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Quel treno per Pesaro: storie dal coronavirus


Articolo di Sofia Lincos


C’era una volta… “Un re!”, diranno i miei piccoli lettori. E invece no. C’era una volta un treno per Pesaro:


Salgo su un treno per Pesaro. Nella carrozza entra un ragazzo cinese. Una tizia esclama ad alta voce: “Ecco qua, così s’ammalamo tutti”. Il ragazzo prontamente risponde: “A signò, io la Cina in vita mia l’ho vista solo su Google Maps!”. Applausi. #coronavirus

Questa storia è stata pubblicata su Twitter la mattina del 31 gennaio da Pietro Raffa, esperto di comunicazione e blogger su LEspresso e sull’Huffington Post. Tutto sommato, non ha neanche troppo senso discutere se si tratti di un episodio davvero accaduto o di una semplice battuta raccontata in prima persona, di un aneddoto inventato (in gergo Twitter: un tcrai, “tweet che riportano aneddoti inventati”). È una piccola parabola contro la discriminazione, il panico da coronavirus attualmente in corso e la tendenza a giudicare soltanto dalle apparenze.


Come spesso accade ai tweet virali (quello originale si aggira, mentre scriviamo, sui 7000 retweet e i 31.500 like), l’aneddoto è stato prontamente ripostato da diversi account che l’hanno ripreso parola per parola. È questa la nascita di una leggenda metropolitana? O ci vuole qualcosa di più per fare il salto da un aneddoto semplice virale a una leggenda contemporanea?


Qualunque opinione abbiate in proposito, la diffusione del breve racconto sembra seguire meccanismi molto simili a quelli delle storie di cui ci occupiamo di solito. Ad esempio:


Rilocalizzazione della storia: il post è stato tradotto in inglese da Tommaso Valletti, docente di Economia all’Imperial College di Londra (@tomvalletti), il 1° febbraio. Immediatamente dopo, l’aneddoto è comparso in inglese in diverse versioni ambientate in tutto il mondo, da Los Angeles alla Malesia. Qualche esemplificazione:


#Coronavirus. Su un treno in Malesia. Sale un teenager cinese. Una donna commenta ad alta voce: “Ecco qui, ora saremo tutti infettati”. Lui risponde in perfetto accento malese con inflessione kelantanese: “Signora, in tutta la mia vita ho visto la Cina solo su Google Maps”. Applausi (@befiend)

#Coronavirus. Su un treno a East Los Angeles. Sale un teenager cinese. Una donna commenta ad alta voce: “Ecco qui, ora saremo tutti infettati”. Lui risponde in perfetto Spanglish con accento Chicano: “Pendeja (stronza), in tutta la mia vita ho visto la Cina solo su Google Maps”. Applausi (@radaghast_16115)

Presenza di piccole variazioni sul tema: si noti che la scena qui non si svolge più su un treno, ma su un bus o sulla metropolitana:


#Coronavirus. Su un treno a Londra. Un teenager cinese sale sul vagone della metropolitana. Una donna commenta ad alta voce: “Ecco qui, ora saremo tutti infettati”. Lui risponde in perfetto accento inglese (perfect queen English): “Signora, in tutta la mia vita ho visto la Cina solo su Google Maps e in televisione” (@AlainShonibare)


#Coronavirus. Su un bus ad Amman. Sale un teenager cinese. Una donna commenta ad alta voce: “Ecco, ora saremo tutti infettati”. Lui risponde in perfetto arabo con accento beduino: “Signora, in tutta la mia vita ho visto la Cina solo su Google Maps”. Applausi (@tarekboard)


Presenza di riscritture, che non seguono l’impostazione del tweet originale (con le ovvie, naturali, piccole variazioni). Ad esempio:


Qualcuno ha assistito a questa scena su un treno a Roma. Un ragazzo cinese è salito a bordo e una donna ha esclamato ad alta voce: “OMG adesso ci infetterà tutti!” Il ragazzo si è guardato intorno e con accento romano ha detto: “Ehi signora, la sola Cina che ho visto era su Google Maps” e a quel punto tutti hanno applaudito. #coronavirus (@eminations)

Per non parlare delle infinite parodie e variazioni sul tema, come queste:


Salgo su un treno per Urbino. Entra un ragazzo cinese che tossisce. Una signora fa: “Ecco, così ci ammaliamo tutti”. E il ragazzo: “Ma io sono giapponese”

Salgo su un treno per Roma Tiburtina. A “La Rustica UIR” sale un ragazzo cinese. Una tizia esclama ad alta voce: “Ecco qua, così s’ammalamo tutti”. Il ragazzo prontamente risponde: “A signò, io è dar 1984 che sto qui a girà pe’ sti campi de cicoria!”
Salgo su un treno per Pesaro. Nella carrozza entra un ragazzo cinese. Una tizia esclama ad alta voce: “Ecco qua, così s’ammalamo tutti”. Il ragazzo prontamente risponde: “vado solo a vedere che ci vanno a fare tutti ‘sti oriundi cinesi a Pesaro”. Standing Ovation

Forse, per consacrare questa storia come leggenda occorrerebbe ancora che fosse diffusa al di fuori della cornicaeiniziale, cioè attraverso mezzi diversi da Twitter (magari a voce, o su qualche quotidiano). Scopriremo a breve se anche questo accadrà.


