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Avvelenatori ucraini e proteste russe in codice



Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Alexandra Arkhipova è un’antropologa russa che si interessa da anni di folklore contemporaneo. Nel 2019 ha scritto con Anna Kirziuk un libro dedicato alle dicerie che circolarono in Unione Sovietica tra gli anni ‘30 e ‘80 (“Cose sovietiche pericolose: leggende urbane e paura in Unione Sovietica", Novoe Literaturnoe Obozrenie, Mosca, purtroppo non tradotto dal russo). Potete comunque leggere qui una bella intervista (disponibile in inglese o francese) sul contenuto del volume.


Arkhipova ha anche un canale Telegram dove, da quando è iniziata l’aggressione russa all‘Ucraina, sta documentando le leggende metropolitane sul conflitto che circolano tra la popolazione russa. Si tratta - come avviene peraltro in ogni guerra - in larga misura di atrocity stories, cioè, di racconti dell’orrore che, in questo caso, hanno per scopo quello di dipingere gli ucraini come pericolosi e senza scrupoli e la popolazione russa come vittima di un Paese tremendo e pronto a tutto pur di danneggiare l’esistenza del popolo russo.


Non si tratta, però, di storie riconducibili immediatamente alla propaganda - come, ad esempio, quella dei presunti laboratori genetici scoperti in Ucraina e diretti alla guerra batteriologica (una falsità lanciata probabilmente da un seguace di QAnon negli Stati Uniti e poi fatta propria e rilanciata dagli account legati al Cremlino), oppure, dell’utilizzo di uccelli migratori bioingegnerizzati per spargere virus sulla Russia. Si tratta invece di storie più subdole, di appelli che viaggiano attraverso WhatsApp e sulle chat dei genitori.


In un messaggio del 19 maggio 2022 Arkhipova spiegava:


Le chat dei genitori [..] sono state travolte da un'ondata di storie dell'orrore. Non sto considerando i testi di propaganda diretta [...]. Mi riferisco invece a casi di panico "popolare" che passano attraverso WhatsApp sotto forma di messaggi reiterati, a volte con variazioni (invece di Kursk, i fatti sarebbero avvenuti a Lipetsk). Naturalmente, è il risultato della propaganda e del formarsi di un clima di paura. Nei testi di propaganda, il principale nemico sono gli americani o i nazisti ucraini, che compiono però azioni generali, non specifiche. Nelle storie dell'orrore, i sabotatori compiono azioni assai più precise: avvelenano e fanno esplodere oggetti prossimi ai narratori e, soprattutto, "minacciano i nostri bambini".
A questo punto il lettore chiederà senz’altro perché sia necessario studiare queste ripugnanti sciocchezze. Lo è, perché queste ridicole storie dell'orrore sono un sintomo che indica la gravità della malattia. No, questa ricerca non aiuterà a fermare la guerra. Ma d'altra parte, grazie ad essa vediamo dal vivo come l'immagine del nemico viene creata e modificata ad opera delle chat dei genitori. Tenete presente che la frequenza di questi appelli è cresciuta nel tempo: tra fine aprile e maggio, la frequenza dei messaggi sui nemici avvelenatori è cresciuta parecchio. Più a lungo si trascina la guerra, più le persone hanno bisogno di credere in un nemico pericoloso. La frequenza di queste storie dipende inoltre dalla collocazione geografica: più si è vicini al sud della Russia e ai bombardamenti, più sono comuni.

Le leggende raccolte da Arkhipova sono riassumibili intorno a un piccolo numero di nuclei narrativi. Eccoli.


