Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
In via Garibaldi, ad Avezzano, una targa riporta la scritta:
Unica casa che ha resistito al terremoto del 13 gennaio 1915.
Cesare Palazzi, “cementista armato” e costruttore dell’edificio, poteva andarne fiero. Il 13 gennaio del 1915, poco prima delle 8 di mattino, un violentissimo terremoto sconvolse la Marsica provocando circa 30.000 morti. Uno dei centri più colpiti fu proprio Avezzano, che pianse 10.700 vittime su 13.000 residenti. A quel primo evento sismico seguirono numerose scosse di assestamento che resero le operazioni di salvataggio tra le macerie ancor più complicate, anche in funzione delle tecnologie disponibili al tempo.
Una storia, molte storie
Tra le numerose leggende sui terremoti, ce n’è una che vorrebbe le scosse legate al caldo eccessivo. Queste tragedie sarebbero precedute da un innalzamento delle temperature e da un’aria afosa, umida, soffocante. Nulla di vero, in realtà, e il sisma della Marsica fu un tragico controesempio: soccorritori e sopravvissuti dovettero lottare contro la neve, le temperature rigide e i lupi, a quel tempo ancora numerosi, scesi a quote più basse del solito in cerca di cibo.
Giornalisti e scrittori come Ignazio Silone raccontarono nelle settimane seguenti aneddoti di ogni genere su quanto avvenuto. C’era, ad esempio, la storia di quel fotografo che aveva incontrato tra le macerie una donna scarmigliata che gli aveva chiesto la sua kodak: voleva far disseppellire il figlio per immortalarlo un’ultima volta. “Datemi la macchina per fare il ritratto: non lo rivedrò più”, aveva detto all’uomo. E poi, la vicenda del bambino nato sotto al terremoto: la madre era stata salvata da un vano creatosi nel crollo della sua casa, e aveva partorito lì. Un capitano dei carabinieri che aveva partecipato ai soccorsi battezzò il piccolo Terremotino.
A questi aneddoti veri se ne affiancavano altri falsi, o quanto meno più dubbi. Per quanto sia stato finora un argomento poco studiato, tutto indica che, esattamente come gli altri eventi di grande portata, anche avvenimenti istantanei come i terremoti sono grandi incubatori di leggende che mirano a dare un senso a quanto è appena accaduto.
La profezia di Madame de Thèbes
Uno dei racconti che circolarono dopo il sisma della Marsica era che il disastro fosse stato previsto da Madame de Thèbes. Pseudonimo di Anne Victorine Savigny (1845-1916), questa donna era una delle chiromanti più alla moda di Parigi: ogni anno a Natale pubblicava un almanacco con le sue previsioni per il futuro, che finivano immediatamente sui giornali di tutta l’Europa. Le sue profezie guadagnarono gli onori della stampa anche nel nostro Paese, soprattutto con l’avvicinarsi della Prima guerra mondiale (un evento che, come abbiamo raccontato su Query online, stimolò il ricorso alla divinazione e alla ricerca di pronostici sugli esiti del conflitto).
Madame de Thèbes fu tirata in ballo da L'orrendo terremoto del 13 gennaio 1915, un opuscolo che vide la luce negli Stati Uniti l’8 febbraio 1915 e che conteneva l’elenco dei morti e dei feriti nel disastro; era in italiano ed ero diretto agli immigrati abruzzesi che vivevano sul suolo americano:
Vive a Parigi una donna misteriosa, la quale ai primi di ogni Dicembre pubblica un piccolo almanacco rosso, contenente i suoi prognostici e le sue profezie pel nuovo anno. Molti di questi prognostici e molte di queste profezie si sono puntualmente avverate, assicurando alla pitonessa moderna una fama mondiale. […]
Nel suo ultimo almanacco, del Dicembre 1914, contenente le profezie per il 1915, la Sibilla Parigina chiama il 1915 anno brumoso cioè anno nebbioso, ed afferma che le sue visioni non sono nitide e chiare appunto per la nebbia nella quale l’anno è avvolto. Essa assicura che il 1915 sarà pieno di tumulti e di splendori, di cose atroci e sublimi, di grandi attrattive e di segreti formidabili, di acque furenti nei mari tropicali, di forti fermenti e rivalità, di grande siccità e di terribili attività vulcaniche. […]
Continuando le sue predizioni la Sibilla scrive testualmente così: “Nel 1915 l’Italia andrà incontro ad una terribile distruzione artistica ed il solstizio estivo segnerà il periodo del pericolo: alla fine dell’anno scoccherà però per l’Italia l’ora delle soddisfazioni di ogni sorta”. Aspettando che l’ora di queste soddisfazioni di ogni sorta sia per venire, accontentiamoci intanto per oggi di constatare dolorosamente che la terribile distruzione artistica che - secondo Madame de Thèbes - doveva verificarsi nel Solstizio Estivo e cioè al 21 Giugno 1915, è purtroppo avvenuta con l’anticipo di qualche mese, ed è stata accompagnata da una vera ecatombe di vittime umane.