A cosa servono queste storie? Come nel caso di tante altre leggende, servono a darci una traccia, un suggerimento su come comportarsi. La donna che fa ad alta voce un commento razzista viene umiliata dalla pronta risposta del ragazzo. In qualche modo, il racconto richiama altre parabole antirazziste, come quella diffusissima negli Stati Uniti dell’incidente dell’ascensore.


Ma storie come quelle del treno per Pesaro servono anche a concederci una risata, un sollievo in un momento di forte tensione dovuta a un pericolo di cui non abbiamo ancora ben chiara la portata. La situazione è grave, ma non dev’essere per forza seria, avrebbe detto Ennio Flaiano. E così, diventano virali le battute, i meme, l’audio di “Gennaro e’ Forcella” che affitta “o’ cinese caa’ tosse” a chiunque abbia bisogno di fare la coda alla posta, al ristorante. Immagini, battute, storie esemplari. Ed è possibile che il boom di ricerche su Google per espressioni come “corona virus beer” o simili, stigmatizzato dai giornalisti come segno di ignoranza e confusione tra il marchio di birre e il virus, ci sia stato per la ricerca di meme e di battute da condividere con gli amici: un modo come un altro per esorcizzare l’ansia.


Accanto alle battute, però, ci sono audio che seminano il panico, che raccontano storie di morti in numero molto superiore a quelli attesi, di cifre insabbiate, di malati sotto casa, inviti a disertare i negozi gestiti da cinesi, brevetti e laboratori segreti da cui il virus sarebbe fuggito. La storia del treno per Pesaro, però, sembra andare in una direzione opposta.


Come spiega su Twitter l’antropologo Giovanni Gugg, dell’Università di Napoli L’Orientale:


Nei disastri si perdono due punti di riferimento: i luoghi e la comunità. Dinanzi allo spazio squassato abbiamo poche possibilità di risposta, invece sul piano sociale possiamo tentare di tenere insieme la comunità colpita, ad esempio con i “riti in emergenza”. Con questi riti (che non necessariamente sono religiosi) ci stringiamo come comunità disastrata per affrontare il trauma collettivo. Talvolta tali riti fungono da “processo di blaming”, con cui la comunità attribuisce la responsabilità dell’evento fuori da sé e mira ad autoassolversi per restare “pura”. Tutto ciò è documentato in disastri fisici (sismi, eruzioni, frane) o riguardanti la natura (incendi, xylella fastidiosa, scioglimento dei ghiacciai), ma assume caratteri molto più complessi in caso di epidemia tra umani, perché il rischio di contagio aumenta con la prossimità. A questo proposito, è celebre il caso raccontato nel capitolo 32 de “I Promessi Sposi” di Manzoni, ossia quello della processione a Milano l’11 giugno 1630 contro la peste. Quel rito non fermò il morbo, ma addirittura lo fece propagare in maniera esponenziale. Mi sono domandato come riescano gli abitanti di Wuhan a tenere unita la loro comunità e a (tentare di) evitare che al disastro sanitario ne segua uno sociale, in cui i rapporti si sfaldano e le relazioni si atomizzano.
Poi ho visto un filmato commovente. I residenti gridano dalle finestre “Wuhan jiayou”, cioè “Wuhan resisti”. Anche lì la comunità (un termine impreciso per una città di 11 milioni di abitanti) tenta di non lacerarsi, per cui cuce una trama di parole di incoraggiamento da un condominio all’altro.

La storia del treno per Pesaro ha forse la stessa funzione per noi?


Che l’episodio sia vero o inventato, è indubbio che sia stato condiviso da tantissime persone: smuove qualcosa, fa risuonare qualche corda… Forse il desiderio di stringerci intorno a valori comuni “moderni”, come il rifiuto del razzismo e l’invito a non cedere alla psicosi?


Concludiamo con un ultimo appunto. Si potrebbe pensare che storie come questa appena nata siano una prerogativa della post-modernità, in cui i social giocano un ruolo essenziale nella diffusione. Eppure, storie virali viaggiavano secoli fa. Durante i diversi scoppi di colera del Diciannovesimo secolo, sui giornali e tra la gente circolavano aneddoti, leggende, dicerie. A volte erano storielle innocue come quella qui sotto, che, un po’ come quella treno per Pesaro, aveva lo scopo di incitare la gente a non farsi prendere dal panico:


Un pellegrino, racconta la favola, incontrò la Peste che andava verso Smirne. - Perché stai andando laggiù? - Per uccidere tremila persone, rispose la Peste. Qualche tempo dopo, si incontrarono di nuovo. - Ma ne hai uccisi trentamila!, disse il pellegrino. - No, rispose la Peste, io ne ho uccise tremila. Le altre le ha uccise la Paura. (The schoolmaster, and Edinburgh weekly magazine, 22 settembre 1832)

A volte le storie erano più insidiose, volte a far ricadere la colpa del contagio su particolari gruppi sociali o categorie di persone (i medici, gli ebrei…). Nel caso dell’attuale coronavirus, accanto a storie più o meno razziste circolano anche aneddoti che mettono alla berlina i pregiudizi e cercano di mantenere coeso il tessuto sociale, a impedirne lo sfibramento.


Se potremo cavarcela con la battuta fulminante del cinese sul treno per Pesaro, tutto sommato ci sarà andata bene.

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