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Il bambino di neve: un racconto di umor nero medievale

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    Redazione
  • 1 giorno fa
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C’è una storia che si aggira da oltre dieci secoli nel folklore europeo: è la storia del bambino di neve, una leggenda di vendetta e humor nero che ebbe parecchio successo nei fabliaux medievali e che è arrivata fino a noi. Eccone un esempio, tratto da una raccolta moderna:


Un mercante viveva con sua moglie nella loro casetta sulla spiaggia. La loro non era una vita facile, perché i suoi viaggi lo tenevano lontano da casa per molti mesi all’anno. Al ritorno a casa dopo un viaggio particolarmente lungo e faticoso, il mercante fu accolto dalla moglie e da un bambino neonato. Era sorpreso di vedere il neonato, ma non particolarmente contento, dato che era in mare da quasi un anno. La moglie rispose allo sguardo indagatore del marito con una spiegazione.
«No, non è tuo figlio», disse. «È un ragazzo miracoloso, un bambino di neve!» E continuò: «Un giorno d'inverno, mentre tornavo a casa dalla chiesa, sono scivolata sul ghiaccio e sono caduta in un cumulo di neve. Nove mesi dopo ho dato alla luce il nostro Bambino di Neve. Non è una meraviglia?!»
Il marito dovette ammettere che il bambino era un prodigio, perché aveva un incarnato diafano. I suoi capelli e la sua pelle erano di un bianco candore. Il mercante sembrò accettare il nuovo membro della famiglia.
Molti viaggi e stagioni dopo, in una calda giornata estiva, il mercante annunciò alla moglie che sarebbe andato al mercato nel villaggio vicino. «Porterò con me il Bambino di Neve a fare una gita», disse. Il mercante tornò a casa quella sera, ma era solo.
«Dov'è nostro figlio?» chiese la madre, ansiosa.
«È successo qualcosa di terribile», rispose il marito. «Stavamo camminando attraverso un ampio prato sotto il sole cocente, e lui...», ha esitato il marito. «Beh, si è sciolto».
(Lutz Röhrich, Erzählungen des späten Mittelalters und ihr Weiterleben in Literatur und Volksdichtung bis zur Gegenwart, 1962)

Una fonte antica, le Canzoni di Canterbury


La leggenda del Bambino di Neve ricorre così spesso, nel folklore europeo, da essersi guadagnata un posto nel celebre catalogo dei motivi folklorici Aarne-Thompson-Uther Index come tipo 1362. Le prime attestazioni di questo racconto risalgono al X secolo, e in particolare ai Fragmenta Burana, parte dei più celebri Carmina Burana. Un'altra versione antichissima si trova nei Carmina Cantabrigiensia (Canzoni di Canterbury) dell'XI secolo. Qui la storia si intitola De puero niveo e ha per protagonista un mercante della Svevia, regione storica posta tra la Germania meridionale e la Svizzera. Il canto si apre con queste parole:


Advertite, omnes populi, ridiculum et audite, quomodo/ Suevum mulier et ipse illam defraudaret.
[Ascoltate attenti, o gente, e udite in che modo la donna di uno svevo l’abbia ingannato, e lui ingannò lei].

In questa versione la donna giustifica in un altro modo – altrettanto fantasioso – l’avvenuta gravidanza:


At illa maritum timens, dolos versat in omnia. «Mi», tandem, «mi coniux», inquit, «una vice in Alpibus nive sitiens extinxi sitim.
Inde ergo gravida istum puerum damnoso foetu heu gignebam.
Nam langues amore tuo consurrexi diliculo perrexique pedes nuda per nives et per frigora.
Atque maria rimabar mesta si forte ventivola vela cernerem aut frontem navis conspicerem».
Ma lei, temendo il marito, versa inganno in ogni cosa, e dice allora: «Marito, marito mio, una volta, in montagna, assetata, con la neve la sete calmai. Ne rimasi gravida e questo bambino, con travagliato parto, ahimè, generai.Languendo infatti per il tuo amore mi alzavo all’alba e andavo a piedi nudi tra neve e gelo.
E i mari scrutavo mesta, se per caso vedessi la vela al vento o avvistassi la prua della nave».

