Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Possibile essere così fortunati da perdere in acqua (in un lago, in un fiume, addirittura nell’oceano) una dentiera e recuperarla, tempo dopo, nel ventre di un pesce appena catturato?
Proveremo a raccontarvi queste storie bizzarre, soprattutto per dirvi come è possibile leggerle, ossia quali sono - forse, - i canali migliori per interpretarle razionalmente.
Una caratteristica di questi racconti, che potremmo chiamare leggende della dentiera nel pesce, è che di norma sono descritti come ritrovamenti. In altre parole, la dentiera non è un oggetto che “compare” dal nulla, senza che se ne sappia niente, ma è un oggetto noto e importante che “riappare” in modo insperato tempo dopo la sua scomparsa. Di norma, il proprietario l’aveva perso per un incidente che sembra uno dei tanti casi banali della vita quotidiana.
Ecco che cosa ci dice al riguardo una delle fonti più antiche da noi possedute, il quotidiano dell’Illinois Quincy Daily Whig del 14 luglio 1904. Il tenore della storia è tale da far intuire subito in quale ambito ci muoveremo. Un uomo aveva raccontato a Denver, nel Colorado, quanto gli era capitato in uno dei suoi viaggi, mentre era a pesca in un lago presso Akron, in Ohio:
È andata così… e quello che sto per dire corrisponde in modo assoluto alla verità. Stavo pescando nel lago, perché pescare è una delle mie fissazioni. Fino a quel punto, quell’estate, erano due anni fa, non mi era andata troppo bene. Stavo per stancarmi, per tagliarla corta e per tornare a casa. Però quel giorno la mia canna cominciò a tirare forte, e dopo quattro ore di dura fatica riuscii a tirare su, qualcosa che era il pesce più grosso che avevo mai visto in acque dolci. Non ne ho mai saputo il nome, ma di certo era di dimensioni spaventose. La mandibola misurava un metro e mezzo, e proprio fra le mandibole sta la parte più interessante della storia. Esaminandolo, il pesce risultò avere al posto di quattro denti, nella mandibola inferiore, un pezzo di sega. Guardandola più da vicino, vidi che sulla sega c’era il nome dell’uomo che l’aveva persa. Era stata persa nel lago due inverni prima da un uomo che stava tagliando un albero. Il pesce, assai vecchio, aveva perso i denti inferiori, aveva semplicemente usato la sega come dentiera. La sega aveva funzionato benissimo. Il pesce è ora in mostra in un negozio di ferramenta di Akron.
Storia analoga, ma più “semplice”, per il Daily Mail australiano del 4 aprile 1924. Pochi giorni prima, una dentiera completa era stata ritrovata in un grosso merluzzo pescato nel fiume Barwon, presso la cittadina di Talwood, nel Queensland. Ebbene, circa sei mesi prima il signor Sigston, un pompiere che lavorava sui treni postali della zona, l’aveva persa proprio in quella località, mentre faceva il bagno!
Lo scenario australiano si ripresenta in un dispaccio d’agenzia trasmesso da New York il 1° agosto 1927, poi ripreso da parecchi quotidiani anglofoni. Un certo professor Rendttorff, della Lake Forest Academy (un’istituzione scolastica che si trova nell’Illinois), aveva raccontato che il giovedì precedente la moglie di un certo signor Ahl stava nuotando nel lago Waubesa, nel Wisconsin, quando aveva perso la dentiera. Quella domenica il marito era andato a pesca nel lago, aveva preso un buon bottino; pulendo i pesci, aveva trovato la dentiera della donna nello stomaco di una delle sue prede!
Storie da pescatori, diremmo noi. A volte il proprietaro della dentiera e colui che la ritrova possono essere la stessa persona. Quella che segue è una delle nostre versioni preferite; comparve sull’Auckland Star neozelandese il 5 maggio 1934. Il signor Carrier, agricoltore di Bogalusa, in Louisiana, stava pulendo la dentiera nelle acque di un fiume, quando sarebbe stato morso da un pesce, che avrebbe poi inghiottito la dentiera caduta in acqua. Per niente rassegnato, avrebbe gettato l’amo da pesca nella zona e… Sorpresa! Era riuscito proprio a catturare quel pesce: apertolo, vi trovò ciò che gli era stato sottratto.
Ci sono anche storie in cui (si veda The Evening News, Australia, 4 maggio 1938) un uomo, facente parte di un gruppo di pescatori attivi nella zona di Six-Mile, nel Queensland, che assiste impotente, mentre la sua dentiera gli viene sottratta da un grosso pesce-gatto. L’animale si immerge subito, e così questa volta non abbiamo neanche il seguito consueto, cioè la ricomparsa dagli abissi. La stessa storia, peraltro,era già stata raccontata molti anni prima, il 5 agosto del 1911, dal Quincy Daily Herald dell’Illinois: un uomo aveva visto la sua dentiera cadere in acqua, mentre pescava nel lago Highland, nel Connecticut, e finire in bocca ad una grossa spigola, che si era subito immersa.
