Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Il 5 maggio il folklorista olandese Theo Meder ha pubblicato sul sito dell’ISCLR (International Society for Contemporary Legend Research) un elenco di canzoni che, in modo più o meno diretto, hanno a che fare con le leggende contemporanee e il folklore. La discussione è poi proseguita sul gruppo Facebook dell’ISCLR, e parecchi altri studiosi ed appassionati di leggendario hanno dato il loro contributo.
Il risultato è stato un piccolo campionario di canzoni a tema - ovviamente, quasi tutte americane. Alcune sono di artisti (almeno per noi italiani) semisconosciuti, altre invece sono di veri mostri sacri della musica, come Bob Marley e Michael Jackson. I testi sono spesso interessanti, e oggi vi segnaliamo alcuni fra quelli che ci sono parsi più significativi e originali.
Guardian Angel, di Norman Walker
Il primato per la canzone con il maggior numero di riferimenti a leggende appartiene probabilmente a Guardian Angel, di Norman Walker, un autore folk davvero poco conosciuto in Italia. È stata pubblicata nel 2011 all’interno del CD Dear Friends and Gentle Hearts. Con l’intermezzo di un ritornello che invita il proprio angelo custode a guardarlo da ogni pericolo, il cantante snocciola tutta una serie di disgrazie scampate, ma il bello è che si tratta in maniera invariabile di leggende metropolitane. E così, fanno capolino nel testo il bambino sul tettuccio dell’auto, l’uncino, il doberman soffocato, il sub raccolto dal Canadair e il furto di reni.
Ecco come viene narrata l’ultima fra le leggende sopra menzionate:
There’s a guy that I work with, said his cousin’s great-aunt
Has a neighbour whose mother heard down at the bank
From a teller who was talking about a friend that she knew
A reliable source, so you know that it’s true
This feller on a business trip at a foreign hotel
Went out to relax at a bar he knew well
He met up with a woman in response to a wink
He invited her back to his room for a drink
The last he remembered was the drink that she made
He woke up in the bathtub, ice cold and afraid
With a telephone and a note that said “Dial 911
We’ve taken your kidneys. Don’t move ... Gotta run”.
(C'è un ragazzo con cui lavoro, diceva che la prozia di suo cugino
Ha un vicino la cui madre ha sentito in banca
Da una cassiera che stava parlando di un amico che lei conosceva
Una fonte affidabile, quindi sai che è vero;
Questo tizio era in viaggio d'affari, in un hotel all’estero
È andato a rilassarsi in un bar che conosceva bene
Ha incontrato una donna, lei ha risposto a un occhiolino,
L’ha invitata nella sua stanza per un drink,
L'ultima cosa che ricorda era il cocktail fatto da lei,
Si è svegliato nella vasca da bagno, freddo come il ghiaccio e impaurito,
Con un telefono e una nota che diceva: "Chiama il 911,
Ti abbiamo preso i reni. Non ti muovere… Dobbiamo scappare").
All’interno dello stesso CD, peraltro, figura anche un’altra canzone basata su una leggenda metropolitana, The Rabbit died (la storia del coniglietto sostituito). Nel 2002, invece, era uscito T-Time, un CD che raccoglieva diversi brani a tema, e fra questi End of the Roll, The Immaculate Conception, No News, Rosa, Mexican Pet, Interchange Two Phases e Llewelyn and Gelert.
Laurie, di Dickey Lee
Laurie è una canzone del 1965, che rappresenta uno dei più grandi successi di Dickey Lee - pseudonimo dell’ormai 85enne Royden Dickey Lipscomb. Ritmo lento e lievemente nostalgico, quasi da Il tempo delle mele, è una trasposizione musicale della leggenda dell’autostoppista fantasma. Nella versione di Lee, la scena si svolge ad un ballo; il protagonista danza con Laurie, che gli rivela che quel giorno è il suo compleanno e si fa riaccompagnare a casa. Lungo il ritorno, la giovane ha freddo e chiede in prestito il maglione del suo compagno. Lui se ne ricorda solo dopo averla lasciata. Quando torna a riprendere il capo d’abbigliamento, ecco la rivelazione finale:
"You're wrong, son.
