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La grande paura dei vaccini del 1917-18





Alla fine dell’inverno 1916-17 la terribile guerra in corso, da europea e già disastrosa, stava per trasformarsi nel primo conflitto mondiale. Le perdite umane e la crisi economica gravissima portarono la Russia a una prima rivoluzione democratica, quella di marzo, che a metà mese costrinse lo zar Nicola II ad abdicare. La Russia diventò repubblica. Sulla carta l’atteggiamento del nuovo governo di N. Kerenskij verso una continuazione della guerra a fianco degli anglo-francesi era chiaro, ma sul campo la situazione apparve fin da subito incerta.


Il 1° febbraio la Germania aveva proclamato la guerra sottomarina senza più limiti nell’Atlantico: questa decisione accrebbe i rischi per il traffico commerciale americano, già sottoposto più volte ad attacchi da parte delle unità tedesche. Il 6 aprile, sotto la spinta del presidente Wilson, il Congresso degli Stati Uniti dichiarò guerra alla Germania. Milioni di statunitensi cominciarono a prepararsi a partecipare, su una scala senza precedenti, alla prima guerra moderna di portata transcontinentale.


La strage degli innocenti e lo Stato come Erode


Fu in questo clima di incertezza e di morte che, nel marzo di quell’anno, una voce prese a percorrere tutta Italia: occorreva ritirare in fretta da scuola i bambini e vigilare con cura su di loro.

Lo Stato, non potendo più sfamare i pargoli a causa della crescente crisi del bilancio pubblico, li avrebbe uccisi con un'iniezione avvelenata spacciata per vaccino. Gli italiani avevano da poco cominciato a convivere con restrizioni di ogni tipo: da pochissimo era stata introdotta una terribile novità, il tesseramento, dovuto al razionamento dei beni di prima necessità. Il problema del pane - nel senso letterale del termine - aveva iniziato ad angosciare milioni di persone, soprattutto nei grandi centri urbani


Queste paure, che durarono per un anno circa, sono state documentate dallo storico e folklorista Cesare Bermani nel volume Spegni la luce che passa Pippo (Odradek, Roma, 1996, pp. 59-66) e ripresentata nel 2017 su Il Sole 24 Ore dal giornalista Jacopo Gilberto, sulla scorta del lavoro di Bermani.


L’esplosione delle voci al Sud


Per quanto ne sappiamo, la sequela di voci e di conseguenti agitazioni si aprì il 3 aprile 1917 nel Tarantino, a Ginosa, alle 9 di mattina. I Reali Carabinieri, giunti nelle scuole chiamati dagli insegnanti, le trovarono vuote. Alcuni ragazzi erano scappati, altri erano stati portati via dai genitori. Erano rimaste lì alcune donne allarmate dalle dicerie e che i Carabinieri cercarono di tranquillizzare.


Secondo un’informativa inviata dal prefetto di Taranto al Ministero dell’Interno:


Gruppi di donne, delle quali alcune piangenti, si dirigevano verso le scuole comunali, dicendo di voler ritirare ognuno i propri figli dalla scuola poiché avevano appreso dalle voci che agli scolari si doveva praticare la vaccinazione avvelenata, con distribuzione di confetti pure avvelenati, per cagionare la morte, allo scopo di non fare crescere la popolazione, stante la mancanza di viveri, cui [...] si teme di andare incontro. (Lettera del prefetto di Terra d’Otranto al Ministero degli Interni, Direzione di P.S., 13 aprile 1917. ACS, Fondo A5G Prima guerra mondiale, busta 67, fascicolo 128, sottofascicolo 32)

Erano solo le prime avvisaglie. Dopo un paio di mesi, quando si tornò a parlare di vaccinazioni obbligatorie (quelle contro il vaiolo, principalmente, ma anche contro il tifo), le voci ricominciarono a prendere forza. Epicentro questa volta fu la Toscana.


Giugno 1917, Toscana


Il 2 giugno, ad Empoli, la voce popolare affermava che il vaccino era mescolato a un veleno. Questa volta non era lo Stato l’assassino diretto: quei farmaci arrivavano dalla nemica Germania, ed erano quindi un’arma del nemico. Ma il governo italiano lo sapeva e faceva finta di nulla; l’obiettivo era quello di risparmiare i sussidi pagati alle famiglie dei militari:


Il siero di dette punture essendo stato preso in Germania è appunto nocivo. Il Governo lo sa ma finge di non saperlo per la ragione suddetta. (Lettera confidenziale diretta al generale Garruccio, Firenze, 15 giugno 1917, ACS, Fondo A5G Prima guerra mondiale, busta 66, fasc. 128, sottof. 26)