I terroristi ucraini


È il gruppo di storie più numeroso. L’idea è che cittadini ucraini o loro fiancheggiatori stiano commettendo attentati contro la popolazione civile sul territorio russo. Molte di queste storie hanno a che fare con il cibo e l'acqua, che sarebbero avvelenati da sabotatori. Per esempio, a maggio 2022 su WhatsApp ha cominciato a circolare questo appello:


Oggi il Consiglio sanitario si è riunito a Solovyovka e ha avvisato che a causa della situazione in Ucraina, sono possibili azioni di sabotaggio biologico. Ci si aspetta l’introduzione del bacillo del colera nell’acqua, e questo causerà più morti che col Covid. Occorre bere solo acqua bollita, lavarsi i denti, lavare la frutta e le verdure, anche queste con acqua bollita. Non nuotare nei bacini, ecc. Fate attenzione e avvisate amici e parenti. Ragazzi, ci aspetta un’epidemia di colera! In ospedale sono già arrivate le circolari di allerta. Bevete solo acqua bollita, in Russia l’acqua è stata infettata dal colera!

In un altro appello (con tanto di foto), si spiega che i sabotatori avrebbero inserito aghi nei cetrioli provenienti dalla regione meridionale ucraina di Kherson: sarebbero poi stati venduti a Rostov, città portuale della Russia meridionale che si trova, non a caso, a meno di cento chilometri dal confine ucraino. Meglio quindi non acquistare cibo che arriva dal nemico.


Ma i terroristi ucraini non si limiterebbero a avvelenare cibo e acqua: lascerebbero in giro anche bombe mascherate da oggetti di uso comune (e qui sembra di sentire l’eco delle leggende che circolavano ai tempi delle due guerre mondiali su penne e giocattoli esplosivi lanciati dagli aerei, oppure sui famigerati palloncini all’iprite). Più realisticamente, qui gli oggetti vengono abbandonati per strada, nella speranza che qualcuno li raccolga:


Avvisate tutti: in Russia sono ricomparsi i terroristi, hanno lasciato telefoni, tablet, portafogli e taccuini per strada, sulle panchine, tra i cespugli; la carica esplosiva non è grande, ma è in grado di strappare via la mano. Se vedete queste cose per strada, non toccatele. Possono essere anche semplici scatole, palline e giocattoli… A Kursk ieri mi sono ferito la mano con un passaporto: l’ho raccolto, l’ho aperto, e la mano è esplosa completamente, nell’altra ho perso tre dita e ho subito anche una ferita all’addome!

È interessante notare che in molti casi queste storie circolavano già ai tempi dell’Unione sovietica (all’epoca si parlava di cittadini stranieri che offrivano ai bambini caramelle avvelenate, gomme da masticare contaminate con aghi e pezzi di vetro, o addirittura giocattoli esplosivi); gli stessi racconti tornarono a diffondersi ai tempi della guerra in Cecenia, e vengono oggi riproposti per i “terroristi ucraini”.

A rischio sarebbero anche i russi residenti all’estero, in specie in Paesi nei quali persone provenienti da entrambe le nazioni in conflitto vivono fianco a fianco.


In Germania, alcune ragazze ucraine hanno dato da mangiare dolci avvelenati ad alcune coetanee russe. Ora sono in terapia intensiva.

Oppure: una mamma ucraina in Turchia ha fatto una festicciola per il compleanno del figlio, invitando diversi bambini russi. La torta era avvelenata. E così via…


I pericolosi alimenti del nemico


Tra gli appelli in circolazione sulle chat russe, alcuni non si concentrano sull’intervento volontario di presunti avvelenatori, ma sembrano additare il cibo ucraino come pericoloso di per sé. Negli ultimi mesi si è diffusa una catena di sant’Antonio che etichettava diversi prodotti ucraini come “poco salutari”, e che conteneva un elenco degli alimenti da evitare (un po’ l’equivalente del nostro volantino di Villejuif, nato a metà anni ‘70 e che conteneva una lista di prodotti contenenti additivi). L’appello era già diffuso in Russia prima dello scoppio della guerra, ma in seguito ha ripreso a circolare con variazioni minime del testo.