E ancora, per tornare alla struttura fondamentale del nostro racconto: il 2 febbraio del 1936, un altro giornale neozelandese, il Poverty Bay Herald, spiegò che giorno prima un uomo che si esercitava nel canottaggio per conto del Club canottieri di New Plymouth, aveva perso la dentiera nelle acque del Pacifico. Pochi giorni dopo un pescatore che aveva gettato l’amo presso il molo Newton King, in città, l’aveva ritrovata nello stomaco di una gallinella e l’aveva identificata (non si sa come) per quella del canottiere distratto…
Tutto questo però è niente. Preparatevi ad un passaggio della dentiera fra specie animali diverse.
L’8 ottobre del 1937 il Johnstone River, un quotidiano che si pubblicava nel Queensland australiano, racconta una storia “della quale il suo narratore proclama l’autenticità” e di cui tutti parlano da una settimana nella cittadina di Innisfail. Cinque anni prima, un uomo che si trovava in vacanza e che pescava sulla vicina costa del Pacifico, si era tolto la dentiera per andare a dormire. Nel cuore della notte, l’uomo viene svegliato dai lamenti di un gattino sofferente. Il cucciolo viene portato di corsa da un veterinario, ma muore in poco tempo. Pensando al dispiacere che il figlioletto avrebbe provato nell’apprendere della morte del compagno di giochi, preferisce dargli come tomba mare.
Rientrato a casa si accorge che la dentiera è introvabile. Dopo vane ricerche, lui e gli altri si convincono che l’apparato è stato ingerito dal gatto e che la causa della morte è dovuta a quel pasto indigesto.
La cosa viene del tutto dimenticata col passare del tempo, ma… ecco che cinque anni dopo, sulla spiaggia di Ella Bay, viene scoperta una dentiera, sulla cui base era inglobata una grossa ostrica! Il frutto della curiosa simbiosi viene portato a Innisfail e lì in qualche modo identificato dall’uomo che aveva perso la protesi cinque anni prima, e a questi restituita!
E se cinque anni non vi bastano, ecco una storia italiana in cui l’intervallo temporale fra i due poli della narrazione (sottrazione repentina/ riapparizione semi-miracolosa) diventa l’elemento centrale del racconto. Ecco cosa scriveva il Corriere della Sera del 25 agosto 1956:
Un anziano pescatore di Sampierdarena, Carlo Bedeschi, detto Carlin, ieri mentre era intento a pescare le orate ha sentito la lenza pesare e l’ha salpata. Invece di un pesce, appesa all’amo, ha trovato una vecchia dentiera che il Bedeschi asserisce essere sua, precisando di averla perduta nel 1910 mentre pescava nella zona. [fine cit.]
Questa volta non sono i pesci, sudditi del dio Nettuno, a ripresentare l’antica dentiera. Dopo quarantasei anni di attesa, era giusto che fosse il mare stesso a restituire i denti al vecchio Carlin.
Ad ogni modo, la credenza nella possibilità di recuperare dentiere perse nelle pance dei pesci doveva essere piuttosto diffusa. Il 19 febbraio del 1945 il Northern Advocate (Nuova Zelanda) scrisse che un funzionario pubblico della città di Whangarei che si trovava a pescare presso le isole Hen and Chicken aveva perso la dentiera in acqua. A quel punto tutti si erano messi a pescare più pesci possibile e, tiratili su, li aprivano in fretta per vedere se qualcuno aveva inghiottito i denti finti dell’uomo, ma, a quanto pare, senza fortuna. Nel 1954 un altro incidente conferma che aspettative di questo tipo non erano affatto cosa isolata. Un altro periodico australiano, The Land, il 5 febbraio di quell’anno, scrisse che un uomo aveva trovato una dentiera in un merluzzo che aveva pescato giorni prima nel fiume Murrumbidgee. Sei persone che in varie date avevano perso la dentiera nuotando nel fiume si erano presentate chiedendo di poter verificare se si trattava della loro protesi.
Fu una delusione. I denti finti erano di qualcun altro.
In tempi più recenti c’è stato chi ha provato a dare un’interpretazione a questo genere di storie che facilmente potrebbero essere considerate la prosecuzione moderna di racconti antichi sul comportamento meraviglioso degli animali, giunti a trasformarsi in credenze del XX secolo.
La pensano in modo piuttosto diverso gli antropologi olandesi Eric Venbrux e Theo Meder, che nel 1995 hanno pubblicato un lungo saggio sulle dentiere nei pesci per l’annuario Contemporary Legend dell’International Society for Contemporary Legend Research (“The false teeth in the cod”: a legend in context, vol. 5, pp. 115-131). L’articolo prende spunto da un caso pubblicizzato dai media olandesi nel novembre 1994 (un uomo che perde la dentiera nel Mare del Nord e a cui viene restituita da un pescatore che l’ha trovata in un grosso merluzzo pescato), storia subito ripresa in molti altri Paesi. Venbrux e Meder hanno mostrato che il motivo folklorico all’origine di questi racconti era già da tempo piuttosto diffuso nei Paesi Bassi.