Da Empoli la voce si spostò ad altri comuni (Brozzi, Campi Bisenzio, Galluzzo, Fiesole, Rifredi e Badia a Settimo), poi alle province di Prato, Pisa, Pistoia e Lucca. Per qualche giorno rimasero senza ragazzi le scuole di Seravezza, Lucca, Pietrasanta, Forte dei Marmi, Stazzema, Bagni Montecatini, Monsummano... Scuole abbandonate, madri che ritirano da scuola i figli o si rifiutano di portarli alla vaccinazione; medici provinciali provano a smentire, spiegando loro quanti bambini erano già stati vaccinati - ed erano tutti vivi. Invano. Anzi, le azioni per bloccare le dicerie finirono per propagarle ancora di più; è il caso di alcuni manifesti appesi da sindaci di diversi paesi, che contribuirono a far conoscere la “voce popolare” laddove ancora non era arrivata. Maggiormente efficaci, sul piano della repressione, le prime denunce alle madri: tre a Empoli, sette a Santa Maria a Monte...


Ma le leggende non si fermarono così facilmente. A Lucca, il 10 giugno, si sparse:


[…] la notizia che medici incaricati dal Governo e persino accompagnati e assistiti da agenti della forza pubblica, si recassero nelle scuole per procedere sopra i bambini ad iniezioni di punture che sarebbero riuscite mortali, allo scopo di diminuire i consumatori delle derrate alimentari esistenti, nonché i sussidi da pagarsi alle famiglie dei richiamati alle armi. (Regia Prefettura di Lucca, I Sezione Pubblica Sicurezza, n. 1698, Al Ministero Interno - Ufficio riservato di Pubblica sicurezza, 17 giugno 1917, ACS, Fondo A5G Prima guerra mondiale, busta 66, fasc. 128, sottof. 26) [fine cit.]

Luglio 1917, nel Lazio


La voce si placò ai primi di luglio in Toscana, ma nel frattempo si era aperto un altro focolaio in provincia di Roma. A San Vito Romano, il 30 giugno,


[cit.] quasi tutte le madri di quello Asilo Infantile si recarono all’improvviso a rilevare i loro figli da detto ricovero con grande baccano protestando perché ai loro figliuoli si voleva procurare la morte mediante iniezioni di sostanze velenose allo scopo di far diminuire i sussidi governativi ai figli dei richiamati. Tale voce si sarebbe diffusa in seguito a una lettera scritta da un soldato dal fronte il quale avrebbe avvertito la moglie di non mandare i bambini a scuola perché nel paese ove lui si trova avrebbero fatto cose analoghe. Le anzidette donne con i figlioletti in braccio tratti a viva forza dalla scuola andarono tumultuando per il paese incitando le altre donne a fare altrettanto se volevano i figli salvi. [...] Nessun altro incidente, calma relativamente ristabilita. (Telegramma del prefetto di Roma, n. 7460, Al Ministero Interno - Ufficio riservato di Pubblica sicurezza, 2 luglio 1917, ACS, Fondo A5G Prima guerra mondiale, busta 67, fasc. 128, sottof. 54)


Voci del genere colpirono anche Ostuni e Carovigno; le autorità erano abbastanza preoccupate, anche perché era prevista un’antivaiolosa.


Non solo vaccini: lo zucchero velenoso


Se nell’Italia centro-meridionale la grande paura era quella delle vaccinazioni, al Nord la preoccupazione riguardava lo Zucchero di Stato, quello saccarinato appena messo in commercio e che costituiva un’assoluta novità. Nel mese di marzo, con decreto luogotenenziale, era stata avviata la vendita di questo prodotto. Il metodo di produzione del tempo ne vedeva l’associazione ad un idrocarburo aromatico, il toluene: da qui l’idea che fosse gravemente nocivo (la cattiva fama della saccarina durò poi a lungo, e il suo impiego fu controverso sino al 1991). Ben presto lo Zucchero di Stato fu accusato di avvelenare i bambini. A Milano, nel mese di maggio, si diceva che dieci bambini fossero già morti, avvelenati dal prodotto.


La controversia arrivò alla Camera, nella seduta del 10 luglio 1917, quando l’onorevole Edoardo Bonardi (1860-1919) - socialista, medico e chimico, dubbioso già ai tempi della Guerra di Libia sull’opportunità delle vaccinazioni di massa - affermò che la scienza aveva ormai emesso una “condanna della saccarina come alimento”. E spiegò:


Si sono citate alcune vecchie esperienze di Aducco e Novi, esperienze di pura tossicologia, che dicono che la saccarina non è un veleno, ma nessuno ha mai detto che la saccarina sia un veleno, nel senso stretto della parola. Non è veleno, ma è una sostanza nociva, perchè sostanza energicamente antifermentativa anche in minime dosi, e, come impedisce la fermentazione nelle nostre provette, la turba , rallenta ed impedisce nello stomaco e nell'intestino, nei quali organi si compie quell'insieme di successive fermentazioni che costituiscono la normale digestione.

