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Il killer tra i capelli: storie di contaminazione




articolo di Sofia Lincos


Vi raccontiamo oggi una curiosa storia di parassiti. Non arriva dal folklore, ma dalla letteratura: con le leggende metropolitane, però, ha molto in comune. L’autore è l’uruguaiano Horacio Quiroga (1878-1937), definito talvolta l’Edgar Allan Poe del Sudamerica. Il racconto a cui ci riferiamo si intitola Il cuscino di piume: potete leggerlo qui in versione originale (El almohadòn de plumas), o qui in italiano.


La protagonista della storia è Alicia, sposata da appena tre mesi con Jordán. L’idillio d’amore è però turbato dal fatto che la donna sembra soffrire di un male misterioso: dimagrisce, si sente sempre più debole. Il medico non sa spiegarsi la sua condizione, e le prescrive un riposo assoluto. Le trovano una forma di anemia, ma Alicia continua a peggiorare, finché non è ridotta in fin di vita. Di giorno, il morbo non sembra progredire, mentre al mattino la donna si sveglia livida e senza forze. Alla fine, il tragico epilogo:


Infine morì. La cameriera che entrò più tardi per disfare il letto, ormai sola, guardò alquanto stupita il cuscino. «Signore!» chiamò Jordán a voce bassa. «Sul cuscino ci sono macchie che sembrano di sangue.» Jordán si avvicinò velocemente e si chinò a sua volta. Effettivamente, sulla federa, a entrambi i lati dello spazio vuoto che aveva lasciato la testa di Alicia, si vedevano piccole macchie scure. «Sembrano punzecchiature» mormorò la cameriera dopo averlo osservato immobile per un momento. «Portalo alla luce» le disse Jordán.
La cameriera lo sollevò ma subito lo lasciò cadere e si fermò a guardarlo livida e tremante. Senza sapere perché, Jordán sentì che i capelli gli si rizzavano. «Che c’è?» mormorò con voce roca. «Pesa molto» disse la cameriera senza smettere di tremare. Jordán lo sollevò; pesava moltissimo. Uscirono con il cuscino e sul tavolo della sala da pranzo Jordán squarciò la fodera e la copertura. Le prime piume volarono e la cameriera emise un grido di orrore con la bocca spalancata, portandosi le mani contratte alla testa: sul fondo, tra le piume, c’era un animale mostruoso che muoveva lentamente le zampe pelose, una palla vivente e viscosa. Era talmente gonfio che la bocca si vedeva appena.
Notte dopo notte, da quando Alicia si era ammalata, aveva furtivamente messo la sua bocca – o meglio, il suo pungiglione – sulle sue tempie, succhiandole il sangue. La punzecchiatura era quasi impercettibile. La rimozione quotidiana del cuscino aveva sicuramente impedito il suo sviluppo, ma da quando la giovane non aveva più potuto muoversi, la suzione era stata vertiginosa. In cinque giorni, in cinque notti, aveva svuotato Alicia. Questi parassiti degli uccelli, minuscoli nell’ambiente comune, raggiungono proporzioni enormi in certe condizioni. Sembra che il sangue umano gli sia particolarmente gradito, e non è raro trovarli nei cuscini di piume.

Ai lettori di lungo corso di questo sito, la storia avrà forse ricordato una leggenda diffusa anche ai nostri giorni: l’inquietante vicenda del piumino che cammina. La storia è quella di una donna che acquista un piumino assai a buon mercato in un negozio cinese, e dopo qualche giorno sente uno strano prurito. Il continuo grattarsi diventa insostenibile. Una sera, tornata a casa, la giovane butta il piumino a terra e nota un movimento al suo interno. Come se dentro ci fosse qualcosa… Il piumino viene aperto con l’aiuto di un coltello, ed ecco la rivelazione:


In mezzo alle piume era nata una colonia di vermi. I due hanno portato il giubbotto ad analizzare in un laboratorio. Il responso è stato incredibile: le piume d'oca al suo interno, che normalmente subiscono dei particolari processi di igienizzazione prima di essere utilizzati per l'abbigliamento, in questo caso non erano state trattate bene e non erano state sottoposte, quindi, a tutti i vari test igienici e sanitari previsti dalle numerose normative di legge, per cui dopo un po' di tempo le piume erano marcite dentro il giubbotto sprigionando i vermi.


