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Panico da fine del mondo nel Kashmir indiano



articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo



Il Kashmir è una vasta area al centro di tensioni geostrategiche senza fine. Pur trovandosi in buona parte in territorio indiano, ospita una popolazione in larga misura musulmana, che non nasconde la sua volontà di riunirsi alla parte pakistana della regione. Anche per questioni di confine, dal 1948 in poi i due colossi asiatici hanno combattuto diverse guerre e sovente la zona è oggetto di recrudescenze belliche, oltre che area d’azione della guerriglia indipendentista sostenuta dal governo di Islamabad. Le tensioni culturali con la minoranza indù, poi, si sono accresciute da quando a Delhi governa il super-nazionalista Narendra Modi.


È su questo sfondo che si colloca una serie di eventi che si sono verificati nelle ore che vanno dalla tarda serata di mercoledì 25 marzo alle prime ore di giovedì 26, quando un gran numero di kashmiri si è dato a scene di disperazione e di esaltazione religiosa, in quello che può essere interpretato come un episodio da manuale di panico collettivo, perché era certa che stesse per arrivare la fine del mondo.


Quello che ha spaventato la gente e l’ha fatta correre in strada è stato il fatto che verso le 23.00 di quella sera gli altoparlanti delle moschee della regione hanno cominciato a risuonare dell’adhan, la chiamata islamica alla preghiera (salah) fatta cinque volte al giorno dal minareto.


Ciò che ha causato grande spavento è che l’adhan fosse stato fatto in orario notturno (qui un esempio), cosa del tutto inusuale. In molti luoghi la gente è balzata in piedi dal letto, precipitandosi in strada. Molti invocavano Allah, e affluivano verso le moschee, fra scene di vero panico. Qui vedete un bimbo kashmiro prendere parte ai sommovimenti, piangendo e invocando Dio. Nella cittadina di Chrar-e-Sharief sono scoppiati scontri con la polizia. Altri hanno postato un video di quello che veniva definito “un asteroide chiaramente visibile nel cielo del Kashmir”, mentre in sottofondo si sentiva intonare il takbir, l’espressione Allahu akbar. In questo filmato si scorge, in effetti, un grosso punto luminoso basso sull’orizzonte di un centro urbano, in apparenza immobile, e che sarebbe stato ripreso durante il panico della sera del 25 marzo. Controllando su Heavens Above la situazione del cielo a Srinagar per quella tarda serata, si può ipotizzare quello avvistato basso basso sull’orizzonte non fosse altri che il pianeta Venere, tradizionale vittima di identificazioni con Ufo, angeli, aerei nemici, dirigibili, divinità, santi e quant’altro di consono a ogni periodo storico e contesto.


Mentre donne e bambini piangevano, circolavano voci secondo le quali in cielo era stato visto il Dajjal, “il Mentitore”, la cui venuta di quaranta giorni precederà il Giudizio operato da Allah, secondo interpretazioni largamente diffuse nell’escatologia islamica. Molti altri asserivano di aver appena visto il Nome di Dio comparire scritto sulla volta celeste, tanto più che a quanto pare nel folklore kashmiro si racconta che la fine del mondo (Qayamat) avverrà di giovedì - e il 26 marzo era proprio un giovedì.


C’è voluta qualche ora per capire che le dicerie circolate erano state generate da una serie di tensioni e di cortocircuiti comunicativi. In un clima di costanti tensioni sociali, l’arrivo in quell’area dei primi casi, anche mortali, di Covid-19 ha condotto le autorità indiane a misure di lockdown senza precedenti, che hanno coinvolto l’intera federazione indiana. Fake news e voci allarmistiche si sono diffuse. In modo analogo a quanto accaduto in occidente, il transito in prossimità dell’orbita terrestre di un asteroide, 19980R2, che sarà al perigeo al 29 aprile e del quale i media e i social hanno parlato anche in Italia con toni non sempre corretti (qui un’analisi dettagliata dell’astrofisico Albino Carbognani), ha condotto in Kashmir a credenze secondo le quali il sasso cosmico avrebbe colpito la Terra, portando alla fine del mondo (ma i social nel Kashmir dicevano che il corpo celeste ci avrebbe raggiunti il 26 marzo...).


Il fattore decisivo però è stato un altro: in considerazione della pandemia, un’organizzazione islamica pakistana aveva chiesto che i fedeli uscissero di casa alle 22 di mercoledì 25 (le 22.30, nel Kashmir indiano) per offrire preghiere a Dio. Particolare successo sembra aver avuto un video in cui un imam citava un hadith - la tradizione di aneddoti sul Profeta Muhammad che riveste grande importanza teologica nel mondo islamico - secondo il quale sarebbe bene chiamare l’adhan più sovente nei tempi di calamità. Così, il 25 marzo, da alcune moschee è risuonato l’invito alla preghiera. Le conseguenze sono state quelle descritte: nonostante il lockdown sanitario indiano (con conseguente chiusura dei luoghi di culto di ogni religione), parecchi musulmani, sentita la voce del muezzin dagli altoparlanti, sono affluiti lo stesso verso i luoghi di preghiera. Da lì il caos, le voci e anche i disordini durati qualche ora.


Il 27 marzo Jehangir Ali, un giornalista testimone della notte di caos di Srinagar, ha pubblicato sul blog che tiene per la rivista indiana The Quint il racconto personale degli eventi, comprensivo di colpi di fucile automatico sparati in aria per disperdere la folla davanti alle moschee, ammassata malgrado l’epidemia di Covid-19, e del ruolo che nell’esplosione del 25 marzo per lui ha avuto la mancanza da parte delle autorità di notizie chiare sulla situazione sanitaria. Ma ha anche menzionato altro:


Una storia popolare sul nostro profeta Muhammad (la pace sia su di lui) narra che una volta un beduino lasciò un cammello libero di andare nel deserto e che quando gli chiesero quale fosse la logica di quella cosa, rispose che aveva una fede totale (si legga “cieca”) in Dio. Il profeta rispose: “Confida in Dio ma lega il cammello”.

In altri termini: avere fede non implica in alcun modo abiurare alla razionalità - cosa che invece è avvenuta in quell’occasione.


C'è forse ancora un’altra chiave di lettura psicosociale che si potrebbe proporre. Dall’agosto del 2019, nel tentativo di combattere le spinte indipendentistiche dei kashmiri, il governo di Delhi ha reso difficilissimo il traffico internet della regione di confine. Ciò ha prodotto enormi tensioni e il sorgere di innumerevoli voci a sfondo politico-sociale anche con gravi conseguenze economiche. Il numero di persone con disturbi legati a stress psicologici, già alto, sarebbe cresciuto moltissimo. Ci pare plausibile che eventi estremi come quelli della sera del 25 marzo possano essere anche il prodotto del semi-isolamento comunicativo imposto dalle autorità centrali. Se così fosse, si tratterebbe dell’ennesimo caso di eterogenesi dei fini, quelli in cui si ottiene un risultato completamente diverso da quello che ci si aspettava - e che era desiderabile.



Immagine in evidenza: la folla raccolta davanti a una moschea del Kashmir nella notte fra il 25 e il 26 marzo 2020 (fonte: siasat.com)

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