Il mito della seconda scossa
La tentazione di riconoscere in un grande evento catastrofico la mano del destino è sempre forte, a costo di stiracchiare la data di una profezia per meglio adattarla alla realtà. Ma altrettanto forte sembra essere il desiderio - nei precari mesi successivi a un terremoto - di sbirciare il futuro. Un tema ricorrente di questi eventi sembra infatti essere quello della seconda scossa, più catastrofica della prima: il disastro appena subito è soltanto l’esordio della vera apocalisse, prossima a manifestarsi.
Ecco alcuni esempi di questa linea narrativa: in seguito al terremoto di Reggio Calabria e Messina del 28 dicembre 1908 si diffuse l’attesa di un secondo sisma devastante, quello definitivo: secondo alcuni sarebbe arrivato con la fine della lunazione, mentre un mendicante che “girava per le vie, facendosi notare per il suono di un campanello” ne aveva fissato la data per il 9 dicembre 1909. Allo stesso modo, nei mesi successivi alla tremenda scossa del 23 novembre 1980 in Campania e Basilicata, si raccontava la storia di una vecchina autostoppista che invitava a “non lamentarsi e piangere per il 23 novembre perché era ben poco quello che era successo. Vi sarebbe stato un prossimo cataclisma ben più distruttivo”. Dopo la profezia la figura chiedeva di scendere e andava via. Un’altra versione vedeva la nascita di un bambino prodigioso, che subito prendeva a parlare: anche lui avvisava gli astanti di una seconda scossa catastrofica che sarebbe avvenuta in un giorno variabile a seconda delle versioni, invitava a non piangere la sua morte e poi ricadeva a terra esanime. La leggenda del “secondo disastro” è diffusa anche all’estero: nel 1980, in seguito all’esplosione del vulcano Saint Helens (Stati Uniti), si diffuse la voce di un’autostoppista che metteva in guardia contro una seconda, più catastrofica eruzione…
Aspettando il 25 gennaio…
Il terremoto della Marsica non fu da meno, come racconta La Stampa del 22 gennaio 1915 in un articolo non firmato:
L'impressione di paura domina tutto il popolino romanesco facilmente impressionabile. Mentre la Roma colta è tranquilla, il popolino è sotto l'incubo di una orribile panzana, la panzana del terremoto a data fissa, che dovrebbe rinnovarsi il 25 gennaio. Le voci più assurde acquistano diritto di cittadinanza romana. Queste voci sono state poste in giro da megere che la Questura dovrebbe identificare. Ieri si diceva che sul gran cumulo di rovine di Avezzano si era trovata una Madonna di legno rimasta intatta, che stava erta sulle macerie, in attitudine di pietà per il povero genere umano. La statua aveva nelle mani nientemeno che un foglietto di carta pergamenata che conteneva la previsione della fine del mondo per il 25 di questo mese. Lo spaventoso documento passò di mano in mano fra i superstiti e prese la via di Roma dove ovunque venne letto con meraviglia e terrore, specialmente dalle donnette ignoranti e superstiziose! Di questa condizione di cose approfittano parecchie speculatrici.