Storie che - leggendarie o più letterarie - appartengono al filone narrativo dei parassiti (insetti, vermi, aracnidi… ma occasionalmente anche topi, rane e serpenti) che contaminano gli oggetti vicini a noi o che si insidiano nel nostro stesso corpo: una paura assai diffusa che nemmeno le norme igieniche moderne ha cancellato del tutto.


Non per nulla, situazioni come quelle descritte compaiono con una certa frequenza in libri, film e fumetti horror. Nel libro del 1991 Scary Stories 3: More Tales to Chill your Bones (seguito del fortunatissimo Scary Stories to Tell in the Dark), s’incontra ad esempio una leggenda metropolitana piuttosto diffusa nel mondo anglosassone, dove è segnalata fin dagli anni ‘90: il morso del ragno. La protagonista è, in genere, una ragazza che viene morsa da un ragno o un parassita (spesso sulla guancia, o in un'altra parte del corpo ben visibile). Il giorno seguente la puntura evolve in un puntino rosso, che si gonfia e cresce. Con il tempo, si trasforma in una grossa bolla dolorosa. …Alla fine, la pelle gonfia si apre liberando migliaia di ragnetti: erano cresciuti dalle uova che la mamma-ragno aveva deposto nella guancia!


Questa storia fa parte della grande famiglia nota per antonomasia come bosom serpent, in cui un animale dannoso (ma ci sono anche i bosom serpent vegetali) entra nel corpo di un essere umano causando malattie e/o riproducendosi.


Una leggenda simile racconta di una donna che avrebbe partorito piccoli polpi dopo aver nuotato nuda in un mare ricco di questi animali e delle loro uova. Diffuso fin dagli anni ‘60, il “ragno nella guancia” ha un interessante precedente letterario: la novella Il ragno nero, pubblicata nel 1842 dallo scrittore svizzero-tedesco Jeremias Gotthelf. La trama è piuttosto complessa, e si dipana come un resoconto di eventi accaduti molto tempo fa nel villaggio di Sumiswald.


Qui. i contadini stringono un patto con il diavolo per liberarsi del despota che domina dal locale castello e che li sottopone a mille angherie. Ma l’accordo prevede di consegnare al demonio un bambino non battezzato, cosa che si rifiutano di fare: non appena nasce un bambino, lo salvano battezzandolo. È a questo punto che il diavolo bacia la guancia di Christine, la donna che aveva convinto i suoi compaesani ad accettare il contratto diabolico credendo di poterne eludere le condizioni. Quando un secondo bambino viene battezzato, dal segno lasciato sulla guancia di Christine emerge uno sciame di minuscoli ragni velenosi, che si spargono per case e stalle del villaggio e uccidono il bestiame. La storia sembra avere una morale: mai fare patti col demonio, e non sperare di fuggire alle sue pretese. I ragni sono una personificazione stessa del male…


Pur nella sua veste letteraria, questo precursore dei ragni nella guancia ha qualcosa in comune con molte leggende contemporanee. Spesso, questi racconti non sono presentati come semplici e sfortunati incidenti che sarebbero potuti accadere a chiunque: la contaminazione è una punizione per qualche violazione delle regole accettate, o per lo meno per qualche comportamento considerato imprudente. Se si nuota nudi nel mare, il rischio di venir impregnati da un polpo è dietro l’angolo - e tralasciamo il fatto che questa eventualità sia biologicamente impossibile.