Il parlamentare non riportava le voci sui bambini avvelenati, ma le opinioni sulla tossicità della saccarina dovevano essere condivise anche da molti (ed erano, in sostanza, il motore primo delle dicerie). D’altra parte, argomentava Bonardi, anche se la saccarina non fosse stata nociva (e lo era), sicuramente non poteva sostituire lo zucchero, “tonificatore per eccellenza dei muscoli”.

1918: ondate di voci al Sud


Come abbiamo visto, questo primo nucleo di documenti si riferisce alla primavera del 1917, sia pur con una coda nel mese di luglio. Nel frattempo, in Italia e in Europa si erano succeduti altri eventi di portata epocale. In Russia era iniziata la guerra civile fra bolscevichi e russi “bianchi”. Da noi si erano avute proteste pacifiste represse nel sangue e, soprattutto, a fine ottobre lo schieramento italiano era stato sfondato a Caporetto, da dove gli austro-ungarici erano avanzati verso la pianura veneta, minacciando di dilagare nella pianura padana, sino a Milano.


La linea fu ricostituita a fatica, ma in quel momento nessuno credeva più in una prossima vittoria dell’Intesa contro le potenze centrali. Solo con la primavera del 1918 risultò chiaro che l’entrata nel conflitto delle forze americane stava lentamente facendo piegare il bilancio a favore dell’Italia e dei suoi alleati. D’altro canto, dal punto di vista economico, i governi di Vienna e di Berlino erano ormai prossimi alla catastrofe economica. Ma anche allora nessuno poteva prevedere che di lì a sette mesi sarebbe tutto finito.


Fu così che nella primavera del 1918, in un clima di disperazione crescente e mentre mezzo milione di soldati italiani catturati era nei campi di detenzione tedeschi e austriaci, le dicerie sui vaccini “governativi” ricomparvero, di nuovo nel Sud Italia. Si diffusero a partire da marzo ad Avellino, a Salerno, a Benevento e Napoli.


Ai primi di aprile un ispettore di pubblica sicurezza, un certo Dalbuonico, redasse per il Ministero dell’Interno un lungo rapporto, che poi costituisce una fra le fonti più importanti per l’intera nostra vicenda:


Riassumo al Ministero il risultato della indagine circa la diceria di essere state disposte, dal Governo, iniezioni letali ai bambini, all’intento di diminuzione dei consumi. Codesta diceria, dilagata nelle Province di Avellino, Benevento, Salerno, Napoli, trovò facile presa nell’involuzione della coscienza degli strati inferiori delle popolazioni. Ne ho stabilito cronologicamente il percorso, il modo, onde si diffuse, le forme esteriori nelle quali si integrò ed ho ragione di ritenere di averne anche accertata la prima origine. [...] Adunque il dì 8 Febbraio nel Comune di Montella, in provincia di Avellino appena aperte le Scuole, fu un accorrere affannoso di madri per ritirare i bambini per sottrarli al pericolo di morte in conseguenza delle siringhe sopraccennate (Ispettore generale di Pubblica sicurezza Dalbuonico, n. 10491 R., Al Ministero Interno Ufficio Riservato di Pubblica sicurezza, Napoli, 4 aprile 1918, ACS, Fondo A5G, Prima guerra mondiale, busta 65, fasc. 128, sottof. 2).

La cosa, proseguiva Dalbuonico nel suo rapporto, si era ripetuta uguale in altri comuni fra il 13 e il 27 febbraio: Paternopoli, Castelvetere, Volturara, Atripalda, Avellino, Cantavilla Irpina, Grottaminarda… Poi si spostò alle province di Salerno e Benevento. A Volturara furono arrestate tre persone, ad Atripalda altre tre. A Castelvetere la notizia era stata invece diffusa dal procaccia postale, che l’aveva saputo dal casellante ferroviario, che ne aveva saputo da carrettieri in transito che arrivano da Paternopoli. Il prefetto di Avellino telegrafò ai sindaci della provincia perché agissero in maniera preventiva con il sostegno dei parroci (ancora dal documento citato).


