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“The Nail in the Skull”: alla ricerca delle leggende dell’era vittoriana

Aggiornamento: 5 giu




Articolo di Sofia Lincos


Non è esagerato definire The Nail in the Skull and other Victorian Urban Legends una delle operazioni più interessanti degli ultimi anni, per chi si interessa di storia delle leggende metropolitane. Il libro è stato pubblicato nel novembre 2022 dallo storico britannico Simon Young, per l’University Press of Mississippi, ed è costruito come una raccolta di settanta leggende; per ognuna di queste vengono indicate le fonti, la diffusione, il contesto in cui si è sviluppata la storia ed eventuali variazioni sul tema.

La domanda di fondo che Simon Young si è posta è questa: quali erano le leggende che circolavano sulla stampa britannica in epoca vittoriana, cioè fra la seconda metà dell’Ottocento e l'inizio del Novecento? Andare a caccia di leggende antiche è un’attività che può essere fatta in molti modi. Il filologo Tommaso Braccini, nel suo Miti vaganti, si è concentrato su quelle leggende che erano ancora presenti ai giorni nostri, e per le quali si potevano rintracciare motivi analoghi nella civiltà greco-romana.


Simon Young, invece, ha scelto un approccio differente, che ha potuto mettere in atto anche grazie alla presenza di un ottimo database che raccoglie periodici di Gran Bretagna e Irlanda per l’intervallo temporale di suo interesse: il British Newspaper Archive (BNA), progetto di digitalizzazione delle fonti storiche a cura della British Library. Per sua stessa ammissione, la scelta di concentrarsi sui periodici britannici - oltre al proprio interesse personale - è dipeso anche dall’esistenza di di un archivio assai più vasto di quelli, ben più frammentari, di altri Paesi. Questi, quando ci sono, difficilmente raccolgono quotidiani e altre pubblicazioni in un unico posto; il che è senz’altro vero per l’Italia: pur avendo diversi progetti di digitalizzazione come quello della La Stampa, quello dei giornali piemontesi o quello del Corriere della Sera, o ancora quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, per menzionare i più noti, non esiste un’unica piattaforma che permetta la ricerca su tutte le testate.


Con l’uso del BNA, Young ha intrapreso una ricerca usando frasi chiave come “una storia strana”, “storia orribile”, “storia che sta circolando”, e così via. Ovviamente, molti degli articoli individuati sono risultati inutili ai fini di ciò che voleva trovare, ma sulla quantità sono state scoperte diverse storie potenzialmente catalogabili come leggende metropolitane, intorno alle quali effettuare una ricerca più approfondita (estesa anche ai databases di libri, opuscoli, ecc).


Come spiega lo studioso nell’introduzione del suo libro, le storie sono state incluse nel suo elenco se:

  1. Ce n’erano almeno tre versioni diverse (con almeno una pubblicata in Gran Bretagna in epoca vittoriana)

  2. Ce n’erano meno versioni, ma l’articolo spiegava che la storia era “comune” o “molto diffusa”.


Nella selezione, Young ha inoltre scelto di privilegiare le “singole narrazioni ripetute” rispetto a quelle che potevano essere catalogate più genericamente come complessi, tipi o motivi folklorici. Per esemplificare: lo studioso ha individuato diverse storie nelle quali una persona scopre di aver interagito con un fantasma grazie a un ritratto della persona morta (particolare che ricorre in molte narrazioni di autostoppisti fantasma). Allo stesso modo, Young ha scoperto diverse storie di “generosità ripagata”, in cui un’elemosina o un atto caritatevole verso un indigente era ricompensata quando il beneficiato diventava (o si scopriva) ricco. Queste storie, tuttavia, sono troppo differenti tra loro e non riescono a coagularsi intorno a una narrazione unica. In altri termini, anche se vi figura un motivo particolare, in realtà sono talmente ramificate e fanno riferimento contesti così vari, da non permettere di ricondurle a una sola leggenda. Anche per questo, Young ha scelto di concentrarsi sui racconti nei quali è più evidente una forte ripetitività. Un’operazione nella quale, peraltro, Young stesso ammette la presenza di un discreto grado di soggettività.


Ma dunque, quali leggende ha trovato lo studioso? La “caccia” è stata fortunata: a fianco di storie già conosciute e già studiate (per cui sono state comunque individuate nuove occorrenze o varianti), ne sono comparse altre mai scoperte in precedenza dai folkloristi.