Nella storia del ragno nella guancia, sovente l’autore del racconto specifica che la ragazza si trova in vacanza in un luogo esotico (India, Cina, ecc…). In questi casi la leggenda ha il compito di mettere in guardia contro luoghi considerati pericolosi e “sporchi”. Lo stesso accade con merci e alimenti provenienti da paesi lontani... Chi si ricorda, ad esempio, del tronchetto della felicità che conteneva un pericolosissimo ragno velenoso? In altre occasioni, la contaminazione deriva dall’ingestione di cibo crudo (quindi “non ben cucinato”, secondo l’idea comune) o di dubbia provenienza. Altre volte ancora, si punta il dito contro abitudini, mode o comportamenti non igienici.


Un esempio evidente c’è nella storia del ragno nella pettinatura (e qui torniamo, in qualche modo, in territori vicini a quello del racconto di Quiroga).

Potete vederne qui una versione video. Ecco invece il racconto, dal sito Leggende Metropolitane:


Negli anni '50-'60 andavano di moda certe buffe pettinature, gli "alveari". Si faceva a gara per vedere chi si acconciava i capelli più in alto e chi si spruzzava più lacca. La mia parrucchiera mi ha raccontato questa vicenda, giurandomi che è capitata veramente ad una amica di sua nipote. Questa ragazza si era fissata i capelli così in alto e spruzzata così tanta lacca che non li scioglieva mai, non li pettinava mai, e non li lavava mai. Un giorno, sulla strada per scuola, i suoi capelli sfiorarono una ragnatela. Alcune settimane dopo, durante luna lezione di biologia, iniziò a perder sangue dalla testa. Poco dopo svenne, e fu condotta all'ospedale. Morì nel tragitto. Una colonia di ragnetti le aveva divorato il cervello!

In alcune versioni della storia, la ragazza si assicura una miglior tenuta dell’acconciatura bagnando i capelli con acqua e zucchero, una miscela che attira immancabilmente formiche e scarafaggi. L’identità dell’animale killer può variare: insetti vari, ragni, topi… In ogni caso, la leggenda punta il dito verso una moda considerata frivola e sconveniente: una moderna cautionary tale contro il cosiddetto hairdo degli anni ‘50 e in favore del lavaggio regolare dei capelli.


Ma c’è un’altra ragione per la quale questa leggenda è considerata particolarmente interessante dai folkloristi: il racconto sembra avere un precedente antichissimo.

Nel 1976, Shirley Marchalonis pubblicò sul Journal of The Folklore Institute un articolo intitolato Three Medieval Tales and their Modern American Analogues. Prendeva in esame tre storie moderne, paragonate a racconti simili medioevali. Anche la storia del ragno nella capigliatura aveva un precedente nello Speculum Laicorum, una raccolta di exempla del Tredicesimo secolo, ad uso dei predicatori:


C'è una storia da sermoni su una certa signora di Eynesham, nell'Oxfordshire, ‘che spendeva così tanto tempo ad adornarsi i capelli che arrivava sempre in chiesa poco prima della fine della messa’. Un giorno ‘il diavolo discese sulla sua testa nella forma di un ragno, stringendola fra le sue zampe’, fino a quando quasi non morì di paura. Nulla riusciva a togliere l'insetto nefasto, né la preghiera, né l'esorcismo, né l'acqua santa, finché l'abate della zona non mostrò davanti a lui il Santo Sacramento.

Il diavolo si manifesta in forma di ragno per tormentare la donna colpevole di occuparsi più del suo aspetto che delle funzioni religiose. Anche in questo caso, si tratta di una storia esemplare, che mette in guardia contro un comportamento giudicato dalla società sbagliato e sconveniente.


Che si viva nel Tredicesimo o nel Ventunesimo secolo, ci sono regole da seguire: in caso contrario, la morte e la punizione sono in agguato. E quale castigo è maggiormente efficace, nell’immaginario comune, di quello che si manifesta con la contaminazione del proprio stesso corpo, sotto forma di pericolosi ragni o altri animali dannosi?


Immagine in evidenza da Pxhere.com - pubblico dominio


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