La campagna delle autorità però a volte ebbe effetti perversi. Ad Atripalda (Avellino) il sindaco, ricevuto il telegramma, chiamò le donne e smentì la notizia con nettezza, ma quelle capirono tutto il contrario. Ad Acerno (Salerno) la voce nacque invece da un fraintendimento: il 19 febbraio il sanitario locale si recò in Municipio con l’ufficiale medico, ma nello stesso edificio si trovavano anche le scuole; così i genitori pensarono che i due fossero venuti a far le iniezioni ai bambini e accorsero per riportarli a casa.


Una lettera inviata da una donna di Lanzara (frazione di Castel San Giorgio, Salerno), allegata al rapporto di Dalbuonico, citava voci dal contenuto ancora più ansiogeno:


Le donne sono allarmatissime essendosi sparsa la voce che il Governo fa fare delle iniezioni ai bambini sulle orecchie ed alla gola per farli morire e così diminuisce la spesa per i sussidi. Le donne si precipitano alle scuole per ritirare i bambini. (ibidem)

L’ispettore Dalbuonico si affannò per cercare di tracciare il percorso di quelle voci, di capirne l’origine:


A S. Leucio un individuo venuto da Avellino sparse la voce che ad Altavilla Irpina erasi verificato il fatto delle iniezioni, a Pietra Ircina la voce si diffuse per essere stata appresa a Benevento, ad Apice il Medico provinciale apprese che la voce era stata importata da Avellino. A Montesarchio fu arrestato il ramaio Verruso Federico, denunziato da quel Maresciallo dei Carabinieri e da quello di Cervinara, come diffonditore della diceria a Montesarchio stesso e a Rotondi, in Provincia di Avellino [...]
Ho di sopra accennato come io creda non priva di fondamento la ipotesi che esporrò, circa la prima origine di quella diceria. Come io stesso ho accertato, nella seconda e nella terza decade di Gennaio giunsero al Comune di Montella, come agli altri della Provincia di Avellino due circolari relative: l’una alla vaccinazione e l’altra al razionamento del pane fissato nel quantitativo di 300 gr. a persona, provvedimento che naturalmente non fu accolto di buon viso dalle popolazioni. Intanto a Montella per essersi verificati dei casi di difterite e di pseudo-differite, furono eseguite iniezioni a diversi bambini, alcune con intenti curativi, altro allo scopo profilattico; tra gli altri fanciulli subì le iniezioni Cappellari Oreste di Angelo, di anni 11, profugo, il quale per sopraggiuntagli angina flemmonosa, il 7 Febbraio cessava di vivere. Il giorno successivo scoppiò l’allarme in Montella. Può essere quindi ritenuto che il complesso di tutte le suindicate circostanze - disposizioni di vaccinazione, diminuzioni delle razioni di pane, iniezioni ai bambini, iniezioni al Cappellari e morte di lui - data la mentalità primitiva delle popolazioni rurali, abbia determinato il fenomeno che poi ebbe a dilagare negli altri Comuni e nelle altre province. (ibidem)

Razionamenti e vaccinazioni: due interventi dello Stato che incidevano sulla popolazione, e che nella mente di molti apparivano indissolubilmente legati.


Marzo-aprile 1918: l’ultima ondata, in Abruzzo e Molise


Infine, nel marzo del 1918 la voce raggiunse anche il Molise. Il 17 di quel mese ad Agnone (Campobasso), le donne corsero a scuola per reclamare i figli e così sottrarli alle vaccinazioni velenose. Anche qui le punture erano praticate - si diceva - allo scopo di diminuire i sussidi alle mogli dei militari e il consumo di pane, scarso in tutta la provincia (Lettera del prefetto di Campobasso, Divisione Pubblica sicurezza, n. 383, Al Ministero Interni, Divisione Pubblica sicurezza, 4 aprile 1918, ACS, A5G, busta 66, fasc. 128, sottof. 18).


Il 26 marzo due persone furono arrestate a Formia per aver propalato le stesse dicerie (Telegramma del prefetto di Caserta, Divisione Pubblica sicurezza, Al Ministero Interni, Divisione Pubblica sicurezza, 26 marzo 1918, ACS, A5G, busta 66, fasc. 128, sottof. 19).


Ancora in Molise, a Capracotta (Campobasso), invece, si diceva che


...dovevano venire vaccinati tutti i ragazzi, e che tale operazione doveva essere eseguita colà da tre medici militari i quali però anziché il siero vaccinico avrebbero fatto uso di veleno per sopprimere i bambini per ordine del governo, allo scopo di non pagare più i sussidi. Tale notizia allarmante ebbe immediata diffusione, tanto che molti bambini che eransi recati a scuola furono dalle madri subito ripresi e molti si astennero dal recarvisi (Lettera del prefetto di Campobasso, Divisione Pubblica sicurezza, n. 464, Al Ministero Interni, Divisione Pubblica sicurezza, 17 aprile 1918, ACS, A5G, busta 66, fasc. 128, sottof. 18).

