Zampe di cavalli e morti in battaglia
- Redazione
- 21 mag
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Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Statue simboliche. - Le statue commemorative in bronzo di guerrieri a cavallo presentano pose diverse. A volte, il cavallo ha le quattro zampe fermamente piantate nel terreno, altre, una zampa anteriore sollevata, a volte sono sollevate entrambe. Per queste cose esistono dei motivi ben precisi. Ciascuno di queste tre posizioni rappresenta il modo nel quale l’eroico soldato è morto. Quando il cavallo ha tutte e quattro le zampe nel terreno, il soldato è morto per cause naturali. Quando una zampa anteriore è sollevata, vuol dire che è morto per le ferite riportate. Quando entrambe le zampe sono in alto, vuol dire che è morto in battaglia. La maggior parte delle persone non sa queste cose, e dà per scontato che le varie posture siano state pensate per creare un effetto, oppure seguendo i gusti dello scultore. Un’analisi attenta delle iscrizioni sulle placche commemorative rivelerà che quella posa particolare è stata fatta per accordarsi con le cause della morte. - “Rooster”, AIF.
Così scriveva il 24 novembre 1945 sul settimanale australiano Smith’s Weekly un
veterano dell’AIF, l’Australian Imperial Force, il corpo di spedizione australiano in Europa ai tempi della Prima Guerra Mondiale che si firmava Rooster, “Il Gallo”, perché un gallo era la mascotte di quel corpo militare.
Probabilmente, “Rooster” non sapeva di essere l’ennesimo anello di una lunga catena di trasmissione di una delle innumerevoli leggende da architetti, come le abbiamo chiamate, mettendo insieme tipologie e provenienze assai differenti. Ognuna di queste meriterebbe un lavoro specifico. In attesa di scriverne in dettaglio, oggi vi offriamo una rassegna su uno dei più originali motivi narrativi di questo genere di racconti: quello del “codice delle zampe dei cavalli”. Supponiamo che insieme al soldato, in battaglia sia morta anche la sua fidata cavalcatura. Come fare, in quel caso, per seguire il codice? Semplice: si rappresenterà il militare accanto al cavallo, non in sella (Judith Dupré, Monuments: America’s History in Art and Memory, Random House, New York, 2007, p. 9).
Negli Stati Uniti questo genere di arte statuaria è particolarmente legata alla memoria della Guerra Civile del 1861-1865, in particolare alla terribile battaglia di Gettysburg, che arrestò l’avanzata verso nord dell’armata del generale Lee, segnando l’inizio del declino delle sorti militari del Sud.
Barbara Mikkelson, di Snopes, già molti anni fa aveva studiato in modo approfondito la questione. A Washington, dove comprensibilmente rappresentazioni di questo genere sono assai presenti, al massimo dieci (ad esser generosi) su trenta erano congruenti con il presunto codice.
Una variante è quella diffusa nel folklore della città di Richmond, capitale della Virginia, uno dei centri più importanti della Confederazione sudista. In quel caso, si dice che le statue dei capi sudisti caduti in battaglia sarebbero rivolte verso sud, quelle dei sopravvissuti al conflitto verso nord. “Per quanto se ne sa - dichiarò a suo tempo Frances Pollard, curatrice della Virginia Historical Society - posizione e direzione delle statue non significano nulla”.
Così argomentava Mikkelson:
Il collegamento fra la posizione delle zampe dei cavalli delle statue e le modalità della morte dei cavalieri non è una “tradizione”, bensì - come nella ben nota, banale lista delle “coincidenze” fra gli assassini del presidente Lincoln e di Kennedy - un tentativo di creare un quadro informativo (nel nostro caso, qualcosa di simile a un “codice segreto”) per trovare delle costanti nella casualità, semplicemente ignorando o spiegando in qualche modo i casi che non rientrano nel quadro. Questo genere di folklore della statuaria non è né nuovo né presente soltanto in quelle equestri: una simile “tradizione” (per meglio dire, una falsità) fu attribuita ben oltre un secolo fa, in maniera simile, agli scultori che creavano le effigi dei cavalieri - per esempio, il modo in cui tenevano le gambe incrociate avrebbe dovuto indicare se avevano partecipato o no alle crociate in Terrasanta, e, se sì, a quante…
C’è stato anche chi si è dato da fare per verificare se sul serio la regola venisse davvero seguita. Su quindici statue equestri di militari presenti nel centro di Londra, nove sembrano corrispondere al supposto codice - almeno se si ragiona in termini vaghi a sufficienza sulle circostanze del decesso delle persone rappresentate.
Più in generale, in molte parti del mondo è diffusissima la credenza secondo la quale statue, o anche costruzioni e installazioni moderne “punterebbero”, di solito in maniera polemica, verso centri di potere, luoghi di istituzioni, chiese - spesso, volgendo loro le spalle. Un esempio corrente, raccolto da uno degli autori di questo articolo (GS) si riferisce alla falsa voce per la quale un’impresa di rottami metallici di Pinerolo (Torino), i cui titolari, incappati in controversie giudiziarie rilevanti e noti anche come commercianti di veicoli di mezzi militari, avrebbero installato appositamente un vecchio cannone, che sarebbe stato puntato esattamente sul municipio di Pinerolo…
Ad ogni modo, per tornare alle nostre zampe di cavallo, Mikkelson non era stata certo la prima a cercare di ricostruire i contorni della leggenda del “codice”. A testimoniarne l’antichità, se ne era occupato già nel 1923 Alfred S. E. Ackermann nel suo Popular Fallacies Explained and Corrected (Old Westminster Press, Londra) e lo storico William H. Stauffer nel suo articolo “There’s No General Rule About Position of Feet on Equestrian Statues”, per la rivista di storia della Guerra Civile americana Civil War Times (vol. II, luglio 1960, p. 6).
Immagine in evidenza: statua equestre dell'eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Skanderbeg. Da Pixabay.
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