Questo è, probabilmente, il dato più interessante: le leggende nascono, si modificano, ma a volte cessano anche di esistere, quando muta il contesto che ne aveva sancito il successo. Altre storie, invece, sembrano svanire semplicemente per il passare del tempo. Leggendole oggi si percepisce che potrebbero ancora “funzionare” eppure si è smesso lo stesso di raccontarle. È il caso della storia che dà il titolo alla raccolta, “il chiodo nel teschio”, che - almeno per quanto ci è dato sapere - è una leggenda ormai scomparsa:


Il dottor Airy, rettore del Queen's College, Oxon (1599-1616), passando accidentalmente con il suo servitore attraverso il cimitero di St Sepulchre, a Londra, dove il sagrestano stava scavando una tomba, osservando un teschio che sembrava muoversi da solo, lo indicò al suo servitore, e poi al sagrestano, il quale, prendendolo in mano, vi trovò dentro un grosso rospo, ma così notò anche un chiodo da dieci penny conficcato nell'osso della tempia; al che il dottore subito immaginò che il soggetto fosse stato assassinato e chiese al sacrestano se ricordava di chi fosse il teschio. Questo rispose che era il teschio di un uomo morto improvvisamente, e che era stato sepolto ventidue anni prima. Il dottore gli disse che certamente l'uomo era stato assassinato, e che era giusto ci fosse un’indagine, e così se ne andò. Il sagrestano, ripensandoci su, ricordò alcune storie strane di cui si era parlato alla morte dell’uomo, come il fatto che sua moglie, ancora viva e risposata con un'altra persona, era stata vista entrare nella sua camera con un chiodo e un martello, ecc. E perciò andò da un giudice e gli raccontò tutta la storia. Fu mandata a chiamare la moglie e furono trovati dei testimoni che raccontarono questo e altri particolari; lei confessò e venne impiccata. (Timbs, John. Romance of London: strange stories, scenes and remarkable persons of the great town, 1865)

La storia compare in diverse occasioni sui giornali inglesi, ma è apparsa anche in poesie, opere letterarie, sermoni protestanti e catechismi cattolici, come esempio di crimine scoperto e punito a distanza di molti anni rispetto a quanto era stato commesso. In molte versioni il detective è un uomo celebre, di cui vengono fatti nome e cognome; la vittima è spesso invece un oste o un locandiere, la cui morte viene attribuita inizialmente a un eccesso di alcolici. Curiosa la variante - circolata anche in Francia - di un attore che, mentre recita l’Amleto, si trova in mano proprio il teschio della sua vittima, con tanto di chiodo conficcato, e preso dai sensi di colpa confessa sul palco il misfatto di tanti anni prima.


L’altro dato rilevante che apporta il libro è rappresentato dalla quantità e dalle varietà delle storie proposte: ci sono vicende ambientate a Londra e altre in luoghi esotici; racconti che circolavano tra le classi più agiate e altre che giravano fra i ceti popolari, oppure diffuse tra coloro che facevano un particolare mestiere. Accanto a un folklore orale esisteva di sicuro un folklore trasmesso attraverso la carta stampata. La cosa derivò anche dalle trasformazioni sociali dell’età vittoriana: il Diciannovesimo secolo aveva portato la Gran Bretagna a livelli di alfabetizzazione molto alti, con l’inclusione progressiva e rapida di gran parte dei poveri e delle donne. Insieme, vi fu il calo generale dei prezzi dei quotidiani e di altre forme di letteratura popolare (si pensi ai penny dreadful, storiacce a tinte fosche diffuse al prezzo di un penny), e una moltiplicazione delle testate. I giornali, per riempire i buchi nelle notizie, si copiavano l’un l’altro, intervallando la cronaca a materiale di finzione, a volte presentato come veritiero. Era comune la pratica del clipping: riportare sul proprio giornale un estratto proveniente da un’altra testata, magari indicando in apertura la fonte. Si trattava anche di un modo per prendere le distanze da una storia che non si sapeva per certo se fosse vera o no o che poteva destare imbarazzo; per la stessa ragione poteva capitare che un giornale indicasse come fonte una testata che non aveva mai pubblicato il pezzo...