Poi, in aprile, la voce si diffuse un po’ più a nord, in Abruzzo, e più esattamente in provincia di Chieti. Nel paesino di Castiglione Messer Marino si sussurrava che


sarebbero colà giunti alcuni sudditi nemici incaricati dal nostro Governo di procedere alla vaccinazione degli scolari, causando la morte dei bambini per non pagare i sussidi alle mogli dei militari (Lettera del prefetto di Chieti, Divisione Pubblica sicurezza, Al Ministero Interni, Divisione Pubblica sicurezza, 17 aprile 1918, ACS, A5G, busta 66, fasc. 128, sottof. 22)

Estinzione delle voci


Con la primavera del 1918, e, paradossalmente, con le prime avvisaglie della pandemia d’influenza spagnola, le voci sui vaccini ammazzapopolo che circolavano da un anno sembrarono spegnersi, ma solo per esser sostituite da altre di tipo diverso, peraltro già presenti in varie forme. Ai primi di maggio, ad esempio, a Torino e in paesi vicini come Borgaro Torinese e Caselle si parlava di bambini prelevati dalle scuole per farne salami (Lettera del prefetto di Torino, Divisione Pubblica sicurezza, Al Ministero Interni, Divisione Pubblica sicurezza, n. 6391, 12 giugno 1918, ACS, A5G, busta 65, fasc. 128, sottof. 2; notizie al riguardo dovrebbero essere comparse anche sul quotidiano torinese Gazzetta del Popolo dell’11 maggio 1918).


Tutto ciò, non dimentichiamolo, in un contesto complessivo nel quale voci e leggende ansiogene o rassicuranti di ogni tipo erano circolate fin dal primo momento dell’entrata dell’Italia nel conflitto. Ce ne siamo occupati a lungo, in varie sedi, discutendo di profezie sulla data della fine della guerra in Italia e all’estero, di apparizioni di figure religiose recanti messaggi pacifisti, di avvistamenti di presunti velivoli minacciosi in cielo o comunque di minacce mortali provenienti dall’alto, e della ricerca di capri espiatori, ad esempio nel clero cattolico italiano; e tutto ciò non limitandoci al nostro Paese, ma occupandoci anche, ad esempio, della Gran Bretagna o della Russia.


Quanto alle voci che abbiamo tratteggiato in questo articolo, c’è da supporre che, a causa del loro contenuto potenzialmente sovversivo, ve ne sia traccia in altri archivi pubblici. Quanto alla stampa quotidiana e periodica, non ne abbiamo trovato menzione: proprio perché così preoccupanti per le autorità, è probabile che non siano apparse sui giornali del tempo. Occorre ricordare che in quegli anni erano molto vive sia la censura attiva (da parte del potere pubblico), sia l’autocontrollo ad opera degli stessi responsabili delle testate. Al contrario delle leggende allarmistiche su attacchi tedeschi condotti in maniera subdola (lanciando caramelle avvelenate dagli aerei, oppure assoldando spie tra il clero cattolico), nel nostro caso si trattava di dire che un nemico altrettanto mortale, per gli italiani, non era a Berlino o a Vienna o a Budapest, ma a Roma.


Eppure, queste voci sono circolate a lungo, tra le donne del 1917, a volte rimaste sole a causa della guerra, terrorizzate di non aver abbastanza cibo per mantenere la famiglia. C’era, dietro, l’idea che quello Stato fosse “nemico del popolo”; che dopo aver mandato figli e mariti al fronte, si preparasse a uccidere anche i bambini, inutili bocche da sfamare. Già dal 1895 La Marsigliese del lavoro, il cui testo si deve all’anarchico veneto Carlo Monticelli e la musica a Gualtiero Vecchi, maestro della banda di Gualtieri, paesino del Reggiano, cantava (qui, nella classica esecuzione di Fausto Amodei):


Di patria al nome talor sospinti/ contro altri popoli noi si pugnò/ ma vincitori fossimo o vinti/ la sorte nostra mai non cangiò./ Tedesco od italo se v'ha padrone/ il sangue nostro deve succhiar/ la patria libera è un'irrisione/ se ancora il basto ci fan portar.

Proprio questa avversione contro lo Stato, in ultima analisi, era inaccettabile per il potere del 1917-18.


Immagine in evidenza: "Edward Jenner advising a farmer to vaccinate his family", pittura ad olio di autore inglese sconosciuto, 1910 ca.

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