland, 2012). In sostanza ne avvalora l’idea che si tratti dell’utilizzo moderno di tratti già presenti nell’antropologia di quel Paese e che il mito dell’Orang Minyak come lo conosciamo si sia formato negli anni ‘60 del secolo scorso.


Le caratteristiche che Bane riassume sono tipiche delle leggende contemporanee. Quella fondamentale è la grande variabilità delle qualità dell’Orang Minyak. Ad esempio: perché il mostro assale le donne? Si tratta dell’amante respinto, dell’uomo che ha fatto un patto con Satana, oppure, come spiega Bane, del mago che deve garantire a Satana di riuscire a violentare ventuno donne in sette giorni, così da assicurarsi i favori del Principe delle tenebre?


Ampio è pure il ventaglio delle conseguenze degli attacchi sulle vittime. Theresa Bane nota che questa leggenda in tempi recenti è diventata un modo per spiegare casi di paralisi nel sonno o di mutismo psicogeno che si manifestano nelle donne, attribuendogli un’origine esterna, malvagia.


Variano anche i metodi per opporsi con efficacia al mostro, a fronte del quale dunque la donna non è del tutto impotente. A parte lo stratagemma già visto - quello di indossare biancheria sudata per far credere all’Orang Minyak di essere reduce da un rapporto sessuale, o quello di dormire con addosso panni maschili - è possibile richiedere l’intervento di un bomoh benintenzionato (perché ci sono, fra questi sciamani, quelli in combutta con l’entità), oppure compiere altre azioni magiche, come mordersi il pollice sinistro durante l’aggressione e coprirlo con un pezzo di stoffa batik tinta secondo una specifica procedura.


In tempi più recenti, l’idea che le aggressioni dipendano dalla richiesta di Satana sembra essere stata in parte sostituita da una lettura più secolarizzata delle azioni dell’individuo: soddisfare i propri appetiti e rubare apparecchi elettronici di ultima generazione. Le sue caratteristiche diventano così quelle di un super-criminale i cui fini, tuttavia, assumono tratti consumistici e da abusatore sessuale.


Nelle culture della costa orientale dell’Africa e del sub-continente indiano ci sono almeno altri due esempi importanti di fenomeni antropologici che presentano tratti comuni con la leggenda dell’Orang Minyak malese.


La prima, è quella delle bande di aggressori di donne che agiscono in Tanzania, i cosiddetti Teleza. Non è chiara la reale portata del problema. Il timore è sempre che una realtà tremenda sia sminuita, ma i confini della questione rimangono sfumati. Anche se i crimini corrispondono a verità, è possibile che dettagli come quelli secondo i quali i criminali agirebbero completamente coperti di olio (teleza vuol dire “scivolosi” in swahili e in altre lingue della parte orientale dell’Africa) appartengano al panorama etnologico di cui fa parte, sulla sponda opposta dell’Oceano Indiano, il nostro Orang Minyak.


Prima ancora, nel 2011, nello Sri Lanka che stava cercando di riprendersi dalla guerra civile che aveva portato alla totale distruzione delle formazioni armate Tamil, si sviluppò il vastissimo panico morale dei grease devils (“diavoli lubrificati”), esseri dai poteri eccezionali che aggredivano le donne ritenuti responsabili di alcuni omicidi.


Come in un caso classico di panico collettivo ripetutosi a ondate per decenni, quello del britannico Spring-heeled Jack del XIX secolo, anche i grease devils lankani potevano essere dotati di molle potentissime nelle calzature, che permettevano loro di spiccare balzi senza paragoni. Nel caso dei grease devils le analogie con i racconti sull’Orang Manyak sono davvero notevoli. Tuttavia, mentre le vicende dello Sri Lanka sono state abbastanza esplorate dal punto di vista della psicologia sociale (Venugopal, 2015; Spencer, 2016), lo stesso non sembra essere avvenuto in Malesia, le cui storia rimangono genericamente assegnate all’influenza della cultura di massa sulle forme tradizionali di folklore.


Molto passa comunque attraverso la demonizzazione completa dell’intruso (immaginario o tragicamente concreto che sia), totalmente diverso da noi - ma non sino al punto da non presentarsi nelle camera da letto “nudo”, oppure con addosso “un costume da bagno nero”.


In anni recenti le testimonianze dirette sull’Orang Minyak (e le denunce alle forze dell’ordine) sono diventate cosa comune. A fine 2011 l’uomo oleoso è stato visto e ne è stato udito il verso più volte intorno al villaggio di Laksamana, nello Stato malese del Selangor. Parecchi casi di aggressioni sono state attribuite in tempi a noi vicini a criminali che impersonano l’essere.


Nel 2016 una donna è stata attaccata da un Orang Minyak che indossava mutande rosse nella toilette di una stazione di servizio; nell’aprile 2018 una diciassettenne è stata aggredita dietro casa da un Orang Minyak che, a quanto pare, si aggirava nella zona da circa un mese, tanto che gli abitanti di quel villaggio, nello Stato del Kelantan, avevano organizzato ronde notturne. Alcune case erano state prese a sassate e gli infissi danneggiati. Circolavano voci su avvistamenti diretti dell’Orang Minyak. Nessuno, a quanto pare, è riuscito a catturare i criminali.


Purtroppo è plausibile che sentiremo ancora parlare della leggenda contemporanea dell’Orang Minyak e dei suoi omologhi che, a uno sguardo più attento, da tempo non sono altro che un modo per travisare realtà sociali terribili: le violenze esercitate sulle donne in Malesia, nello Sri Lanka e in Tanzania.


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