You weren't with my daughter.
How can you be so cruel
To come to me this way?
My Laurie left this world on her birthday -
She died a year ago today."
A strange force drew me to the graveyard.
I stood in the dark,
I saw the shadows wave,
And then I looked and saw my sweater Lyin' there upon her grave.
Strange things happen in this world.
(“Ti sbagli, figliolo, non eri con mia figlia. Come puoi essere così crudele, da fare così con me? La mia Laurie ha lasciato questo mondo per il suo compleanno - È morta un anno fa, proprio come oggi”. Una strana forza mi condusse alla tomba. Rimasi nell'oscurità, vidi le ombre ondeggiare, e poi guardai e vidi il mio maglione che giaceva lì sopra la sua tomba. Succedono cose strane in questo mondo).
Dalla canzone è stato anche tratto un breve cortometraggio. Dickey Lee non è stato certo l’unico artista a portare in musica la leggenda dell’autostoppista fantasma: vi avevamo già parlato, un po’ di tempo fa, di Bringing Mary home, canzone country del 1966 dello statunitense Red Sovine. La leggenda viene inoltre spesso menzionata nei concerti da Tom Waits, visto che figura nell’introduzione al suo pezzo d’esordio, Ol’ ’55 (1973); e che lo stesso Waits ha dedicato al tema un altro testo, Big Joe and Phantom 309.
Big Chihuahua, degli Uncle Bonsai
Gli Uncle Bonsai sono un gruppo folk americano attivo ininterrottamente dal 1981. L’album del 1992 Myn Ynd Wymyn contiene un brano, Big Chihuahua, che utilizza in modo diretto una delle leggende metropolitane più classiche, quella del cagnolino cucinato nel forno a microonde.
The world is a big chihuahua
That's been put in the microwave
Someone forgot when you cook chihuahua
You have to poke holes or
You've ruined a perfectly fine chihuahua
(Il mondo è un grande chihuahua che è stato messo nel microonde. Qualcuno ha dimenticato che quando cucini un chihuahua devi fargli i buchi o hai rovinato un perfetto, bel chihuahua).
Il riferimento sembra essere alle varianti più truculente della storia, quelle in cui l’animaletto, messo nel microonde, finisce per esplodere. Allo stesso tema - ma in maniera più didascalica e un po’ casalinga - è dedicato The Dog in the Microwave (o The Microwaved Pet), di Lawrence Morritt.
Colin the Dog, di Dick Wrigley
Si sa poco dell’autore di questa lunga ballata folk: l’artista sembra un perfetto sconosciuto, al di là di alcune canzoni ironiche e divertenti postate sul suo canale Youtube. Colin the Dog mette in musica una delle più note leggende metropolitane d’America: quella che Jan Brunvand, nella sua Encyclopedia, chiama The Hare Drier (con un gioco di parole tra hair drier, il phon, e hare, cioè leprotto).
Colin, un grosso retriever, è appena arrivato in casa del suo nuovo padrone. All’uomo piace molto, ma i vicini non sembrano essere d’accordo: sporca, è rumoroso, forse temono per la sicurezza della bambina. E poi, gironzola spesso intorno a Fluff, il coniglietto della figlioletta dei vicini. L’uomo non sembra curarsene troppo, finché, un bel giorno, ecco il dramma: Colin si presenta in casa scodinzolante con il coniglio morto fra i denti! Spaventato, l’uomo cerca di nascondere quello che ai suoi occhi è un evidente leprotticidio. Prende il corpicino, lo ripulisce, lo asciuga, e lo riporta di soppiatto dov’era prima, sperando che i proprietari credano a una morte naturale.