Dunque la Vergine in persona avrebbe comunicato la data della fine del mondo di cui il terremoto della Marsica era stato il tragico trailer, e lo aveva fatto grazie a un biglietto autografo. Quasi una versione adattata del genere letterario della lettera dal cielo…
In altre versioni, la Madonna non ricorreva ai pizzini, ma a farlo era una fattucchiera della zona:
Oggi, fra le altre, se ne diceva una grossa: sarebbe apparsa a una strega di borgo una vecchia misteriosa qualificatasi per la Vergine la quale le avrebbe detto, in tono tremendamente profetico: “Corri via, va dal Re e digli che lasci subito Roma. Fra quattro giorni si aprirà la terra e ingoierà la città eterna, compreso il Palazzo Reale, le fontane, compreso il Vaticano colla cupola michelangiolesca”. La strega naturalmente non andò anche perché le scale del Quirinale le avrebbero prodotto l’affanno. Le donnicciole di Roma dicono fin da ora che la notte del 25 esse non rimarranno in casa ma pernotteranno all’aperto. Neppure durante il terremoto del 1908 si erano sparse tante stupide dicerie. Di fronte a questo stato di cose si invita la Questura a cercare le sinistre fattrici di male e le propiziatrici di calamità per una misera speculazione di pochi soldi e metterle a disposizione del Procuratore del Re. Intanto però sarebbe bene che il Governo, in mezzo della Prefettura, il Municipio e le autorità religiose dal pergamo facessero giustizia di queste voci che sono vergognose e abituassero a restituire la popolazione alla calma normale.
Una rielaborazione letteraria
La leggenda doveva essere abbastanza diffusa, se un autore che si firmava Simplicissimus - pseudonimo non raro, al tempo - pubblicò su La Stampa del 21 gennaio 1915 un racconto che traeva spunto proprio da quella diceria e che si apriva con questa scenetta:
Poiché la vecchia Brigida ebbe posto sullo scrittoio il giornale del mattino, si arrestò, ed un po' peritosa per la presenza dell’ospite noto, disse al padrone: - Scusi, professore. È vero che il terremoto deve venire anche qui, e poi in tutti gli altri luoghi, e che è segno che il mondo è alla fine? L'ho sentito dire mentre facevo la spesa. Dicono che l'ha predetto uno che sa leggere nelle stelle.
Il professore si apparecchiò a rispondere, ma fu preceduto dal suo giovane amico. - Brigida - disse il laureando universitario con un sorriso gioviale - non abbiate paura: non c'è nulla di vero. Ve lo assicuro io. Il mondo non può finire per la semplice ragione che non è mai incominciato.
Le profezie di scosse, apocalissi e disastri vari - magari somministrate da donne anziane, da autostoppisti o da esseri più o meno divini - non sono un’esclusiva dei dopo-terremoti. Occupandoci di leggendario da parecchi anni, conosciamo in maniera piuttosto ampia panici e dicerie che si diffondono sulla base di qualche fraintendimento o di semplici bufale, senza legami diretti con disastri attuali (due esempi tra tutti: la vecchina che il 27 febbraio 1977 annunciò la distruzione di Milano, o le paure per un sisma che il 10 giugno dello stesso anno avrebbe dovuto devastare Catania). Ciò non toglie che nelle settimane successive a un evento così grave ci sia una maggior circolazione di motivi folklorici di questo genere, magari fomentati, senza volerlo, dalla copertura fattane dalla stampa. Quest’esposizione può portare all’ulteriore diffusione di voci su nuovi sismi imminenti, ma anche a veri e propri fraintendimenti come quello che avvenne a Torino due mesi dopo il terremoto della Marsica, e che fu riferito da La Stampa il 7 marzo 1915:
Questa notte, poco dopo le una e trenta, le signorine addette ai telefoni dello Stato, sentirono improvvisamente un forte boato, simile a quel rumore strano e pauroso che accompagna le scosse del terremoto: poi sentirono tremare i tavolini e gli apparecchi, tanto che, abbandonati i loro posti, fuggirono spaventate, gridando: “Il terremoto! Il terremoto!” In un attimo furono tutte in via Venti Settembre: ma vi si ritrovarono sole… [...] Da quanto ci consta per le informazioni che abbiamo potuto raccogliere all’ora tardissima non risulta che in altri punti di Torino sia stato notato nulla di simile.
