Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Nessuno saprà mai quanti furono i morti della scossa di terremoto (7,2 Richter) e del successivo tsunami che all’alba del 28 dicembre del 1908 devastarono le province di Messina e di Reggio Calabria, distruggendo quasi interamente le due città. La stima più prudente è di 90.000 vittime.
Come tutte le catastrofi, è probabile che abbia creato un numero incredibile di racconti, voci, leggende, dicerie, mezze verità, falsi deliberati, il cui scopo ultimo era probabilmente quello di provare a dare un senso a ciò che stava accadendo.
L’argomento, purtroppo, non è stato ancora ben studiato, e potrebbe essere un interessante filone di ricerca. È possibile che anche a Messina, come in altri disastri, si siano rincorse voci di ogni tipo su apparizioni al limite del sovrannaturale: figure salvifiche (il santo che ti trae dalle macerie, o che appare nel buio per invitarti a resistere) o terrifiche, preludio ad altri lutti.
Un indizio che dicerie di quest’ultimo tipo potrebbero davvero essersi diffuse a Messina ci arriva dalle cronache di un giovane intellettuale siciliano, Giuseppe Antonio Borgese. Negli anni, sarebbe diventato una delle maggiori figure della cultura italiana di inizio Novecento. Nel 1908, comunque, era già un germanista affermato ed era corrispondente de La Stampa e de Il Mattino di Napoli.
Alla fine di dicembre, Borgese voleva imbarcarsi su un piroscafo per Palermo, ma aveva sbagliato nave. Così, per caso, si era ritrovato a Messina proprio all’alba del 28: quando, cioè, la prima e terrificante scossa devastò le coste siciliane e calabresi. Fu tra i primi a inviare sulla catastrofe corrispondenze dettagliate e di grande spessore giornalistico al Mattino.
Borgese continuerà per parecchio tempo a documentare la situazione. Scriverà di morti, terrore, importanti edifici distrutti, della fame, dell’intervento delle Forze armate e delle esecuzioni sommarie contro i presunti saccheggiatori delle rovine.
Ma Borgese raccontò anche dei sentimenti e dello stato d’animo dei sopravvissuti; la sua prospettiva è quella di un uomo colto che prendeva le distanze dalle favolette delle plebi meridionali - lui che, pure, era impegnato a spiegarne la realtà sociale e la miseria. Eppure, quelle descrizioni ci danno un’idea di quante dicerie dovevano rincorrersi in quei giorni...
Su La Stampa del 19 gennaio 1909, scrive ad esempio:
Stasera qualcuno ha recato una piccola offerta sulla tavola di bordo. Erano roselline ed oleandri fiammanti, bellissimi, E m'hanno fatto ribrezzo, quasi non credevo alla loro realtà, e guardandoli sotto l'acuta luce artificiale, mi pareva di ravvisare un fascetto di fiori cartacei, strappati a qualche ghirlanda mortuaria. Non avevo ancora visto fiori a Messina, e non credevo che il suolo potesse ancora produrne. Tutte le cose liete della vita, i fiori, i suoni, I colori, sono spariti nel turbine; la natura soffre tormentata da forze convulsive e partorisce la morte, il fango ed il caos.
In questa provvisoria sospensione delle leggi naturali a cui il terremoto ha sostituito, ancora prima del Governo, una sua legge marziale, si abbandona la scienza e si accolgono con pronto consenso le profezie superstiziose, si citano i vaticinii delle sonnambule e degli astrologhi, si ricorda la grande eclissi del 1905 a cui seguirono inondazioni ed eruzioni e distruzioni di città, e si contano le notti che ci separano dalla conclusione del mese lunare, dal secondo terremoto. Tutte le notti, quando la solita scossa incrudelisce sui morti, le sentinella stanche e taciturne balzano spaventate sentendo passare un nemico che non risponde al “chi va là” e che non cade sotto la mitraglia…
A due settimane dall’ecatombe, quindi, si era diffusa l’attesa di un secondo terremoto, quello definitivo. Al contrario del primo, questo mostrava indizi misteriosi, ma al contempo più chiari, come avviene sovente nelle voci che si diffondono dopo le catastrofi di particolare violenza. In questo caso si trattava di aspettare la fine della lunazione.
Il primo terremoto ricadeva nella sfera della natura; l’attesa di quello successivo, “definitivo”, era invece interamente spirituale, segnata da voci e profezie che lo rendevano - nell’attesa della sua realizzazione - spazio di discorsi e di apparizioni di ogni tipo.
La scossa mostruosa, quella da cinema catastrofista americano, non arriverà. Ma continuerà ad essere annunciata in occasione delle numerose scosse di assestamento. Il 9 maggio 1909, il Corriere della Sera scriveva:
Panico, inquietudine e voci di falsi disastri
Ci telef. da Messina, 8 maggio, notte: Fra la classe più povera, che qui è predominante, grande panico ha destato un movimento tellurico avvertito stamane. Da parecchi giorni un vecchio mendicante girava per le vie, facendosi notare per il suono di un campanello. Egli prediceva un nuovo disastro per le ore 10 d’oggi, e stamane, sentendosi delle nuove scosse, la predizione trovava credito. Si avvertivano dappertutto pianti e implorazioni.
Non si sa come poi si sia sparsa la voce che Palermo e Catania erano state gravemente colpite dal terremoto. A mezzogiorno era un ansioso ricercare di notizie. Molti telefonavano a parenti ed amici che si trovavano in quelle città; fortunatamente il telefono riportava le espressioni di meraviglia degli interessati, che chiedevano a loro volta quello che fosse successo.
Più tardi è sopravvenuto un nuovo periodo di inquietudine e molte botteghe che erano state ripristinate imprudentemente lungo la marina, nel pezzo della Palazzata ancora intatto, sono state oggi abbandonate.
Il “vecchio mendicante con un campanello” che annuncia un nuovo sisma disastroso colpisce moltissimo. Potrebbe essere legato alle mille leggende metropolitane sugli annunciatori di sventura: figure misteriose che vagano per la città, profetizzando terremoti, inondazioni, fine del mondo, guerre, catastrofi varie.
In particolare, viene in mente il caso della vecchina del terremoto: a Milano, nel 1977, si parlava di una “donna vestita di nero” che svaniva improvvisamente dopo aver preannunciato la distruzione della città; l’anno prima, un’analoga figura si “era manifestata” lungo il tratto ferrarese del Po. Abbiamo poi l’autostoppista fantasma che nel 1980 metteva in guardia contro una seconda, più catastrofica eruzione del vulcano Saint Helen (Stati Uniti); l’anziana che in Campania vaticinava, ai primi del 1981, un cataclisma sismico peggiore di quello del novembre dell’anno prima; l’arcangelo Gabriele che nell’autunno 1982 metteva al corrente gli automobilisti bavaresi della prossima fine del mondo; e infine la donna in nero che nella tarda primavera del 1988, nell’Istria croata, avvisava chi le dava un passaggio di una grave siccità che sarebbe avvenuta quell’estate, e dell’apocalisse che sarebbe arrivata l’anno seguente...
Gli articoli che abbiamo, purtroppo, non permettono di far troppe supposizioni. Ma è possibile che fra le macerie di Messina, per spiegarsi quanto stava succedendo, si ricorresse anche a un motivo classico delle leggende contemporanee. Quante volte lo si sarà fatto, in quei momenti terribili?
Nell'immagine: Messina nell'immediatezza della scossa principale, quello del 28 dicembre 1908.
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