Allo stesso modo si sono diffusi appelli ad evitare dolci ucraini, rischiosi per la salute, ma anche le ciliegie di Mariupol, piene di pesticidi. Sotto accusa ci sarebbe anche una particolare bevanda al dragoncello di provenienza ucraina ma molto diffusa in Russia, che - stando ai messaggi WhatsApp - avrebbe provocato la morte di un bambino (o, in altre versioni, lo avrebbe fatto finire in terapia intensiva).


L’orrore della guerra


Le storie sulle atrocità commesse dal nemico sul campo di battaglia sono un classico delle leggende metropolitane.


Tra i racconti di questo tipo, alcuni sembrano aver avuto più diffusione di altri. Il primo è quello su un soldato russo che viene fatto prigioniero dagli ucraini durante la cosiddetta “operazione speciale”, come in Russia, eufemisticamente, è chiamata l’aggressione all’Ucraina. Dopo un po’ di tempo il soldato viene liberato, soccorso, e gli viene permesso di tornare a casa. La famiglia nota che il giovane parla poco e che sembra traumatizzato dall’esperienza, ma decide di dargli il tempo per riprendersi. Qualche giorno dopo, però, i genitori lo trovano impiccato ad un albero. Soltanto durante la preparazione del corpo per il funerale si scopre l’orribile verità: durante la prigionia, il soldato è stato castrato dagli ucraini.


Un altro racconto di atrocità è la presunta crocifissione di un militare nemico da parte di uomini del battaglione Azov, distrutto quasi interamente nel corso dell’assedio russo a Mariupol. Secondo Arkhipova, questa storia (falsa) è circolata sui social russi, dove è stata ampiamente condivisa. Era accompagnata da una foto di un vero soldato orfano, morto in guerra vicino a Mariupol, Nikita Gvozdakov.


In Russia le storie su bambini e su soldati crocifissi hanno una lunga tradizione: già nella prima fase della guerra, quella iniziata nella primavera del 2014 nelle regioni più orientali dell’Ucraina, il Donbass russofono, si era diffusa la notizia, poi sconfessata da giornalisti investigativi e da testate russe come Novaya Gazeta, dell’uccisione sotto gli occhi della madre con questa modalità di un bambino di tre anni a Slovyansk, uno dei centri più rilevanti del Donbass; la sua unica colpa sarebbe stata quella di essere il figlio di un miliziano filo-russo... Questi racconti ricordano da vicino quelli della propaganda anti-tedesca durante la Prima guerra mondiale (anche allora si era parlato a lungo di un soldato canadese crocifisso dai tedeschi).


C’è poi la storia secondo cui i militari ucraini avrebbero distribuito nelle zone filorusse del Donbass, in particolare a Luhansk, rubli contaminati con il bacillo della tubercolosi: anche questi racconti erano già circolati nel 2020, ma sono tornati a diffondersi con la guerra in corso.


Un’ultima leggenda di questo tipo parla invece di militari russi feriti e catturati in Ucraina poi utilizzati per il traffico d’organi. La Croce Rossa avrebbe addirittura stilato un elenco dei prigionieri e dei bambini delle zone filorusse da utilizzare a questo scopo…


La VPN che ti spinge al suicidio


La storia della VPN mortale è una delle leggende più assurde in circolazione sulle chat dei genitori. VPN sta per Virtual private network: con questa locuzione inglese si indicano le reti private che possono essere usate per filtrare la propria identità e aggirare i controlli imposti dalle autorità sulla rete internet. Tramite una VPN è possibile connettersi al server di una nazione nella quale vigono minori restrizioni della propria e accedere così a quei siti che nel proprio Paese sarebbero censurati (anche se non sempre l'anonimato è garantito al 100%, senza dimenticare la possibile esistenza di buchi di sicurezza). Con l’avvento della guerra in Ucraina e le leggi sempre più restrittive sulla stampa, molti utenti russi sono ricorsi a questo sistema, mentre il Roskomnadzor (l'autorità russa che regola le telecomunicazioni) faceva chiudere diverse aziende fornitrici di questo tipo di servizio.