Le giovani torinesi avevano probabilmente scambiato raffiche di vento per un terremoto: c’è da chiedersi se avrebbero fatto lo stesso, se non avessero avuto nella memoria le notizie sul sisma avvenuto poche settimane prima.
Il salvataggio divino di Padre Domenico
Circa il terremoto abruzzese, a parte quella della “seconda scossa”, ci furono altre storie, più difficili da classificare. Pensiamo a quella sui “loschi figuri” che si aggiravano tra i sopravvissuti e che promettevano alle giovani ragazze posti da cameriera in case signorili del Meridione ma che miravano in realtà ad avviarle alla prostituzione. È difficile capire quanto provenisse dalle leggende sulla tratta delle bianche, allora diffusissime, o se avessero un tragico fondamento reale.
Altrettanto difficile da classificare è una vicenda che riguarda un misterioso salvataggio avvenuto durante il sisma, e riferita a un celebre religioso della zona, padre Domenico da Cese, considerato un servo di Dio dalla Chiesa cattolica, e per molti una specie di “Padre Pio d’Abruzzo”. La riferiamo per le sue analogie con alcune leggende sui “salvataggi divini”:
Emidio Petracca nacque a Cese, una piccola frazione di Avezzano, il 27 marzo del 1905. Il 14 gennaio del 1915, un giorno prima del terribile terremoto che cambiò per sempre le sorti della Marsica, il piccolo Emidio avvisò i suoi compagni di classe che all’indomani ci sarebbe stato un fortissimo terremoto, che avrebbe distrutto l’intera città. Ovviamente nessuno credette alle parole del bambino, tant’è vero che il giorno successivo tutti andarono in chiesa, come facevano ogni giorno, prima di recarsi a lavorare nei campi. Invece, come ben sappiamo, quel giorno si scatenò il secondo sisma più devastante della storia d’Italia, che in pochi secondi spazzò via oltre 30.000 vite umane. Anche lui, come molti, rimase sepolto vivo sotto le macerie, ma al contrario di tante persone, comprese le due sorelline più piccole che perirono in quella terribile catastrofe, venne ritrovato sano e salvo fuori dalla chiesa.
Quando i sopravvissuti domandarono al piccolo Emidio chi lo avesse messo in salvo, egli rispose «un uomo con la barba e i capelli lunghi». Peccato però che nessuno in paese, tra le poche decine di anime sopravvissute, corrispondesse alla descrizione fatta dal bambino. Ma il piccolo Emidio ne era convinto e continuava a descrivere sempre nello stesso modo colui che l’aveva liberato dalle travi e portato in salvo: un uomo con la barba e i capelli lunghi.
Nel 1921 Emidio entrò nel collegio serafico dei cappuccini a Vasto, nel 1922 iniziò il noviziato per diventare frate cappuccino, con il nome di Padre Domenico, in seguito studiò filosofia all’Aquila e concluse gli studi teologici a Sulmona, per poi essere ordinato sacerdote nel 1931. Un giorno, nel 1966, venne trasferito nel santuario del Volto Santo di Manoppello, ristrutturato da pochi anni. Quando il frate si trovò al cospetto del sacro velo, di cui fino a quel giorno ignorava l’esistenza, con voce rotta dall’emozione, balbettò «è questo l’uomo che mi ha salvato dalle macerie 50 anni fa». Da allora in avanti non ci fu un solo giorno in cui padre Domenico non si inginocchiò davanti al Volto Santo, di cui divenne un araldo. (Da Aleteia, 4 aprile 2019)
Questo racconto ha alcune caratteristiche che lo rendono affine alle leggende contemporanee. Il tema del riconoscimento a posteriori della natura soprannaturale di un’esperienza, ad esempio, ne è un tema tipico (si pensi alle storie sull’autostoppista fantasma, o alla profezia di sant’Antonio che circolava durante la Prima guerra mondiale), così come lo è il tema della figura religiosa o occulta che si manifesta in situazioni di difficoltà (in guerra, in alta montagna, quando si è dispersi, in condizioni di abbandono e isolamento, ecc.).
Che una storia di questo genere si sia fatta strada nella biografia di un personaggio come padre Domenico da Cese proprio in relazione al terremoto marsicano del 1915 è per noi motivo di sorpresa e di curiosità.
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