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Studenti da leggenda: tre storie virali




articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


I professori universitari, si sa, mettono un po’ in soggezione. Soprattutto se il docente in questione si mostra arrogante, altezzoso, o se dai suoi sbalzi di umore dipende il buon esito di un esame. E così, non stupisce che nel tempo si siano sviluppate leggende metropolitane che hanno per scopo di metterli alla berlina. Alcune, in tempi recenti, hanno trovato la via dei social, diventando virali: segno che, tutto sommato, toccano corde profonde e che il folklore universitario ha un buon grado di persistenza anche col succedersi rapido delle generazioni studentesche.


L’eroe, in queste storie, è sempre uno studente brillante e anticonformista, che non accetta di farsi umiliare dal professore e che lo umilia a sua volta. A differenza di altre leggende studentesche (come quella in cui un allievo, dovendo scrivere un tema sul coraggio, decide di lasciare in bianco il compito), qui il punto non sta soltanto ne superare la prova, ma nel ribaltare i rapporti di forza consueti, quelli che vogliono il docente al di sopra del discente.


In molte di queste storie, l’esperienza è riportata come avvenuta a un personaggio famoso da giovane, segno che il ragazzo - nonostante la sua insubordinazione, o forse proprio in forza di quell’atto di coraggio che dimostra un carattere non comune - è destinato a un luminoso avvenire.


Oggi vi presentiamo tre di questi aneddoti leggendari, raccolti da fonti diverse.


La razionale risposta del barone di Itararé


Questa storia arriva dal Brasile, ma in tempi recenti è stata tradotta su Facebook anche in italiano, dove ha già raggiunto oltre centomila “mi piace”. Questo il testo:


Alla facoltà di medicina, il professore si rivolge a uno studente e gli chiede: - “Quanti reni abbiamo?” - “Quattro!”, risponde lo studente. - “Quattro?”, replicò il professore, arrogante; di quelli che provano piacere nel calpestare gli errori degli altri.
- “Portate un po’ d’erba, perché abbiamo un asino in sala”, ordinò il professore al suo assistente.
- “E per me un caffè!”, replicò lo studente all’assistente del maestro.
Il professore si arrabbiò a tal punto da espellere l’alunno dall’aula. Lo studente era l’umorista Aparicio Torelly Aporelly (1895-1971), noto come “Barone de Itaré”. All’uscita dall’aula, ancora lo studente ebbe l’audacia di correggere il furioso professore. “Mi ha chiesto quanti reni abbiamo? ‘Abbiamo’ quattro reni: due iei e due suoi. ‘Abbiamo’ è un’espressione usata per il plurale. Buon appetito e si goda l’erba”.
La vita richiede molta più cultura e capacità di ragionare che conoscenza. Non serve a nulla una laurea se non sai parlare e ragionare, specialmente se pretendi di insegnare!

Il protagonista della nostra storia è poco conosciuto in Italia, ma in Brasile è una celebrità. Giornalista, scrittore, umorista, si era dato lo pseudonimo di “barone di Itararé”, un titolo fasullo che si era assegnato come “prova di modestia”. Si iscrisse a medicina, ma lasciò l’università al quarto anno. Preferiva scrivere, e mettere alla berlina i politici del suo tempo con sonetti umoristici e articoli mirati. Fu arrestato nel 1935 per i suoi legami con il Partito comunista (a lungo illegale in Brasile), e nel 1947 si presentò alle elezioni del Distretto federale di Brasilia con lo slogan "Più latte! Più acqua! Ma meno acqua nel latte!". Alla fine degli anni ‘50 abbandonò l’umorismo per interessarsi di esoterismo, di filosofia ermetica e di astrologia (in questo campo pare si sia inventato pure un personalissimo oroscopo bionico).


Una vita da anticonformista, dunque, che giustifica in pieno l’aneddoto.


Gandhi prende in giro il suo professore


Mohandas K. Gandhi non ha bisogno di presentazioni. Secondo una curiosa leggenda che ricompare ogni tanto anche in italiano, l’apostolo della nonviolenza avrebbe avuto la lingua lunga ai tempi dell’università, tanto da rispondere a tono a un professore che lo aveva preso di mira.