La storia risponde a varie funzioni: alla base, c’è la linea narrativa della coincidenza meravigliosa, esagerata, che da sempre alimenta la letteratura mondiale sotto ogni latitudine; c’è poi la linea del rovesciamento dei ruoli: invece che essere noi a mangiare il pesce, come di consueto, è lui a mangiare una nostra parte (la dentiera).
Certo, più in generale, il motivo dell’ingestione e del ritrovamento di oggetti di valore nello stomaco dei pesci è cosa assai nota ai folkloristi, soprattutto nella forma dell’anello perso e ritrovato, con le sue innumerevoli varianti (di una si discute in questo pezzo). Venbrux e Meder, però, argomentano con ricchezza di esempi che nella nostra storia, al contrario che nelle narrazioni tradizionali, la perdita e il ritrovamento sono privi di intenzione, ossia, che in apparenza sono fortuiti.
Si perde la dentiera per distrazione, la si ritrova, al massimo, per la bravura e per la perseveranza di un pescatore. Non ci sono né giudizi divini né pesci messaggeri degli dèi o di chissà chi, o animali parlanti che spiegano il senso morale della storia. Il pesce, come da sua natura, qui tace.
I due studiosi, non a caso, dedicano largo spazio del loro lavoro a spiegare le dinamiche che stavano dietro al racconto olandese del 1994 con cui avevano iniziato. Si trattava di uno scherzo architettato da un gruppo di amici, in larga misura ispirato dal tragico affondamento del traghetto scandinavo “Estonia”, che due mesi prima aveva visto annegare 852 persone nel Mare del Nord, accostato alla triste fama di cui godono i merluzzi, ossia quella di mangiare le carni degli affogati. Ispirandosi a questo fatto, quelle persone avevano raccontato a giornali e TV una storia mai successa, quella di una dentiera persa nel Mare del Nord, mangiata da un pesce e poi recuperata.
Venbrux e Meder sostengono che la storia della dentiera nel pesce non s’imparenta in maniera stretta con quelle antiche dei ritrovamenti meravigliosi nelle bocche dei pesci (come nel caso degli anelli preziosi), ma piuttosto con l’umorismo al vetriolo che ricorre in molte delle leggende metropolitane. Non a caso, in Europa settentrionale,circolava quest’altra leggenda, la cui somiglianza con una barzelletta è evidente:
Un uomo parte per pescare nel Mare del Nord con un gruppi di amici. Dopo un po’ gli viene il mal di mare, e, nel vomitare, fa cadere la dentiera in mare. Dispiaciuto per lui, uno degli amici escogita un sistema per rinfrancarlo. Mentre lo sfortunato non guarda, l’altro si sfila a sua volta la dentiera e l’attacca all’amo della sua canna da pesca. Poco dopo quello esclama: “Guarda! Guarda! Ho pescato la tua dentiera!” Lo sfortunato stacca la dentiera dall’amo, se la mette in bocca, la risputa e la butta in mare dicendo: “Non è la mia! Non mi si adattava proprio per niente!
Il lavoro dei due ricercatori olandesi, come il titolo stesso del loro saggio suggerisce, mira a “rimettere nel loro contesto” certe leggende metropolitane. Il contesto della storia della dentiera nel pesce, argomentano, non è tanto quello del ritrovamento miracoloso, legato a un mondo di principi ed eroi, ma quello del divertimento e della dinamica della costruzione della burla.
Noi oggi ve l’abbiamo presentata anche per questo: può darsi che le storie che abbiamo raccolto per il periodo tra l’inizio del XX secolo e gli anni ‘50 (ma ce ne saranno prima: le dentiere moderne compaiono nella prima metà del XIX secolo) siano il risultato di racconti fra amici, di scherzi organizzati dagli stessi protagonisti (i “depredati” delle dentiere) o da loro amici, di veri e propri sketch satirici; e che la stampa sia stata ampiamente disponibile a rilanciare questi piccoli aneddoti, con leggerezza e ironia.
Insomma, al contrario di altre volte, questa leggenda che corre non è connessa in modo stretto a racconti giunti da tempi remotissimi, pur se di primo acchito parrebbe somigliargli. Si inserisce, piuttosto, nella tradizione delle tall tales, aneddoti esagerati raccontati come veri, per stupire e divertire.
In questo modo, la storia della dentiera nel pesce ci ricorda che quando interpretiamo qualcosa è bene tenere sempre in mente uno dei criteri di base dell’approccio scientifico: il principio di economia; a parità di fattori, è preferibile scegliere la soluzione più semplice.
Non funziona sempre e al cento per cento, ma nella gran parte dei casi aiuta.
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