Anche stavolta l’uomo sembra accettare la spiegazione, e cinque anni dopo decide di portare il figlio con sé nei suoi viaggi. Ma, giunto al di là del mare, vende il bambino a un mercante per cento libbre, con cui può tornare a casa – ricco, e senza il frutto dell’adulterio della moglie. Presentata come un vicenda accaduta in un tempo indefinito, la storia si conclude con una morale: chi inganna verrà ingannato (“così il raggiro vinse il raggiro”, scrive l’anonimo redattore dei Carmina Cantabrigiensia).


La vendetta è un piatto che va consumato freddo – anzi, freddissimo


La vicenda del bambino di neve divenne comune nei fabliaux medievali, brevi racconti spesso comici o satirici in cui i temi del tradimento e della lotta tra i sessi erano assai popolari. Come in alcune storie che abbiamo già analizzato in passato (per esempio, la leggenda del ladro e dell’orso) il racconto, umoristico ma anche istruttivo, si prestava particolarmente bene a essere utilizzato a scuola come esercizio di retorica. Si ha anche notizia di un’opera teatrale medievale sulla Vergine Maria che vede alcuni personaggi esprimere incredulità verso la sua storia di gravidanza, e che per farlo citano proprio il Bambino di Neve.


Ma la storia prosperò anche nell’Europa dei secoli successivi. Sul punto possiamo citare tre esempi: il primo, arriva dal racconto francese L'enfant de neige, da Les cent Nouvelles nouvelles, raccolta anonima composta tra il 1464 e il 1467. 


Lì, un mercante inglese torna dopo dieci anni e trova la moglie con un figlio di sette. La donna afferma di averlo concepito mangiando una foglia di acetosa ricoperta di neve, poco dopo la partenza dello sposo. Il mercante finge di crederle ma, dieci anni dopo, porta il ragazzo con sé ad Alessandria d’Egitto e lo vende come schiavo. Al ritorno, racconta alla moglie che il bambino, essendo fatto di neve, si è sciolto al sole. La moglie accetta la spiegazione, lodando Dio per aver “dato e tolto”, come nel racconto biblico di Giobbe, ma il testo suggerisce che la donna non fosse del tutto placata dalla spiegazione (“se sospettasse qualcosa o no, la storia tace e non ne fa menzione, ma forse capì che suo marito non era uomo da farsi ingannare”).


In Germania troviamo invece il racconto Das Eiskind (Il bambino di ghiaccio) di Johannes Pauli (1455-1530). Il protagonista questa volta è un mercante veneziano che torna dopo un'assenza di alcuni anni e trova un bel bambino in casa. La moglie spiega di averlo concepito mangiando una stalattite di ghiaccio caduta dal tetto mentre pensava con desiderio al marito, e lo chiama pertanto Glacies (ghiaccio, in latino). Il marito accetta la spiegazione senza fare storie, perché “se un uomo rimprovera la moglie, sta solo rimproverando se stesso”, e anche perché anche lui si era “dato da fare” all’insaputa della moglie, durante il viaggio. Anni dopo, porta Glacies con sé e lo vende oltremare. Al suo ritorno, dice alla moglie che, mentre navigavano in una giornata caldissima, il sole aveva sciolto Glacies, che era tornato acqua, esattamente così come era nato.