Parallelamente, tra i genitori ha cominciato a circolare un appello inquietante. Si invitavano le famiglie a vigilare sul fatto che i propri figli non avessero installato sui telefonini app riconducibili alle VPN. La ragione? Si tratterebbe di programmi riconducibili al fenomeno Blue Whale, il “gioco” in cui utenti più esperti spingerebbero i ragazzi al suicidio tramite prove sempre più autodistruttive, tra cui tagli e incisioni sul corpo:


Un nuovo gioco in stile Blue Whale sta circolando su Internet: i ragazzi lo nascondono dietro la parola vepeen o VPN (Very Painful Number) o iPv6. Installando questa app sul dispositivo, il ragazzo viene coinvolto nel gioco, il cui risultato è, nella migliore delle ipotesi, una serie di tagli alle mani.

I rasoi dietro ai volantini


L'ultima storia dell'orrore ha per oggetto i volantini e gli adesivi con la lettera Z, diventata in modo non del tutto chiaro uno dei simboli della decisione russa di attaccare l’Ucraina. Vengono appiccicati un po’ ovunque dai sostenitori dell’operazione speciale; gli oppositori invece li staccano o li distruggono di nascosto. Su WhatsApp, e in particolar modo tra i contrari al governo di Mosca, ha cominciato a circolare un avviso: fate attenzione a staccare quelle scritte, dietro alla colla sono stati nascosti rasoi o aghi, magari infetti!


Anche questa leggenda è diffusa da anni a livello internazionale, e non è detto che qualche episodio reale non si sia mai verificato nel mondo. In questo 2022, comunque, ha ripreso a circolare riadattata al contesto russo e alla battaglia tra sostenitori e oppositori della guerra in Ucraina.


In altre versioni, si parla invece di una Z gigantesca collocata in certi luoghi dalle autorità, che sarebbe stata minata e che sarebbe pronta a esplodere in caso di manomissioni da parte degli avversari della politica bellicista di Putin. Il messaggio, comunque, è sempre lo stesso: chi si oppone alla propaganda rischia di finire male, molto male.


Forme silenziose di protesta


Le leggende metropolitane raccolte da Arkhipova sembrano andare per lo più in un’unica direzione: costruire l’immagine di un nemico subdolo e pericoloso, disinnescando al tempo stesso forme di resistenza come l’utilizzo delle VPN e la rimozione degli adesivi a sostegno della guerra (a toccarli, si rischierebbero le dita). Sono frutto della tendenza a dipingere i russi come le vittime della situazione, come testimoniano alcune barzellette e battute in circolazione; particolarmente significativa questa, raccolta dalla studiosa:


Un uomo si trova nello zoo di Londra, beve birra e si guarda intorno. Improvvisamente, una ragazzina cade nel recinto dei coccodrilli. L’uomo butta la lattina e si lancia verso la ragazza. La tira fuori e la riconsegna alla madre singhiozzante. Cominciano a ringraziarlo: “Grazie, ti sei comportato come un vero inglese coraggioso!” L’uomo risponde: “Grazie, ma sono russo”. Il giorno dopo tutti i giornali inglesi titolano: “Turista russo ubriaco ruba la cena a un coccodrillo”.

In tutto ciò, non bisogna commettere l’errore di considerare il consenso alla guerra così unanime e pervasivo nella popolazione russa come potrebbe apparire da questa rassegna. Non potendo manifestare apertamente il proprio dissenso per via delle leggi varate a marzo 2022, i contrari escogitano modi sempre nuovi e originali per diffondere le proprie idee. Arkhipova sta studiando anche queste nuove forme di “protesta in codice”, e, fra di esse, alcune appaiono decisamente interessanti. Per le loro caratteristiche, non sempre risultano facili da identificare da parte delle forze dell’ordine.

