Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Sheila Bock è una folklorista americana che lavora presso la University of Nevada di Las Vegas. Fra le altre cose, Bock tiene un corso intitolato “Interpretare la malattia”. In quell’ambito, analizza con gli studenti voci e leggende sulle grandi epidemie, dalla peste, sino all’Ebola.
Inevitabile che ora la sua attenzione sia stata attratta dal Covid-19.
Bock ha già pubblicato alcune riflessioni preliminari nelle quali formula una prima interpretazione delle leggende metropolitane sulla pandemia in corso
Quello che finora l’ha colpita è il fatto che dicerie e leggende, in specie quelle che riguardano scienziati, medici e politici impegnati nel far fronte alle enormi pressioni cui sono sottoposti nella crisi attuale, si caratterizzano per… la loro mancanza di novità sostanziale. La gravità della crisi psico-sociale in atto, a suo avviso, avrebbe costretto un po’ tutti as ritirare fuori “dal cappello” del folklore racconti del tutto analoghi già diffusi per le passate, grandi malattie. Starebbero funzionando assai bene proprio perché si tratterebbe di variazioni nemmeno troppo ampie di storie ben consolidate da un pezzo.
Per spiegarsi meglio, raggruppa le leggende che ha sentito nelle scorse settimane in quattro tipi:
Le abitudini “esotiche” degli altri: l’idea, circolata soprattutto nella prima fase della pandemia, che i cinesi mangino pipistrelli, per Bock ricorda molto i discorsi che, negli anni ‘80, quando esplose il problema dell’Aids, circolavano sia fra i medici sia fra il pubblico generale circa le abitudini alimentari delle tribù africane.
Le cospirazioni governative: il Covid-19 è un’arma biologica creata dai cinesi, o dalla CIA; Bill Gates ha fatto creare il virus per vendere poi il vaccino; negli Stati Uniti la Guardia Nazionale costringerà con la forza tutti gli americani a restare in casa, con l’imposizione della legge marziale… storie sovrapponibili a quelle circolate per Aids, Ebola, Sars, H1N1…
Gli untori volontari: il terzo gruppo, sul quale Bock ha raccolto un certo numero di racconti a fine marzo, parla di una persona che tossisce in modo intenzionale addosso ad altri per poi rivelare di avere il virus. In un’altra versione, è una donna beccata a rubare in un supermercato a tossire su un commesso. In un terzo caso, la tosse è la “vendetta” di una donna accusata di razzismo da un cliente di origine asiatica mentre i due fanno acquisti anche stavolta in un supermercato. Quasi inutile dire che questo gruppo ricorda da vicino il comportamento vendicativo della leggenda dell’untrice dell’Aids (Aids Mary). E - aggiungiamo noi - la stessa storia si ritrova anche in occasione di malattie più “antiche”, come nel caso di Leprosy Mary, “Maria della lebbra”.
La minaccia dagli oggetti di uso comune: nel periodo di maggiori timori per l’Aids, una serie di beni di uso comune promiscuo (le pompe di benzina, i seggiolini degli autobus e le poltrone dei cinema, le cabine telefoniche) diventavano veicolo di morte, sovente tramite falsi avvisi attribuiti alle forze dell’ordine: aghi infettati del sangue dei malati erano collocati dappertutto, pronti a trasmettere il virus. Bock ha analizzato una serie di post sui social media in cui, nel mese di marzo, erano le maniglie delle pompe di benzina ad essere sede del virus: assolutamente necessario, dunque, far rifornimento usando guanti monouso gettandoli subito, prima di risalire in auto. Luoghi specifici e di solito confinati a un perimetro preciso (stazione di rifornimento, autobus, cinema) diventano essi stessi “sede” della minaccia ma, al contempo, proprio per questo, identificabili e, in qualche misura, stando attenti, controllabili - esattamente come per le siringhe con l’Aids trentacinque anni fa.
Sebbene i dettagli rispetto alle malattie del passato possano cambiare, per Bock le leggende urbane su cause, diffusione e caratteristiche delle epidemie sarebbero fra le più stabili, nel vastissimo e mutevole universo delle dicerie e delle voci che corrono - ma anche quelle con conseguenze più concrete e preoccupanti.
Così la folklorista conclude la sua riflessione:
Le storie che la gente racconta, racconta di nuovo e ascolta influenzano i modi in cui le persone valutano i rischi che assumono - una cosa che ha implicazioni assai concrete sulla salute pubblica. Influenzano anche i modi in cui la politica risponde alle epidemie, ad esempio, con interventi centrati sul rafforzamento delle barriere simboliche e tangibili fra “noi” e “loro”. In più, come dimostra la crescita allarmante delle violenze contro gli statunitensi di origine asiatica, queste storie hanno un potenziale tale da riaffermare lo stigma di gruppi sociali che già si trovano in posizioni marginali o precarie.
Un primo spunto, quello di Sheila Bock, che, come visto mette l’accento sulla “ripetizione” di motivi folklorici già ben noti, o di leggende contemporanee già conosciute. Siamo però sicuri che i motivi “antichi” che vediamo non siano soltanto quelli che andiamo attivamente a cercare? In un articolo di qualche tempo fa sull’origine delle leggende metropolitane, Stefano Dalla Casa riportava il parere del folklorista Simon Young secondo cui, sì, molte storie erano antichissime, ma al contempo non sarebbe così raro vedere la formazione di storie inedite, dovute alla comparsa di nuove tecnologie o di nuove circostanze sociali: difficile, ad esempio, pensare a un equivalente “antico” del cane messo dalla vecchietta nel microonde. Presuppone la modernità, specifiche strutture familiari, il rapporto conflittuale con le nuove tecnologie, l’attenzione per gli animali da compagnia, la possibilità di cuocere senza fiamme e in modo “invisibile”…
E a ben guardare, qua e là, nell’immensa mole di leggende circolante sulla nuova epidemia, è possibile riconoscere riadattamenti originali, nuovi motivi, storie che è difficile pensare al di fuori delle particolarissime circostanze in cui ci troviamo a vivere. Un esempio: quale potrebbe essere un equivalente antico della storia secondo cui in Spagna (dove le restrizioni sulle restrizioni alla mobilità sono analoghe a quelle comparse in Italia) si sarebbe installato un fiorente traffico di animali “affittati” al solo scopo di uscire di casa?
Insomma, il nostro invito è, insieme alla ricerca di linee che in un certo senso “sono già state scritte”, a porre attenzione anche alle novità che a nostro avviso si intravedono. Se volete mandarci storie, leggende, curiosità, voci che avete sentito sull’epidemia, potete scriverci all’indirizzo mail del nostro centro (centro@leggendemetropolitane.eu).
Buona caccia!
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