Interessante è anche la versione inglese di Thomas North (1535-1604) intitolata The Snow Child, attribuita dall’autore al leggendario filosofo indiano Bidpai (in realtà, non se ne trova traccia nelle raccolte orientali). Conye, un ricco agricoltore, torna dopo una lunga assenza e trova la moglie Musse con un bambino. Lei gli spiega l’origine del figlio: tre anni prima era caduta una grande nevicata e lei, giocando a palle di neve, era rimasta incinta. Aveva dunque chiamato il bambino White (bianco) perché "bello e bianco come la neve stessa". Il marito, pur non credendole, finge di accettare la storia perché lei è una donna bellissima, mentre lui è “rozzo alla vista”, e dunque preferisce per un po’ mordere il freno e non manifestare i suoi dubbi. Anni dopo, però, si sbarazza del bambino, spiegando poi alla moglie che si è "completamente sciolto" a causa del caldo del sole. Questa, peraltro, è una delle poche versioni che si concludono con la rottura del rapporto coniugale: “la sua Musse, sentendo ciò, infuriata se ne andò via, e lasciò Conye completamente solo; da allora non la vide mai più”.


Quando il marito non c’è


Il racconto del bambino di neve è una storia esemplare dell’inganno punito – anche se a rimetterci di più è, a ben vedere, il bambino incolpevole. Come cautionary tale, ricorda alcune leggende moderne come quella della vendetta gamberosa


Tuttavia, il successo di questa storia è anche uno specchio delle ansietà medievali riguardo alla fedeltà coniugale, alla legittimità della discendenza e ai ruoli di genere. In un mondo in cui le donne erano viste, sulla scorta di molti passi della Scrittura, come ingannevoli figlie di Eva, e in cui non esistevano modi certi per accertare la paternità, il pericolo di crescere un figlio non proprio era particolarmente temuto. Non a caso, la questione è al centro di molte storielle e aneddoti del tempo, come quelli presenti nelle Facezie di Poggio Bracciolini. In una delle sue storie, intitolata Di un povero nocchiero da Gaeta, un marinaio torna dopo cinque anni e trova la moglie con un bambino treenne e la casa completamente rinnovata. La donna attribuisce tutto alla grazia di Dio, compreso il figlio. Il marito, ironicamente, commenta di dover ringraziare senz’altro il Signore per essersi preso "tanto pensiero delle mie faccende", trovando però eccessivo che Dio gli facesse anche dei figli mentre era lontano. Ancora, nella facezia 121, un uomo si trova nella stessa situazione del protagonista del bambino di neve:


Un cittadino di Firenze, che era stato fuori di paese, quando dopo un anno tornò a casa sua, trovò sua moglie che stava per partorire, ed ei male sopportava questa cosa, poiché temeva che sua moglie non gli si fosse serbata fedele. Ed essendo egli nel dubbio, andò per consiglio da una nobile signora che abitava lì presso, e ch’era donna molto ingegnosa, e le richiese se egli avesse potuto aver un figlio dopo dodici mesi. Ed ella, conosciuta la dappocaggine dell’uomo, rispose per consolarlo: “Certamente, che se la moglie tua, quel giorno in cui concepì, vide un asino, secondo il costume di questi animali partorirà dopo un anno.” E l’uomo si chetò alle parole della signora, e ringraziando Dio che toglieva a lui un forte sospetto e risparmiava a sua moglie un grave scandalo, tenne per suo il fanciullo che nacque.

Ricordiamo che quando queste tradizioni narrative si formarono, i meccanismi esatti del concepimento non erano ancora del tutto chiari: storie di parti innaturali erano comuni, così come era corrente l’idea secondo la quale oggetti o persone viste dalla donna durante la gravidanza potevano agire sull’aspetto del bambino o sull’andamento del parto (la cosiddetta teoria delle impressioni materne). Nel folklore europeo si rincorrevano storie di gravidanze avvenute dopo aver inghiottito semi, oppure di donne rimaste incinte in maniera miracolosa. Si noti che esiste una favola, quella indicata come 703* nel catalogo Aarne-Thompson, che si intitola La fanciulla di neve, e in cui un bambino ha davvero un'origine magica legata alla neve.


 La storia del bambino di neve aggiunge a tutto ciò un tocco di umor nero, di senso di rivalsa e un finale inaspettato: non ci stupisce che possa aver avuto così successo, dal Medioevo sino ad oggi.


Immagine in evidenza: generata con Microsoft Bing Image Creator


 
 
 

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