Quando Gandhi studiava giurisprudenza all’Università di Londra aveva un professore, Peters, che non lo sopportava; Gandhi, però, non era tipo da lasciarsi intimidire. Un giorno il professore stava mangiando nel refettorio e Gandhi gli si sedette accanto. Il professore disse: - Signor Gandhi, lei sa che un maiale e un uccello non possono mangiare insieme? - Ok Prof, sto volando via… rispose Gandhi, che andò a sedersi a un altro tavolo.
Il professore, profondamente infastidito, decise di vendicarsi al successivo esame, ma Gandhi rispose brillantemente a tutte le domande. Allora decise di fargli la domanda seguente: - Signor Gandhi, immagini di stare per strada e di notare una borsa; la apre e vi trova la saggezza e molto denaro. Quale delle due cose tiene per sé? - Certamente il denaro, Prof. - Ah, io invece al posto suo avrei scelto la saggezza. - Lei ha ragione Prof; in fondo, ciascuno sceglie quello che NON ha!
Il professore, furioso, scrisse sul libretto la parola IDIOTA e glielo restituì. Gandhi lesse il risultato della prova e tornò subito indietro. - Professore, Lei ha firmato l’esame ma si è dimenticato di mettere il voto!

Questa storiella circola in inglese almeno dal 2014, frutto forse della pagina satirica Joke of the day. La cosa più incredibile di tutta la faccenda però non è il raccontino in sé, ma il fatto che qualcuno si sia preso la briga di indagarne la veridicità. Il merito va a Swapnajit Mitra, di India Currents, che ha scritto all'università frequentata in gioventù da Gandhi (l’University College London) per avere una risposta. E - lo avreste mai immaginato? - ha scoperto che non esisteva nessun professor Peters ai tempi in cui Gandhi era iscritto, e che non ci sono tracce del libretto incriminato con la parola "idiota" (come accade in molte università, i libretti universitari vengono restituiti prima di sostenere l’esame di tesi).


Sorpresa, sorpresa, sorpresa!


Bohr e il barometro anticonformista


La nostra terza storia risale agli anni ì50 del secolo scorso ed è ormai diventata un classico, tanto da venir inclusa anche in libri di divulgazione scientifica come La fisica sotto il naso di Andrea Frova, professore all’Università “La Sapienza” di Roma. A nostro avviso è la più bella delle tre, perché al posto di una semplice “battaglia di parole” mette in scena una vera e propria sequenza di soluzioni alternative a un problema.


La vicenda è quella di un giovane studente di fisica al quale, durante un esame, è posta la domanda: "Mostrare in che modo è possibile determinare l'altezza di un grattacielo con l'aiuto di un barometro”.


La risposta è abbastanza ovvia per ogni studente di questa materia: poiché la pressione atmosferica decresce con l’altitudine (circa 9 mm per ogni 100 metri), basta misurarla alla base e in cima all’edificio, trovare la differenza e calcolare i metri equivalenti. Il ragazzo, però, dà una risposta diversa: portare il barometro in cima al grattacielo, legarlo a una corda, mollarla fino a terra, tirarla su e misurarne la lunghezza.


La risposta è corretta - tecnicamente risolve il problema - ma non permette al professore di verificare le conoscenze sul tema. Lo studente pretende il massimo dei voti, il docente vorrebbe assegnargli uno zero. A mediare interviene un collega del professore, che suggerisce di concedere al ragazzo una seconda possibilità: avrà sei minuti per dare una risposta “ortodossa” al problema.


Dopo cinque minuti non ha ancora scritto nulla. Gli viene chiesto se vuole ritirarsi, ma lui dice che deve scegliere tra molte risposte possibili. Al sesto minuto lo studente scrive: “Porta il barometro in cima all’edificio, sporgiti e lascialo cadere dal tetto. Misura il tempo di caduta con un cronometro e poi usando la formula S = ½ at^2 calcola l’altezza dell’edificio”. Lo studente riceve un voto eccellente.