Occorre tuttavia fare una precisazione: le storie raccolte da Young non devono essere considerate in automatico lo specchio fedele delle leggende metropolitane che circolavano in età vittoriana; erano quelle che raggiungevano la carta stampata. A volte si trattava di flaps, cioè di dicerie che facevano rapidamente il giro della città; a volte erano storie raccontate in prima persona dal protagonista, altre ancora erano inventate di sana pianta dai corrispondenti dei giornali (magari quelli chiamati con disprezzo “penny-a-line”, che venivano pagati in funzione della quantità di testo). In ogni caso, alcune narrazioni erano pubblicate con maggior difficoltà rispetto ad altre. Se i cronisti vittoriani non avevano problemi a raccontare storie macabre e truculente, quelle riguardanti la sfera sessuale arrivavano di rado alla carta stampata, e con un linguaggio vago e allusivo. Il sesso non era un argomento di conversazione appropriato nell’Inghilterra del Diciannovesimo secolo, e i giornali si adeguavano. È possibile, quindi, che molte leggende su questo argomento siano andate perdute perché ben pochi avevano il coraggio di metterle nero su bianco.


Dunque, che genere di storie troverà il lettore in The Nail in the Skull? Di sicuro alcuni esempi di leggende ben note (dieci, tra le settanta proposte, hanno perfino un codice ATU; si tratta cioè di storie già ben conosciute dai folkloristi): pensiamo alle serpi in seno, alle salsicce umane, ai bambini rapiti dalle aquile, alle spose intrappolate nelle cassapanche, agli anelli perduti in acqua e ritrovati in un pesce… Altre invece non sono mai state studiate, e costituiranno una gradevole sorpresa. Per chiudere, eccone tre che ci hanno colpito particolarmente.


1. Occhi d’insetto


Un paio di giorni fa, l’attenzione di un uomo che viaggiava per la strada di Colnbrook fu attirata dalle urla di un bambino affidato alle cure di una vagabonda, che aveva con sé altri due bambini completamente ciechi. Le grida del bambino erano così terribili che l’uomo insistette per conoscerne la causa, ma non ottenendo una risposta soddisfacente, tolse a forza una benda che era posta sugli occhi del bambino; orribile a dirsi, li trovò coperti da due piccole conchiglie perforate, nelle quali erano stati posti due scarabei neri vivi, allo scopo di togliergli la vista. La donna venne immediatamente arrestata e messa in prigione, e all’udienza di mercoledì, a Eton, rinviata a giudizio. Ci sono fin troppe ragioni per ritenere che la disgraziata abbia reso ciechi gli altri due bambini con un mezzo simile. (“A Monster”, Reading Mercury, 17 giugno 1843)


2. Il messaggio nel cappello


Nel 1871 apparve la seguente storia su una giovane donna di Norwalk (Massachusetts) che lavorava come sarta in una manifattura di cappelli di quella città. Un giorno, nauseata più del solito dalla sua noiosa e prosaica occupazione, nell'impulso del momento scrisse il suo nome e indirizzo sulla fodera di un cappello che aveva terminato, e attese pazientemente il risultato. Il cappello, insieme a centinaia di altri, fu messo in commercio e infine fu acquistato da un giovane newyorkese, che per caso scoprì il nome sulla fodera. Essendo di inclinazione romantica, il giovane scrisse alla giovane donna. Ne seguì un'intima corrispondenza e il risultato fu il matrimonio dei due, celebrato la scorsa settimana. (“The South Norwalk Sentinel tells…”, Boston Daily Advertiser, 23 maggio 1871)


3. Guarda l’orologio


Una cronaca del 1875 racconta la “vecchia storia” di un ladro che, sfidando l'oste di una locanda di campagna a scommettere che non avrebbe potuto stare seduto davanti a un orologio per mezz'ora, battendo il tempo con la mano in armonia con i movimenti del pendolo, mise a frutto la mezz'ora di tranquillità così assicuratagli rapinando la casa dell’oste e portando via tutti gli oggetti di valore asportabili. (“A New Trick”, Globe, 9 agosto 1875)


Immagine in evidenza: Il cranio di uomo giustiziato intorno all'anno 1400, rinvenuto ad Amburgo nel 1878. Fonte della foto: Museum für Hamburgische Geschichte;

autore: Finanzer, rilasciata in licenza CC BY-SA 3.0


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