Il giorno dopo, l’uomo porta Colin a passeggio, ed ecco che la vicina gli si accosta, “davvero molto agitata”. E gli spiega:
Yesterday we all went out
We enjoyed the day so much
But when we got home we found our Fluff
Lying dead there in his hutch.
It really was so strange
I’ll have to beg your pardon
You see early in the day
Fluff had passed away
And we’ve buried him in the garden.
(Ieri eravamo usciti, ci eravamo goduti la giornata; ma quando siamo rientrati abbiamo trovato il nostro Fluff che giaceva lì, morto, nella conigliera. È stato così strano, mi deve perdonare. Vede, quella mattina, un po’ prima, Fluff era morto e lo avevamo seppellito nel giardino).
La canzone si conclude qui, al di là del ritornello (let the dog see the rabbit... un’espressione che in inglese significa, più o meno, lasciate che la gente faccia quello che vuol fare, o lasciate che le cose vadano come devono andare). Non ci racconta delle reazioni che, dentro di sé, doveva aver avuto il padrone di Colin, il bravo e grosso retriever.
Camouflage, di Stan Ridgway
L’ultima canzone che vi presentiamo è forse la più famosa: si tratta di un’altra storia di fantasmi firmata Stan Ridgway, ambientata però questa volta nella giungla durante la guerra del Vietnam. Pubblicata nel 1986 all’interno dell’album The Big Heat, è salita ai vertici delle classifiche in Irlanda e Gran Bretagna. Potete ascoltarla qui nella versione originale o nella cover della band metal svedese Sabaton.
La vicenda è raccontata in prima persona dal protagonista, un soldato scelto che durante un’azione militare rimane separato dal resto della sua pattuglia. Solo e spaventato, viene raggiunto da un Marine grande e grosso che si presenta con il soprannome di Camouflage. I due combattono tutta la notte fianco a fianco, e il nuovo compagno d’armi sembra “spaventosamente strano”: sembra che schivi le pallottole, “come se non fosse lì”.
Al mattino, i due raggiungono il campo base e Camouflage, semplicemente, saluta e scompare. E qui, come in tutte le buone leggende che si rispettino, l’identità del salvatore viene rivelata:
When I said his name a soldier gulped
And a medic took my arm
And led me to a green tent on the right
He said, "You may be tellin' the truth boy,
But this here is Camouflage,
And he's been right here since he passed away last night"
In fact, he's been here all week long
But before he went he said, "Semper Fi, "
And said his only wish
Was to save a young marine caught in a barrage.
So here, take his dog tag, son,
I know he'd want you to have it now."
And we both said a prayer for a big Marine named Camouflage
(Quando ho detto il suo nome, un soldato è trasalito, e un infermiere mi ha preso per il braccio e mi ha portato verso una tenda verde sulla destra, e mi ha detto: “Potresti star dicendo la verità, ragazzo, ma quello lì è Camouflage, ed è stato qui fin da quando è morto, la scorsa notte”. In effetti, era stato lì per tutta la settimana, ma prima di andarsene aveva detto Semper Fi [contrazione di Semper fidelis, il motto dei Marines, NdA], e che il suo solo desiderio era di salvare un giovane marine preso in mezzo al fuoco di sbarramento. Quindi, figliolo, prendi la sua piastrina, so che avrebbe voluto che l’avessi tu ora”. E dicemmo entrambi una preghiera per il grosso Marine chiamato Camouflage).
Una perfetta ghost story che ricorda molto la leggenda dell’autostoppista fantasma, ma che si distingue per l’ambientazione - tanto che, tra i fan di Ridgway, in molti si sono chiesti se la storia circolasse davvero tra i soldati statunitensi inviati in Estremo Oriente negli anni ‘60 del secolo scorso; l’artista, però, sembra non aver mai rilasciato dichiarazioni in questo senso.
E voi, quali altre canzoni conoscete sulle leggende metropolitane?
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