Spiega la studiosa sul suo canale Telegram (9 giugno):


Il secondo reggimento operativo della Polizia è stato impegnato nella dispersione e nell’arresto di gruppi di manifestanti a Mosca. Durante le proteste, l’unità ha svolto costantemente un duro lavoro semiotico - analizzando i simboli, i “semi”; per esempio, ha cercato di capire se una combinazione di fiori giallo-blu in un bouquet fosse casuale o meno. Pertanto, i ricercatori che, come me, studiano le proteste, hanno cominciato a chiamare questi “colleghi” il “secondo reggimento semiotico”. Adesso il secondo reggimento ha molto lavoro da fare…

Le proteste anti-guerra si sono dunque spostate da un piano esplicito a un universo fatto di simboli. Prendiamo il caso della frase Нет войне (“No alla guerra”). È composta in russo da due parole di tre e cinque lettere; al suo posto, hanno cominciato a comparire cartelli con tre e cinque asterischi. Ad Akademgorodok, città siberiana dove si respira un’aria cosmopolita a causa della presenza di diverse istituzioni di ricerca, sono comparsi alcuni graffiti recanti la scritta


3*+5*=?

Nella stessa città, su un’altra strada, è comparsa la scritta 35, poi ripresa dal giornale Novosibirsk Akademgorodok. Altrove, qualcuno ha tracciato in bella vista il numero 8 (3+5); o, ancora, la scritta Нет (cioè “no”, senza ulteriori dettagli). Spesso questi graffiti sono fatti con bombolette di vernice verde, mentre, legati ai lampioni, sono stati visti nastrini verdi (cioè, del colore che risulta dall’unione del giallo e del blu, i due colori della bandiera ucraina).


Queste proteste hanno lo scopo sia di manifestare un pensiero impronunciabile ad alta voce, sia, sotto un altro profilo, di mostrare in modo palese che non tutti la pensano allo stesso modo, e che un’opposizione esiste. A quanto pare, il significato dei simboli sarebbe colto da coloro che vi passano accanto. Ad Akademgorodok circola la battuta secondo cui presto verrà tolto anche il bus 35, uno dei più usati in città.


A Mosca sono comparsi graffiti che rappresentavano otto ballerine di danza classica stilizzate, in equilibrio sulle punte. Il riferimento che contiene il disegno necessita una spiegazione, perché per la maggior parte di noi suona oscuro. Mentre in Italia e altrove si discuteva se cancellare le esibizioni del Lago dei cigni di Čajkovskij, perché considerato troppo associato alla Russia, nella madrepatria questo balletto diventava un simbolo di protesta. La ragione va cercata nella storia del Paese: in epoca sovietica la morte di un leader non veniva sempre annunciata subito ai cittadini; mentre i capi del partito si mettevano d’accordo sulla successione, la televisione di stato aveva l’abitudine di mandare in onda a ripetizione il Lago dei cigni, classico riempitivo senza troppe pretese.


E così, questo balletto si è trasformato col tempo in un sinonimo di lutto, ma anche in una sorta di cattivo augurio verso il potere: un modo per dire che si spera che il leader in carica muoia al più presto possibile. Non è un caso se Novaya Gazeta, uno dei pochi giornali liberi della Russia, quando il 9 marzo 2022 ha chiuso i battenti ha deciso di accomiatarsi dai suoi lettori pubblicando un video del Lago dei cigni.


La protesta russa fa ampio uso di simboli, rebus, parole in codice: una forma per esercitare la propria libertà molto difficile da reprimere persino per una dittatura occhiuta come quella russa.


Immagine in evidenza: la lettera "Z", in caratteri latini, nei colori del nastro di san Giorgio, accompagnati dalla frase "non ci separiamo": uno dei simboli tradizionali del nazionalismo russo (Cosmin Stefano Amzoc, CC BY-SA 4.0 )

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