Ma la storiella non è ancora finita. Gli esaminatori chiedono al ragazzo quali altre soluzioni avesse escogitato:


“Ci sono molti modi per misurare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro”, dice lo studente. E spiega: “In un giorno di sole posso misurare l’ombra proiettata dal barometro e quella proiettata dal grattacielo: per calcolarne l’altezza, poi, faccio una semplice proporzione. Oppure salgo per le scale e faccio segni sui muri usando il barometro come unità di lunghezza…alla fine conto i segni e ottengo l’altezza dell’edificio in unità-barometro. Posso legare il barometro a un filo e usarlo come pendolo per misurare il valore della gravità alla base del grattacielo e in cima: a partire dalla differenza tra i due valori riesco, in linea di principio, a calcolare l’altezza. E ci sono altri modi ancora: forse il più efficace è bussare alla porta del soprintendente del grattacielo e dirgli ‘senta, questo è un bellissimo barometro. Se mi dice quanto è alto il grattacielo, glielo regalo’.”

In alcune versioni dell’aneddoto, questo ragazzo così brillante viene identificato come Niels Bohr, e il suo professore con Ernest Rutherford. La scelta di questi due nomi non è casuale: Rutherford, premio Nobel nel 1908 per i suoi studi sulla radioattività, propose nel 1911 il modello atomico “a planetario”, quello con il nucleo positivo al centro e le particelle negative che gli ruotano intorno, come piccoli pianetini appunto. Il modello fu scalzato nel 1913 da quello di Bohr, più complesso, che risolveva l’instabilità del modello di Rutherford e introduceva nel sistema la quantizzazione dell'energia.


La concorrenza fra i due modelli può forse giustificare l’apparente rivalità. Ma in realtà, anche questa è leggenda: fu proprio Rutherford a invitare Bohr presso la Victoria University of Manchester, e i due lavorarono a lungo insieme al perfezionamento del modello atomico (studi che valsero il Nobel anche a Bohr, nel 1922). L’incontro tra questi due giganti della scienza, comunque, avvenne solo nel 1911, quando i tempi dell’università erano già passati per entrambi.


In altre versioni, lo studente viene identificato con Albert Einstein: quando si parla di menti brillanti e di fisica, inutile dirlo, il suo nome è il primo che salta in mente. In altre, la leggenda presenta un’ulteriore postilla: il professore chiede allo studente se davvero non conosce la risposta al problema del barometro, e lui replica, sornione

“Certo che sì, ma non ne posso più dei professori che pretendono di insegnarmi come pensare invece di spiegarmi la struttura del problema”.

Questa chiosa - che funge un po’ da morale della storia - è presente anche nell’aneddoto originale. Già, perché a differenza delle altre storie, più anonime, l’autore del problema del barometro ha un nome e cognome: Alexander Calandra (1911–2006), docente di fisica alla Washington University e autore di diversi saggi sui problemi dell’istruzione.


Fu pubblicata nel 1959 su Pride, rivista dell’American College Public Relations Association, con il titolo Angels on a Pin, cioè Angeli su uno spillo - il riferimento è al noto problema della scolastica che si interrogava su quanti angeli potessero danzare sulla capocchia di uno spillo. È presentata in prima persona, come una vicenda reale accaduta all’autore, anche se non ci sono indizi che sia qualcosa di più di un divertissement letterario. Nel testo originale, comunque, non ci sono tracce né di Bohr, né di Rutherford; dal 1959, tuttavia la storia è stata stampata più volte, con risposte diverse, descritta a volte come “una leggenda del MIT” oppure come una parabola sui limiti autoimposti, sul pensiero laterale o sulla fissità funzionale (l’attitudine ad affrontare problemi in maniera stereotipata e consuetudinaria). É proprio in questo senso che fu riproposta anche dalla scrittrice e pubblicitaria Annamaria Testa in un articolo apparso nel 2015 su Internazionale. L’articolo si concludeva così:


L’attribuzione a Bohr aggiunge un po’ di pepe all’intera vicenda, visto che sappiamo tutti che cosa combina lui da grande. È un falso che “fa sembrare la storia più vera” e rinforza lo spirito di rivalsa nei confronti dell’istituzione scolastica che schiaccia gli studenti migliori. E poi, a tutti piace identificarsi con Bohr e con il suo pensiero geniale e indipendente, no? E poi, non dimentichiamolo, nell’acceso confronto con l’amico Albert Einstein a proposito di teoria della relatività e meccanica quantistica, è Bohr (carteggio del 1926) a fare la battuta migliore: Dio non gioca a dadi con l’universo, scrive Einstein. E Bohr risponde: Dai, Albert, smettila di dire a Dio come deve giocare.

Immagine in evidenza generata con la Open AI DALL-E 2


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